Giampaolo Visetti, la Repubblica 2/9/2008, pagina 29, 2 settembre 2008
la Repubblica, martedì 2 settembre 2008 Tra le Dolomiti, dopo le parole veloci dei cittadini in vacanza, riprende lentamente a fare ordine il silenzio
la Repubblica, martedì 2 settembre 2008 Tra le Dolomiti, dopo le parole veloci dei cittadini in vacanza, riprende lentamente a fare ordine il silenzio. La serietà della solitudine spazza i pascoli e lucida certi fiori gialli. L´altra notte, come una sorpresa già in ritardo, in alto è caduta la prima neve. La gente si domanda: sotto i primi fiocchi resterà traccia, quest´anno, delle idee che l´estate è solita suggerire per merenda? Per la prima volta, nei rari fienili e nelle ultime stalle di paese, i vecchi nascondono un´ombra dietro l´arco della bocca. Si chiedono, qui nelle valli che rimpiangono le certezze ordinate di Maria Teresa, se questo mondo sospeso sia alla vigilia dell´estinzione. Leggono che l´Italia del caos, "entro Natale", sarà federalista. Si guardano negli occhi, ci pensano e non dicono niente. Però sono colpiti. Perché il federalismo annunciato, accantonata la rivendicazione del secessionismo padano, esibisce un modello sorprendente: l´autonomia speciale del Sudtirolo. L´ultima frontiera invisibile del Novecento, scavata dalla guerra e dalle deportazioni, si scopre reliquia politica alla deriva, ma da esibire ad un popolo orfano della propria fede civile. Per questo, qualche giorno fa, il ministro Calderoli è simbolicamente salito a Falzes, in val Pusteria. Nel maso di Luis Durnwalder, unico governatore contadino dell´Europa occidentale ad essere democraticamente al potere da 35 anni, ha stretto un patto. Roma promette di non toccare i fondi che consentono al Sudtirolo di essere la provincia più ricca d´Italia, la quarta del continente. In cambio la Sudtiroler Volkspartei, partito di raccolta del gruppo linguistico tedesco, concederà a Bossi l´evocazione della propria immagine popolare di ideale "filiale meridionale" della Csu bavarese e dell´Oevp tirolese. Favorirà poi l´elezione del primo consigliere provinciale della Lega e, a costo zero, solleverà lo Stato italiano dagli ultimi compiti conservati nel territorio sottratto all´Austria 90 anni fa. Questo cedimento ad un´"indipendenza silenziosa" si fonda su un equivoco esplosivo, riassunto nello slogan della storica pasionaria dell´autodeterminazione, Eva Klotz: «Sud-Tirol ist nicht Italien», ossia «l´Alto Adige non è Italia». L´affermazione, fatta stampare su migliaia di adesivi bianchi e rossi, ribadisce il rifiuto di una patria sentita straniera. Rivela però, per opposizione, anche un concetto nuovo: Italien ist nicht Sud-Tirol, cioè «l´Italia non è l´Alto Adige». Qui, prima di andare alle urne a fine ottobre, resta molto da fare. Ci sono da raccogliere le mele e l´uva, da far scendere le vacche dalle malghe, da preparare piste e hotel per la stagione dello sci. Una montagna d´oro che, come mai prima, non lascia tranquilli né il gruppo tedesco, né quello italiano, né quello ladino. La ragione è semplice. Se l´Italia che aspira al federalismo si illude di poter diventare come il Sudtirolo, i casi sono tre: o perde qualcosa il Paese, o la Provincia, oppure entrambi. «L´autonomia sudtirolese - dice Francesco Palermo, direttore dell´Istituto per il federalismo dell´Accademia europea di Bolzano - può essere un esempio di pacificazione di uno scontro etnico, non un modello. un accordo di pace, non applicabile altrove e con un limite: non può autoriformarsi perché la divisione etnica è l´essenza del sistema. Per il dopo-conflitto non c´è prospettiva di piena democrazia». Fatti i conti, emerge anche il limite finanziario. La Provincia di Bolzano, per 487 mila abitanti, ha un bilancio annuo di 5,5 miliardi di euro. La spesa pubblica totale supera i 12 miliardi, i dipendenti sono quasi 40 mila. In Sudtirolo, tra denaro e funzioni, rientra da Roma il 114% del gettito fiscale. «Finanziare uno sviluppo pacifico - dice il giurista Antonio Lampis - costa comunque meno che arginare una guerra indipendentista armando polizia ed esercito». Secondo uno studio dell´Università di Bolzano il problema è che l´Italia, oggi, non può permettersi più di tre "sudtiroli": e le regioni a statuto speciale, oltre alla Provincia autonoma di Trento, sono già quattro. Tra le Dolomiti cresce dunque l´allarme. Non solo per l´impraticabilità finanziaria del federalismo fiscale prospettato, destinato a non potersi permettere "specialità più speciali" nemmeno regionalizzando l´Irpef. In Trentino, per la prima volta, Bossi è riuscito a imporre a Berlusconi un proprio esponente quale candidato alla presidenza. A spaventare è allora la consapevolezza che la Lega, facendo del Sudtirolo un modello nazionale, abbia in realtà le idee molto chiare. «Se per il federalismo italiano all´altoatesina non ci sono i soldi - dice lo storico Giorgio Delle Donne - non resta che lo scontro etnico». Fino a poco tempo fa lo spettro di un´altra stagione delle bombe sembrava imprigionato nel passato. Tedeschi e italiani, in Sudtirolo, soffrono per indigestione, o per fame, ma del medesimo potere. Non più per nostalgia di Heimat, o di patria. «Il muro resta - dice Guenther Pallaver, docente di scienze politiche all´Università di Innsbruck - tutto è diviso, dall´asilo alla casa di riposo. La gente, per denaro, è costretta a fingere di rianimare un cadavere di cui vorrebbe disfarsi». Nelle valli alpine, come nel resto d´Italia e d´Europa, è comparso però un inatteso "nemico alle porte": gli immigrati. In provincia di Bolzano sono oltre 34 mila, il 7,6% dei residenti, quasi il doppio dei ladini. Senza di loro, turismo, agricoltura, famiglie e perfino i "masi chiusi", scoppierebbero. Hanno però bisogno di case, asili, scuole, ospedali, moschee. Un cortocircuito. Lega sudtirolese e destra xenofoba di lingua tedesca hanno compreso di poter archiviare la transmillenaria "recita di Bolzano", di avere finalmente tra le mani l´immagine mitologica capace di evocare il nuovo "invasore del Duemila". «Nasce così - dice il direttore del quotidiano progressista Tageszeitung, Arnold Tribus - il pericoloso e inedito autonomismo razzista. Fa leva su un mix di fondamentalismo cattolico ed estremismo politico di matrice fascista. un vento che, dalle Alpi centrali, spira ormai tra la Baviera e la pianura padana». Sul piano nazionale il pericolo della montante "specialità razziale" altoatesina, sprovvista del calmante finanziario, viene tradotta nel «federalismo fiscale su base territoriale». «Bossi e Calderoli - dice Riccardo Dello Sbarba, leader di mistilingui e interetnici di lingua italiana - illudono le altre regioni di potersi trasformare in tanti piccoli e ricchissimi sudtiroli. Equiparano gli immigrati di oggi agli occupanti italiani del Ventennio fascista. Se c´è uno straniero che preme e minaccia un´identità, si può costruire una paura. L´insicurezza produce uno scontro culturale e il conflitto etnico giustifica una richiesta di autonomia. Hanno capito che federalismo, con il tempo, può significare indipendenza dallo Stato: e che "territorio" diventa un sinonimo presentabile di "esclusione etnica" come difesa dei privilegi economici acquisiti». Sudanesi e somali che sbarcano sulle carrette del mare non lo sanno. Sono però loro, tra il Brennero e Lampedusa, gli strumenti psicologici sommersi usati per accreditare vecchie autonomie belliche, pagate a peso d´oro, e nuovi federalismi fiscali privi di copertura finanziaria. Per questo, a due mesi dal primo esame elettorale locale del riedito berlusconismo leghista, le due uniche Province del nord governate dal centrosinistra autonomista sono inquiete. Il Sudtirolo, con il Trentino, assiste al tentativo di padanizzazione. Rilegge così la propria storia e apprende l´unica lezione autentica dei suoi 60 anni di progressivo autogoverno: lo scontro etnico, lo spettro dello straniero, sono necessari per far accettare la chiusura di un mondo e la creazione di una identità minoritaria; tale sacrificio, la condanna a sentirsi diversi e a vivere come estranei, è tollerabile però solo se un fiume di denaro soffoca l´esigenza di vivere liberi. «Il problema - dice lo scrittore Joseph Zoderer - è che il federalismo italiano non nasce da una vocazione all´autogoverno, o da una tradizione di decentramento. la risposta all´impreparazione a gestire le migrazioni globali. Un espediente governativo per scaricare sulle regioni la crisi economica dello Stato». Il Sudtirolo è così lo specchio, non il modello, dell´aggiornata fuga del Nord dalla nazione. Tedeschi e ladini non temono più assorbimento linguistico e assimilazione identitaria. Gli italiani, minoranza al servizio di un´altra minoranza, hanno imparato ad apprezzare il "malessere" che genera il record europeo di reddito pro capite. Ormai tutti si svegliano autonomisti: non più in omaggio alle radici austriache, ma per timore di perdere ricchezza. «Per il nuovo sudtirolese - continua Zoderer - l´Italia di Berlusconi è un problema. L´economia frena e i finanziamenti calano. Autonomia per tutti significa depotenziare il valore originario di una specialità per chiudere il rubinetto dei soldi. Il messaggio è: "Regolatevi da soli per le tasse e chi può, si salvi". Una terra come questa, di mentalità germanica ma ormai con debiti latini, teme il caos, l´esplosione di micro-conflitti razziali nazionali, la bancarotta dello Stato». Una simile ridefinizione interna dell´autonomismo sortisce due effetti. Riesuma le gabbie etniche, figlie del nazi-fascismo e sorelle della Guerra Fredda. Fonde sudtirolesi e altoatesini in un popolo solo, per la prima volta ideologicamente unito dalla tentazione comune dell´autodeterminazione. Non per ricongiungersi sentimentalmente all´Austria. Semplicemente per opportunità fiscale, per «scappare da un´Italia che non sta più in piedi», per rientrare in un territorio dove le tasse non superano il 25%. Tutti i partiti tedeschi, Svp a parte, vanno a caccia di voti a destra invocando il referendum sull´autodeterminazione. Tutti i partiti italiani guadagnano consensi sostenendo gli «interessi autonomisti della minoranza nazionale»: proponendosi però come partner di governo del partito che tutela solo gli interessi del gruppo che invoca la tutela di Vienna e l´intervento di Innsbruck. «Sarò l´ultimo - dice il presidente Durnwalder - a richiedere l´autodeterminazione. Ma se Roma non potesse più rispettare gli accordi internazionali sul Sudtirolo sarò il primo». Una moderazione costosa. Alle elezioni di aprile l´Svp ha perso dieci punti. Per la prima volta è scesa sotto il 50%. Pressata dalla destra dei Freiheitlichen, ispirati da Haider, rischia la storica maggioranza assoluta anche alle provinciali. «Un finimondo - dice il direttore del potente quotidiano Dolomiten, Toni Ebner - il partito dei sudtirolesi non sarà più l´unico interlocutore dell´Austria, che resta potenza tutrice». «Solo un sintomo di democrazia - dice invece Paul Renner, teologo e isolata voce critica della chiesa locale - la sconfitta dell´autoritarismo del potere provinciale e la vittoria della gente che chiede di partecipare alle scelte». La crisi dell´autonomia etnica, squassata da un federalismo xenofobo, anti-fisco e anti-patriottico, produrrebbe l´ennesimo paradosso di confine: l´avanzata della destra tedesca, che promette «l´addio all´Italia in fallimento», renderà per la prima volta indispensabile il sostegno in consiglio degli odiati «partiti nazionalisti italiani». Fino a oggi l´Svp, dopo la dissoluzione della Dc e per simpatia verso Romano Prodi, ha sempre guardato prima a sinistra. L´italianizzazione violenta del fascismo, le Opzioni del 1939, restano «una ferita curabile, ma non guaribile». «Ma anche i tedeschi - dice il leader di An, Alessandro Urzì - è ora che imparino due princìpi: al governo va chi vince le elezioni, non chi le perde; autonomia significa condivisione alla pari delle opportunità, non concessione degli avanzi del pranzo». Lo slogan è chiaro: «Mai più secondi a nessuno». Fa leva sul cosiddetto «disagio degli italiani» per prospettare un Sudtirolo in cui figli e nipoti della colonizzazione mussoliniana possano tornare a comandare. «Una malattia - dice Durnwalder - immaginaria. La forza della nostra autonomia è l´essere riuscita a portare vantaggi per tutti. chiaro però che, se il federalismo nazionale diviene legge, le cose cambiano. Chiederemo di poter differenziare la pressione fiscale anche dentro le regioni. Se non tocco il gettito complessivo di un territorio, devo poter decidere chi e dove paga di più, o di meno. Per ripopolare una valle, o per sviluppare una zona rimasta indietro». Imposte, o sgravi, villaggio per villaggio. Un processo di frantumazione nazionale ormai travolgente. «Mi ricorda - dice Pius Leitner, Obmann dei Freiheitlichen - la fine della Ddr. Quando Mosca ha chiuso il rubinetto, hanno abbattuto il Muro di Berlino. Il Sudtirolo, appena Roma inizierà a licenziare gli impiegati statali, rischia di essere travolto dalla crisi italiana. Il 23% vive sotto la soglia di povertà relativa, il 38% dei sussidi provinciali finisce agli immigrati, nelle scuole si parla arabo. Ormai sono gli italiani, prima ancora di noi tedeschi, a volere l´indipendenza». Gli argomenti della crescente spinta all´autodeterminazione, non pescano più nel linguaggio del terrorismo sudtirolese. Attingono al vocabolario del populismo classico: basta negri, basta tasse, via la casta, basta sprechi. Lo stipendio di Durnwalder, 25.600 euro al mese rispetto ai 19.300 della cancelliera germanica Angela Merkel, è diventato il simbolo della protesta. «Questo sistema - dice Carlo Willeit, anima storica dei ladini gardenesi - è ormai come Oetzi: mummificato, ridotto a un colossale affare di palazzo. comprensibile che la Lega provi a estenderlo al resto del Nord: ma è naturale che qui, quando il Meridione farà saltare la cassa, si riprenda la strada che porta oltre il Brennero». Un problema che, segnalato dal dipartimento di Stato Usa, agita già sia Roma che Bruxelles. I partiti tedeschi del Sudtirolo, da sempre, sostengono il diritto all´autodeterminazione dei popoli. Il Dalai Lama a Bolzano è di casa. In primavera hanno difeso l´indipendenza del Kosovo. Oggi si schierano a favore della secessione di Abkhazia e Ossezia del Sud, russofone, dalla Georgia. «Sul Caucaso - dice Eva Klotz - concordiamo con Durnwalder: la volontà della gente viene prima degli interessi di Tbilisi». Il timore è che un federalismo italiano squattrinato, nel nuovo contesto di alta tensione occidentale, non moltiplichi solidarietà nazionale, ma conflittualità interna, disgregazione pubblica, odio razziale e spinte centrifughe. «Nessuno - dice un importante diplomatico di Vienna - perdonerebbe all´Italia la responsabilità di un´instabilità etnica nel cuore della Ue». L´idea di un´euroregione alpina indipendente, pantirolese, però si fa strada. Modelli: Lichtenstein e Lussemburgo. «Tra pochi mesi - dice Paul Bacher, comandante dei 5 mila Schuetzen sudtirolesi - festeggeremo i 200 anni dall´insurrezione di Andreas Hofer. Possiamo dire di aver vinto: il Sudtirolo non è diventato terra di un´Italia che ritorna fascista, resta cattolico e l´autodeterminazione si fa più vicina». I sondaggi sostengono che, in caso di referendum, un paio di mesi di propaganda assegnerebbero la vittoria al "Loss von Rom". «Quel giorno nemmeno Bossi - dice un noto banchiere bolzanino - potrebbe più evitare che il federalismo privo di fondi degeneri nel distacco di tutto il Nord dal Paese». L´effetto-Lega, che ha rinvigorito l´intolleranza culturale anche nella destra dell´Svp, si limita per ora a dibattiti più goliardici. Per tre mesi ha sollevato la gente contro l´opera di Martin Kippenberger, esposta nel nuovo museo d´arte contemporanea di Bolzano. Una rana in croce che regge un boccale di birra, autoritratto dell´artista. Scandalo: manifestazioni, digiuni, preghiere, esposti, invocazioni al papa in ferie a Bressanone, epistole dal Vaticano, condanne ministeriali, minacce di dimissioni. La libertà dell´arte sembrava fuori discussione. Fino a l´altro giorno. La Provincia ha ordinato, invano, di rimuovere il rospo crocifisso. Dovere di propaganda. Ma non solo. Anche il Sudtirolo all´italiana, ormai, lo sa: non c´è più autonomia che non possa essere toccata. Giampaolo Visetti