Ezio Mauro, la Repubblica 29/8/2008, 29 agosto 2008
EZIO MAURO
«COME sto? Glielo dico subito. Sto studiando le carte giorno e notte e l´ultima cosa che vorrei fare è mettermi a chiacchierare perché qui prima di pensare a volare – in tutti i sensi – bisogna chinare la testa e lavorare sodo. Ma sento girare un po´ di cose che non capisco o che magari capisco anche, ma che non mi convincono. E allora, se vuole, le spiego perché sto allacciando le cinture e mi imbarco con l´Alitalia». Roberto Colaninno è il numero uno della cordata che prenderà in mano ciò che resta di Alitalia e appoggiandosi ad un grande vettore europeo (Air France o Lufthansa), la traghetterà in una nuova compagnia aerea libera dai debiti e dagli esuberi, scaricati sullo Stato e sul contribuente. Un´operazione che molti giudicano spericolata dal punto di vista finanziario, spregiudicata davanti alle norme europee e anche semplicemente alle regole capitalistiche di mercato: voluta e benedetta da Berlusconi, che ha chiuso la porta in faccia all´ipotesi di acquisto da parte di Air France, parlando di «svendita» e «colonizzazione». Che ci fa qui Colaninno, che vota a sinistra e crede nel mercato, al punto da scalare un gigante come Telecom fino alla vetta, risanare Piaggio quand´era in mezzo ai guai, puntare addirittura alla Fiat quando tutti la davano per fallita? Si è convertito anche lui, non dal punto di vista politico ma da quello capitalistico, passando dal mercato libero e selvaggio al recinto protetto e garantito del potere berlusconiano? Ecco le sue risposte.
Dunque, Colaninno, che ci fa lei sull´aereo Alitalia? Un´operazione di potere?
«Mi dica lei: davanti a una sfida imprenditoriale coi controfiocchi, dovevo starmene a casa solo perché l´ha proposta Berlusconi e io non la penso come lui? E poi? La sera andiamo tutti insieme al bar, sospiriamo, lanciamo qualche maledizione per la sorte del Paese, e ce ne torniamo a casa, senza fare niente? Mani pulite, ma immobili, anzi inutili. E io dovrei fare l´imprenditore in questo modo, in pratica autosospendendomi? Grazie, ma questo ragionamento non mi convince, e non ci sto».
E qual è invece il ragionamento che l´ha convinta a muoversi?
«Provo a dirlo in modo semplice: la responsabilità. Se fai l´imprenditore, una sfida come questa ti chiama, come un dovere. La proposta è di Berlusconi? Ma lui è il capo del governo, e al governo l´hanno mandato gli italiani. Delle due l´una: o vado via da questo Paese, o ci rimango e provo a fare la mia parte, quel che so fare e che mi piace anche. Naturalmente la responsabilità non si ferma qui, ma mi impone di fare le cose secondo la mia etica e i miei ideali. Ha capito? Miei, non di altri. Vorrei essere giudicato su questo, anche negli errori che farò. Non lo so, magari mi sbaglio, ma sono convinto che se tutti ragionassimo così il Paese si tirerebbe fuori dai pasticci».
E perché la responsabilità dell´imprenditore scatta proprio per Alitalia?
«Perché si chiama come il mio Paese, è un servizio pubblico, ha ventimila dipendenti, è una rete della modernità. Santo Dio, è una partita che non possiamo permetterci di perdere, tutti insieme».
Ma è una partita che si gioca con strane regole costruite su misura per voi, non le pare?
«Senta, spero che a nessuno venga in mente che qui ci stanno regalando qualcosa, prima di tutto perché nessuno mi ha mai regalato niente, e poi perché il rischio è grosso così…».
Ma lei può dimenticare che c´era un´altra opzione in campo, quella di Air France, con costi minori per il contribuente e più rispetto per il mercato?
«Lo so benissimo. Ma chi è stato eletto al governo ha deciso diversamente, per una sua strategia a cui certo io non ho contribuito, e che tra l´altro gli sta portando consensi. Non è affar mio il consenso, non dovrei neanche parlarne. Diciamo che ci siamo trovati con questo quadro davanti, e nient´altro. Mi capisce bene? Nient´altro. Alitalia, così com´è, non se la compra nessuno».
Attento, perché così lei sembra dar ragione a quelli che parlano del vostro piano come di una "bufala". Cosa risponde?
«Ho detto che nessuno compra Alitalia così com´è. E ho detto la verità. Ma a certe condizioni il signor Spinetta, che mi descrivono come un manager molto avveduto e molto capace, l´avrebbe comprata, eccome. Trovava conveniente prenderla a condizioni meno facili di quelle odierne. Allora vuol dire che la bufala fa il latte».
Ma lei, come imprenditore e come cittadino, giudica più serio il piano Spinetta o il progetto Berlusconi?
«Come imprenditore, ma anche come cittadino, rispetto il ruolo della politica, che deve definire il campo di gioco. Io posso decidere se mi conviene giocare o no, e se mi interessa. Ho detto di sì. Altrimenti, davanti ad una sfida che mi attirava, se avessi detto di no per ragioni che stanno tutte fuori dal mio mestiere mi sarei sentito un fariseo. Ma insomma, posso fare l´imprenditore come un semaforo, guardando il colore, se è rosso mi fermo e se è verde passo? No, se la cosa mi convince, appena è giallo io passo. E ripeto: ho un mio modo (una deontologia, un´etica, la chiami come vuole) di intendere l´impresa e il mio ruolo, giudicatemi da questo».
Va bene, ma la sua etica da imprenditore non ha niente da dire sul fatto che tutto il rosso di Alitalia – uomini e debiti – si scarichi sullo Stato, come ai bei tempi democristiani dell´Efim?
«Mi scusi, ma lei sa dirmi come possiamo salvare questa azienda se non si fa così? Io, con tutta la buona volontà, non sono mica mago Merlino. Qui l´azienda è cotta, non c´è più, non c´è più niente. Con il kerosene a 200 dollari a barile, come li fa volare gli aerei? Provi lei a fare un giornale senza carta e senza inchiostro. Alitalia è finita, e non è colpa mia, e per la verità nemmeno di Berlusconi o di Prodi».
Ma mi spiega perché bisogna concedere un´eccezione clamorosa a tutte le regole per voi e non per altri imprenditori e altre imprese?
«C´è un´altra strada. Dire "me ne frego". Vede, l´ho sentito dire tante volte, e solo in questo Paese, stranamente. Me ne frego che i telefoni italiani diventino spagnoli, che l´auto finisca in mani americane, che non ci sia più una compagnia di bandiera. Ma chi se ne frega, in realtà, non è capace a fare quello che dovrebbe fare, è uno sconfitto. Possibile che dobbiamo sempre fare il contrario di quel che fa il mondo? Io dico, proviamoci, a ogni costo. Il caso Fiat dimostra che si può fare. E lei sa che io ne ero convinto, quando tutti, appunto, se ne fregavano».
Tra i costi, c´è lo scarico del rosso sullo Stato: perché il cittadino dovrebbe pagare?
«Perché avrebbe qualcosa che gli serve in cambio, e che serve a rendere il Paese più moderno. Una compagnia aerea efficiente, in un sistema aeroportuale funzionale, in una rete di trasporti razionale. L´Italia può forse farne a meno? E poi, il problema è riprendere Alitalia per i capelli dall´abisso, e riportarla nel mercato. Una volta arrivata lì, coi piedi all´asciutto, lavoreremo secondo le leggi di mercato, com´è evidente. Ma per arrivarci, non c´è altra strada, perché non ci sono risorse. E gli aeroplani a pedali non li hanno ancora inventati».
E lei, perché si affaccia su quell´abisso, e non si tiene stretto il successo della Piaggio?
«Perché ho ottima salute, finché Dio me la mantiene, e allora posso fare quel che mi piace, seguire la mia vocazione. In barca non vado, al casinò nemmeno. Cos´altro dovrei fare? La natura imprenditoriale, ridotta all´osso, è tutta qui: costruire qualcosa, o ricostruire qualcos´altro».
Ma quello spirito imprenditoriale non si ribella almeno un po´ nel vedere che nel piano di rilancio c´è di fatto la sospensione dell´Antitrust per i voli Milano-Roma della nuova compagnia che in sostanza assorbirà AirOne con Alitalia e cioè abolirà la concorrenza?
«Antitrust vuol dire concorrenza per servizi migliori a prezzi più bassi. Ma non contiamoci balle: la concorrenza vera nei voli aerei la fai solo se hai certe dimensioni, se no scompari. Dunque, sarò sfacciato, ma le dico che non credo ad un cielo concorrenziale solcato da tante piccole compagnie, ma ad una robusta concorrenza tra pochi vettori grandi e solidi».
Ma così dicendo autorizza di fatto lo Stato a rendere la nuova Alitalia concorrenziale con la sospensione delle regole, mentre le altre compagnie hanno raggiunto la loro dimensione attraverso le regole e il mercato: non le pare un´altra anomalia pesante?
«Senta, Air France ha l´80 per cento dei voli nazionali in Francia, Lufthansa il 90 per cento in Germania, Iberia l´80 in Spagna. E quando lei atterra a Francoforte, sullo schermo le indicano tutte le coincidenze e tutte le connessioni possibili. Cioè si occupano dei passeggeri sia quando sono in volo, sia quando tornano a terra. Voglio dire che la concorrenza si fa a livello di sistema: aerei, certo, ma anche aeroporti, infrastrutture per arrivarci e per tornare a casa. Con l´alta velocità sui treni, ci accorgeremo presto che il concetto di concorrenza è un po´ più largo della vecchia coppia Alitalia-AirOne».
Ma tutto questo, non poteva essere garantito quattro mesi fa (e con meno costi per lo Stato e meno anomalie per il mercato) da Air France?
«Non tocca a me rispondere. Ma lei è proprio sicuro che un campione nazionale nel sistema aereo non serva? Io le dico che se non ci fosse, il cittadino italiano non avrebbe certi servizi. Noi, con la nuova compagnia aerea nazionale, possiamo interagire con altri sistemi, e anzi possiamo diventare un soggetto di razionalizzazione di tutto l´insieme».
A che cosa sta pensando?
«Alle vere anomalie che nessuno vede, come la mappa degli aeroporti italiani. Lasci stare se sono grandi o piccoli, guardi dove sono: partendo da Ovest, ecco Cuneo, Torino, Genova, Milano, Bergamo, Vicenza, Trieste, Treviso, e dimentico sicuramente qualcosa. Sul versante tirrenico, Genova, Pisa, Roma, Napoli, Reggio, Latina, Palermo, dall´altra Linate, Bergamo, Bologna, Forlì, Pescara, Bari, Brindisi, Lecce… Come si può soddisfare un numero di aeroporti così diffusi e concentrati? E intanto io per partire da Milano quando arrivo da Mantova ci metto quattro ore, parcheggio e attesa compresi»?
E lei pensa di poter razionalizzare questa Italia del campanile aeroportuale?
«Bisogna arrivarci per forza. Per far partire un aereo, bisogna prima avere una base-clienti più larga e più costante, e bisogna rivolgersi ai gestori degli aeroporti, delle autostrade, delle ferrovie per coordinare una gestione che ottimizzi il sistema. E c´è poco da fare, con un campione nazionale, è più facile fare sistema. Mi dica lei: di questo il Paese ha bisogno oppure no? Con tutto il rispetto, non è come vendere caramelle: stiamo parlando del futuro dell´Italia. E se la sfida è questa, un vero imprenditore come fa a starne fuori? E il colore politico di chi comanda, come fa a bloccarti? Sarebbe come se un avvocato non difendesse un imputato che ha idee politiche diverse dalle sue».
Ma la sfida imprenditoriale è ancora tale quando deve piegarsi al protettorato della destra su Malpensa, invece di puntare su un solo hub italiano, come avviene negli altri Paesi?
«Potrei dirle che è politico o ideologico anche chiudere Malpensa per concentrare tutto a Fiumicino. Ma in realtà le dico che è superficiale. Si faccia un´analisi geofisica del Paese, con tutte quelle montagne. Guardi le città, capirà subito che dietro Milano e Roma non c´è il bacino di Parigi o di Londra. Bisogna lavorare sui due poli, con un bacino strategico molto più largo, uno per tutto il Nord, l´altro per il Centro e il Sud».
Non dipenderà anche dall´alleato? Lei è per Air France o Lufthansa?
«Ho le mie idee, ma almeno su questo sto zitto. Stiamo trattando con entrambi, e vanno alla stessa velocità. Uno dei due ci serve, è indispensabile».
E se uno dei due dicesse vengo, ma solo per comandare?
«Non se ne parla nemmeno. Questo è chiaro a tutti».
Vuol dire che comanderà lei?
«Se comandare vuol dire guidare, sì. Guiderò io. Poi certo avrò un amministratore delegato».
Tratta lei anche con i partner stranieri?
«Non direttamente. Ma ancora una volta mi trovo a negoziare con società non italiane in condizioni di inferiorità. Siamo sempre i più piccoli, sempre svantaggiati. Questo mi fa girare le scatole. Certo, oggi siamo a zero, e sto zitto. Ma tra cinque anni non sarà più così, vedrà».
Cosa glielo fa dire?
«Il mercato che abbiamo alle spalle. E´ straordinario: il quarto in Europa e il settimo o ottavo nel mondo. Ecco un modello perfetto per chiudere il nostro discorso: quel mercato, unito alla nostra vocazione imprenditoriale, spiega la sfida capitalistica moderna più di tante parole».
C´è ancora una cosa da spiegare: quella vocazione imprenditoriale, non è in contraddizione aperta con l´idea di scaricare gli esuberi alle Poste?
«E va bene, se vuole proprio saperlo dentro di me la contraddizione la sento. E non mi piace. Ma mi dica lei, è sicuro che saremmo tutti più tranquilli e contenti se in Italia ci fossero cinquemila disoccupati? Potremmo farci carico a cuor leggero della loro frustrazione? O siamo davvero tutti pronti a pagare più tasse per mantenerli? Se il sistema non soddisfa in termini economici questa richiesta di lavoro, cosa diciamo? Dovete morire di fame»?
Ma non le viene in mente che a queste condizioni d´eccezione tutti sarebbero capaci di vincere la sfida?
«E che lo facciano allora, che vengano. Non è che qui ci sia una cosca che si divide protezioni e benefici. Diciamola tutta una buona volta: non ho avuto benefici nemmeno a Telecom, non ho partecipato alle privatizzazioni, ho fatto un´opa pagando le azioni alle vedove irlandesi e ai professori dei fondi di Los Angeles. E non ho pagato tangenti, lo ripeterò fino alla morte. Come qua: nessun privilegio, solo responsabilità».
Con l´utile garantito della vendita tra qualche anno dell´azienda risanata, utile per voi privati, debiti per lo Stato: non è un privilegio?
«Dello Stato abbiamo già parlato. Quanto ai privati, che vendano secondo convenienza fa parte della logica di mercato. Non sfruttiamo il pubblico, cogliamo un´opportunità di mercato, ma attenzione: il risultato sarà dato da quell´opportunità più le nostre capacità e il nostro impegno. Colgo una sfida, mi metto in gioco, seguo la mia etica e pago le tasse. Se a un certo punto vendo perché mi conviene, mi dica, perché no»?
E cosa risponde a chi dice che Berlusconi ha convertito Colaninno?
«Che non è vero. Resto delle mie idee, mi riconosco nella sinistra riformista. Ma so separare il cittadino che giudica e l´imprenditore che agisce. Li ricongiungo nell´etica della responsabilità e dormo tranquillo».
Un´ultima domanda: cosa le ha detto dell´operazione Alitalia suo figlio Matteo, ministro ombra dell´Industria del Pd, che sta all´opposizione di Berlusconi?
«Lui critica le idee di Berlusconi, e io lo rispetto. Lui rispetta me come imprenditore. Andiamo avanti così, e ci vogliamo bene».