varie, 30 agosto 2008
FAZIO Lorenzo
FAZIO Lorenzo Genova 1955. Editore. Figlio dell’ex presidente di Italia Nostra Mario Fazio (scomparso nel 2004), ha iniziato la sua carriera alla Marietti, piccola editrice d’impronta cattolica. Dal 2003 al 2006 direttore editoriale della Bur, nel 2007 ha fondato la casa editrice “Chiarelettere”. Ha una partecipazione nel quotidiano “Il Fatto” (in edicola dal 23 settembre 2009) • «Incroci del destino, porte girevoli, sentieri che si biforcano. Era il 1991 e Alessandro Dalai, amministratore delegato di Electa e di Einaudi, stava praticamente facendo le valigie da viale Biancamano, assieme al suo alter ego Piero Gelli. Tornò a Milano con in tasca il titolo pronto per una raccolta di aforismi, “Anche le formiche nel loro piccolo s’incazzano”, che all’Einaudi, dove resisteva ancora un po’ di puzza culturale sotto il naso, non volevano sapere di pubblicare. Rilevò un marchio storico e defunto, Baldini & Castoldi, e nacque il fenomeno editoriale che tra satira televisivizzata e antiberlusconismo incipiente e poi militante avrebbe fatto da mosca cocchiera alla sinistra girotondina ante litteram degli anni di Tangentopoli. Più o meno in quegli stessi mesi, a Casa Einaudi rientrava un giovane editor tosto e preparato, Lorenzo Fazio. A Torino aveva già lavorato, giovanissimo, all’epoca grama del commissariamento degli anni Ottanta, in tempo per ammirare da vicino i vecchi monumenti, i Calvino e i Primo Levi. Ma ora ci tornava da professionista fatto e rifinito per dare una scossa ai tascabili e ai gloriosi Struzzi, direttamente nel “board” collegiale messo su per rianimare la più nobile casa editrice morente della sinistra italiana. Ci rimarrà con successi di catalogo e invenzioni editoriali, firmando pure traduzioni dal francese, fino al 2003. Prima di passare a Milano, destinazione la Bur della Rizzoli, con in tasca, anche lui, un’idea vincente di cui a Torino – probabilmente – nessuno voleva sapere. Idea destinata, però, a oscurare la Baldini Castoldi Dalai editore nel suo storico ruolo di faro della sinistra giustizialista, e di trasferire il blasone dell’editore senza macchia e senza paura sul petto di Fazio. L’idea era quella della collana Futuropassato della Bur. Quella di Gomez & Travaglio, per capirci. [...] i destini di Dalai e Fazio sono tornati a sfiorarsi, per quanto alla lontana e in modo più che altro simbolico. Nel 2001 Dalai era stato il promotore del salvataggio dell’Unità, riportata in edicola con la direzione di Furio Colombo e del vice Antonio Padellaro. Il resto è cronaca: a maggio 2008 a rilevare il giornale “fondato da Antonio Gramsci e sfondato da Walter Veltroni” arriva Renato Soru, e il 25 agosto Concita De Gregorio firma il suo primo numero da direttore. In verità la cronaca è un po’ meno lineare di come la riassumiamo noi, se nel 2005 Peter Gomez e Marco Travaglio la raccontarono con ben altri veleni e altri non-detti in un libro dal titolo L’inciucio, in cui la storia dell’Unità dalla rinascita targata Dalai alla cacciata di Furio Colombo veniva riletta come un gran complotto della cricca affaristico-dalemiana. Il libro era pubblicato dalla Bur di Lorenzo Fazio. [...] più calvo che stempiato, occhialini e un accenno di baffi, il perfetto look da chierico post einaudiano, à la Roberto Cerati, niente a che vedere col capello grigio-lungo e vagamente anni Ottanta di un Alessandro Dalai [...] di Travaglio è amico e affezionato editore e [...] condivide [...] una certa visione della politica e della libertà d’informazione: “La prima caratteristica dell’editoria è che deve essere libera, serve libertà di critica”[...] intellettuale che sarebbe un errore confondere con un “descamisado” dell’ultima ora. Ha studiato a Parigi laureandosi su Foucault: “Studiavo i processi di produzione delle verità. Da dove vengono, come possono essere messe a nudo”, ha raccontato. “Questa tensione mi è rimasta. Giornali e tv raccontano il potere per celebrarlo. Io invece voglio farlo scendere dal piedistallo. Mi sforzo di trovar persone antagoniste che stimolino”. Diventato editore, Lorenzo Fazio di giornalisti-autori che “stimolino” ne ha trovati un bel po’: Travaglio e Gomez, ma anche Oliviero Beha, Saverio Lodato, Gianni Barbacetto. La pensano allo stesso modo. Ci vogliono editori duri e puri per giornalisti duri e puri. Ma siccome in Italia editori così non ne esistono, bisogna cominciare dal manico, per permettere alla lama purificatrice del giornalismo di immergersi nella carne infetta della nazione. Senza però rinunciare a qualche doverosa garanzia professionale e di mercato. [...] Chiusa l’esperienza Einaudi, Fazio era arrivato in Rizzoli nel 2003, chiamato a rivitalizzare la Bur, lo storico marchio dei tascabili: missione impossibile quasi quanto un salvataggio di Alitalia, se nessuno ti concede di infilare in una “bad company” tutti i titoli che non si vendono più. Così Fazio decide di farsela da solo, la sua “good company”, e di puntare non su una nuova collana, ma su una nuova formula di impronta giornalistica, combattiva. Nasce la collana “Futuropassato”, il primo titolo di Marco Travaglio e Peter Gomez, Regime (prefazione di Giorgio Bocca) esce nel 2004. Vende 220 mila copie, è un caso editoriale. In Rizzoli forse non si fidano, ma ci credono. L’anno dopo arriva Inciucio, arriva Opus Dei Segreta di Ferruccio Pinotti, Indagine sul calcio di Beha. Titoli che vendono bene, che si fanno notare, anticipano la tendenza editoriale “anti casta” che esploderà di lì a poco. Anche se poi sono sempre Gomez e Travaglio a fare la differenza, con Le mille balle blu, il florilegio ufficiale di tutti i “detti e contraddetti” di Silvio Berlusconi. In Rizzoli forse non ci credono, o non si fidano. O semplicemente Fazio vede più lontano, sa di essere pronto al grande passo. “A loro non interessava. Me ne andai. Era arrivato il momento di fare qualcosa per conto mio”. Quel che conta, è che andandosene da via Mecenate per fondare il suo nuovo marchio Chiarelettere – “editore multimediale indipendente (libri, Dvd, Web) con l’intento di creare uno spazio in cui l’informazione e la cultura possano sottrarsi all’influenza sempre più evidente di partiti, associazioni, gruppi economici e religiosi. Per controllare e stimolare criticamente tutti i poteri, di qualsiasi colore politico. Per raccontare il presente scoprendo nuove energie politiche e sociali” – Fazio non dimentica di portarsi via il format vincente, quello di Futuropassato, nonché i suoi autori gioiello. A maggio del 2007 esce il primo titolo, Come resistere nella palude di Italiopoli, di Oliviero Beha. La prefazione stavolta la firma Beppe Grillo. Poi Barbacetto, Gomez e Travaglio firmano Mani sporche. Come Tangentopoli ha ucciso Mani pulite e vendono 125 mila copie. Daniele Biacchessi Il Paese della vergogna, Sandra Rizza e Giuseppe Lo Bianco pubblicano L’agenda rossa di Paolo Borsellino. Ma è sempre la premiata ditta G&T a sparare i botti migliori: Se li conosci li eviti, esemplare gogna giornalistica preventiva, uscita a tempo di record poco dopo la caduta del governo Prodi per segnalare agli italiani un centinaio abbondante di “raccomandati, riciclati, condannati, imputati, ignoranti, voltagabbana, fannulloni del nuovo Parlamento” ha venduto poco meno di duecentomila copie. [...] Chiarelettere ha piazzato titoli di grande impatto mediatico. Niente di particolarmente rivoluzionario dal punto di vista politico e culturale, se si vuole: l’attacco giustizialista alla politica; il giudice Imposimato che in Doveva morire racconta a Sandro Provvisionato i torbidi misteri del caso Moro; il risorto potere mafioso svelato da Saverio Lodato e Roberto Scarpinato con Il ritorno del principe. Insomma il “mainstream” della visione a tinte fosche della storia repubblicana tanto cara alla sinistra radicale, ma anche un po’ alla destra. Il tutto ben impaginato, con un marketing aggressivo, direbbero gli esperti. Chiarelettere sa andare con mano sicura a cercare il suo pubblico là dove il suo pubblico vuole essere trovato: nel suo immaginario indignato, antipolitico, desideroso di riscatto. Alla cassa, fanno otto milioni e mezzo di fatturato nel 2008 per un venduto da un milione di copie. Perché Lorenzo Fazio, con il suo marchio editoriale dalla grafica asciutta e aggressiva, il suo gruppo di lavoro agguerrito e stakanovista, capace di dare un’impronta nuova al concetto un po’ frusto dell’istant book, è tutto tranne che uno sprovveduto naïf. Anche se ama dichiararsi totalmente indipendente “da qualsiasi gruppo di potere”, Chiarelettere è il frutto di un’operazione editoriale studiata, costruita con tutti i crismi industriali e con le dovute garanzie di stabilità che ne fanno qualcosa di diverso dal semplice marchio portabandiera del girotondismo da piazza Navona. Anche se il bacino d’utenza è per buona parte lo stesso. Quando se ne va dalla Bur, Fazio ha con sé ottimi soci-alleati. In primis Stefano Mauri, “Mister Messaggerie” e presidente del gruppo Mauri-Spagnol, la terza holding editoriale italiana che di Chiarelettere detiene il 49 per cento, mentre Fazio ha solo il 30. Nella società entrano anche altri nomi che contano, come l’editore televisivo Sandro Parenzo e Guido Roberto Vitale, banchiere d’affari solido, universalmente stimato per l’alto profilo etico delle sue esperienze professionali, che Fazio aveva già incrociato proprio alla Rizzoli, nel periodo breve in cui Vitale fu amministratore delegato di Rcs MediaGroup, prima di far posto a Piergaetano Marchetti. Ma poi, secondo la vulgata, lo misero alla porta proprio a causa della sua insofferenza per le logiche appiccicose tipiche dei grandi gruppi di potere editoriale. E allora via, la nuova casa editrice è nata al grido di “basta col dire contemporaneamente una cosa e l’altra. Basta coi brodini tiepidi”. Anche se Fazio è troppo uomo di mondo per negare che avere alle spalle la potenza distributiva delle Messaggerie sia un dettaglio indifferente. Ma lui, con molto understatement, si limita a dire che la cosa “ci ha consentito di essere grandi e piccoli insieme”. E che comunque “Mauri-Spagnol è una delle pochissime case editrici indipendenti in Italia”. A dirla tutta, essere l’editore dei libri di Marco Travaglio significa anche essere editore per un pubblico di invasati così (citiamo il diario di una qualunque blogger girotondina): “Lunedì scorso sono stata alla presentazione del libro di Marco Travaglio La scomparsa dei fatti (vabbé, è edito dal Saggiatore, nessuno è perfetto, ndr), dove c’era anche Curzio Maltese, l’ho trovato piuttosto ‘scoraggiato’”. E insomma, “Marco (sic! ndr) ha introdotto alcuni argomenti trattati nel libro e ha lanciato pesanti accuse alla categoria dei giornalisti spronando il pubblico a sommergere le redazioni di lettere di protesta”. Ma soprattutto “al termine della serata Marco (wow! ndr) ha concesso autografi ai presenti, scambiando qualche parola con loro. Marco ha autografato il mio libro e mi ha detto grazie, ricambiando il ringraziamento ho notato che, a differenza di quanto detto da qualcuno in giro per i forum, quando si rivolge a te ti guarda dritto in faccia… questo è l’atteggiamento di una persona trasparente e non snob come qualcuno sostiene”. Bisogna anche avere la consapevolezza che il pubblico, “il pubblico che sente la mancanza perché in tv o sui giornali non trova spazio” annovera anche parecchia gente in evidente stato di confusione mentale, come quest’altro: “Se rimproveriamo a Travaglio di far soldi coi libri (e a Grillo di far soldi con gli spettacoli teatrali, e ai parlamentari che si battono contro gli amministratori corrotti e inquisiti, a qualunque partito debbano rendere conto) allora stiamo dicendo che chi pretende di voler cambiare in meglio la società dovrebbe farlo senza incassare un euro”. Ma grazie al cielo il nostro ritiene che “riguardo il discorso dei libri la questione è più complessa. Se critichiamo Travaglio che incassa milioni dalle edizioni Chiarelettere, dobbiamo criticare Rizzo e Stella che con La casta mettono in luce grandi ingiustizie e clientelismi della nostra società, e io di certo non attaccherò i due inviati del Corriere, perché per questione di ‘fede’ difendo le loro battaglie”. Diciamola tutta: sotto il profilo della soddisfazione intellettuale, essere l’editore di Marco Travaglio non è proprio paragonabile a quella che, ai tempi belli, poteva essere stata la soddisfazione di essere l’editore dei Quaderni dal carcere di Antonio Gramsci. Ma i tempi sono cattivi, e comunque business is business. Quello che volgarmente si definisce lo zoccolo duro dei lettori c’è, a comprovarlo c’è anche il successo della rimanente parte dell’impresa multimediale di Chiarelettere, ovvero il sito Web e i seguitissimi blog (Travaglio, Beha, Pino Corrias) ospitati. Così che le recenti vicende dell’Unità e le turbolenze interne al popolo della sinistra – variamente disamorato o attratto dal Pd, dal Prc, dai girotondi, dal grillismo e financo del dipietrismo – lasciano davvero intravvedere lo spazio teorico per provare ad allargare l’iniziativa editoriale – e mai politica, sottolinea Fazio – di Chiarelettere. Dalle parti di via Guerrazzi, la strada tranquilla e borghese a ridosso di corso Sempione, ma ben al riparo dalla movida serializzata dell’Arco della Pace, dove Fazio ha il quartier generale, l’ipotesi di mettere mano a un progetto giornalistico non è negata né rigettata. [...]» (Maurizio Crippa, “Il Foglio” 30/8/2008).