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 2008  agosto 30 Sabato calendario

APERTURA FOGLIO DEI FOGLI 1 SETTEMBRE 2008

Le elezioni presidenziali americane sono uno degli avvenimenti più seguiti al mondo. Carlo Jean: «Ancor più delle Olimpiadi. Molti sono persuasi che la vittoria dell’uno o dell’altro candidato possa modificare la politica Usa, influendo così su quella del proprio Paese». [1] La settimana scorsa a Denver, in Colorado, la convention dei Democratici ha ufficializzato la candidatura di Barack Obama. Arrigo Levi: «Per mesi, tutta l’America si è mobilitata per scegliere tra una donna e un negro, tra un americano per caso e la rappresentante di una ”dinastia politica”. E alla fine il vincitore ha imboccato la strada diretta per la Casa Bianca. Spettacolo grandioso, col mondo che sta a guardare con le dita incrociate». [2]

Già in vantaggio di 10 punti, Obama è arrivato a Denver alla pari. [3] Nel suo discorso ha voluto smontare l’accusa che lo vede troppo vago e fumoso. Marco D’Eramo: «Ha quindi enumerato una serie di misure, dalla detassazione del 95% delle famiglie, quelle a reddito medio-basso, all’assumere centinaia di migliaia di nuovi insegnanti e aumentare loro lo stipendio. Alcuni propositi suonano francamente irrealizzabili, da un punto di vista sia tecnico che politico: per esempio, l’obiettivo di abolire del tutto la dipendenza degli Usa dal petrolio medioorientale in soli dieci anni. In ogni caso, quel ”cambiamento” che ha tanto invocato durante la campagna è oggi un po’ meno vago di quanto fosse una settimana fa». [4]

Obama doveva dimostrare tre cose. D’Eramo: «1) che è uomo capace di andare all’attacco e di sfilarsi i guanti se necessario; 2) che non è un elitario (accusa che gli ha fatto molto male, soprattutto in stati poveri e rurali); e 3) che è uno statista e non una pop star. Dire che sia riuscito a smontare del tutto queste accuse è troppo, ma certo ha iniziato a contrastarle». [4] Secondo un sondaggio Gallup, i primi giorni della Convention hanno dato a Obama un rimbalzo di quasi 6 punti, [5] saliti a 8 dopo il suo discorso. [6] Anna Guaita: «Ma lo stratega della campagna, David Axelrod, sa che si tratta di un successo temporaneo, e ammette che, con l’inizio della convention repubblicana, il vantaggio molto probabilmente ”evaporerà”». [7]

Nelle stesse ore in cui Obama è «uscito dal sogno per entrare nella storia» (titolo del Daily News), McCain ha rubato il tuono all’avversario («stolen the thunder» nello slang americano), dando maggiore interesse alla Convention repubblicana che, uragano Gustav permettendo, dovrebbe iniziare oggi a St. Paul, in Minnesota. Doveva essere la solita «passerella di vecchi brontoloni, di predicatori di sventura e di retorica su Dio, patria, famiglia» (Vittorio Zucconi), ma la scelta come vicepresidente di Sarah Palin, 44enne governatrice dell’Alaska, ha cambiato il programma. [8] Concita De Gregorio: «Il contropiede di McCain, in fondo prevedibile, è stato andarsi a prendere quello a cui Obama aveva appena rinunciato: una donna capace di far dimenticare Hillary». [9]

«Gelmini d’Alaska» (De Gregorio) che si nutre di hamburger d’alce e guida l’idrovolante, ex reginetta di bellezza che coi soldi del premio ha studiato e preso due lauree, detta ”Barracuda” da quando vinse un torneo di basket nonostante l’infortunio a una caviglia, la Palin ha sposato un eschimese miliardario campione di motoslitta. [9] Popolarissima in tutto il suo Stato (indice di gradimento del 90 per cento, il più alto fra tutti i governatori Usa) per la sue capacità di amministratrice onesta ed efficiente, ha cinque figli. [10] Giancesare Flesca: «Il più grande combatte in Iraq. Il più piccolo è nato Down a maggio scorso. La madre sapeva di questa malattia ma l’ha messo egualmente al mondo, definendo il suo arrivo come ”un’immensa benedizione” e tornando a lavorare sodo tre giorni dopo il parto». [11]

Contraria alle unioni gay, favorevole a una totale libertà di porto d’armi (è membro della NRA, la lobby degli americani che amano girare armati), per i conservatori la Palin è una scelta quasi perfetta. Gli altri elettori repubblicani, invece, potrebbero esserne spaventati: priva di esperienza in politica estera, non è un personaggio noto per le sue capacità diplomatiche. «Le strade dell’Alaska sono cosparse dai cadaveri degli avversari che hanno provato a tagliarle la strada», scriveva un anno fa con una certa ammirazione il Weekly Standard, rivista ideologica della destra. Massimo Gaggi: «Solo che, da vice di McCain, questo personaggio così spigoloso e inesperto un domani potrebbe trovarsi a dover gestire una crisi internazionale in caso di improvvisa incapacità del Presidente». Oltre ad essere piuttosto anziano (72 anni venerdì scorso), ricordano i suoi avversari, McCain ha un melanoma sotto controllo ma non totalmente debellato [10]

La campagna presidenziale americana si sta trasformando in una sorta di doppio misto tennistico. Zucconi: «Due giocatori giovani e due anziani si misurano ai due lati della rete, cercando di neutralizzarsi a vicenda. Gioventù contro gioventù, vecchiaia ed esperienza contro vecchiaia ed esperienza. Ma ora, con la governatrice, torna il fattore donna, sulla scelta politica e potrebbe essere il jolly che Obama non si aspettava». [8] Glauco Maggi: « lo schiaffo più sonoro che McCain poteva infliggere a Obama, che ha gettato al vento la partnership con la Hillary dai 18 milioni di voti, ed ora ha visto la repubblicana Sarah Palin raccogliere il testimone della battaglia per l’emancipazione delle donne». [12]

Scegliendo la governatrice dell’Alaska, McCain aveva in mente anche i voti delle Puma. Maria Laura Rodotà: «Quelle che hanno come slogan Party Unity My Ass, l’unità del partito mettetevela eccetera. Le irriducibili di Hillary, ferite dalla sconfitta, che dicevano o dicono ”Obama non lo voterò mai”». [13] Le vedove di Hillary la chiamano missione NObama. Per loro, quel metrosexual insicuro e molle non è solo fastidioso, è anche pericoloso «perché programma di disarmare l’America mentre i nostri nemici stanno mettendo in piedi arsenali nucleari. Perché con lui le tasse sui guadagni di borsa verranno raddoppiate e i dividendi tassati». Silvia Grilli: «Ci sono questi e molti altri motivi per odiarlo, tra i quali, dice la delegata del Colorado Sacha Millstone, c’è ”l’ego di Obama”». [14]

Il problema della Palin è che ha una storia molto lontana da quella della maggior parte delle supporter di Hillary. Mario Calabresi: « religiosissima e contraria all’aborto e questo mentre galvanizza l’elettorato conservatore e gli evangelici, potrebbe non funzionare con l’elettorato democratico». [15] Glauco Maggi: «L’inaspettata compagna di cordata di McCain non è una femminista, ma sono le mamme, bianche e lavoratrici, e non le militanti pro aborto, che lei cercherà di attrarre». [12] Parafrasando il titolo del libro di Obama L’audacia della speranza, le Puma hanno preparato un documentario anti Barack intitolato L’audacia della democrazia. In una scena del video, un supporter di Hillary sostiene: «Gli obamiani fanno tanto i fichetti, si considerano sexy e brillanti, guardano con disprezzo le donne di mezza età che lavorano». [14]

Obama e Palin rappresentano i due elettorati emersi prepotentemente come protagonisti nelle primarie democratiche: gli afroamericani e le donne. Maurizio Molinari: «Ora la sfida si ripete a livello nazionale con il governatore dell’Alaska a vestire i panni che furono di Hillary Clinton. Poiché l’America resta divisa a metà, per vincere a McCain-Palin basta riuscire a ottenere anche una quota minima del terzo di clintoniani in fuga da Obama. Per i democratici la strada appare invece in salita perché il 99 per cento dei neri non basta, dovranno riuscire a portare in massa alle urne giovani e indipendenti. un duello dal quale tanto i repubblicani che i democratici usciranno trasformati». [16]

L’interesse per i vicepresidenti dura al massimo un paio di giorni: gli elettori votano per i due candidati principali e per i loro programmi. Fabrizio Tonello: «Anche se la narrazione offerta dai media si concentra sulle caratteristiche personali degli aspiranti alla presidenza, il 55% degli americani si dice convinto che il problema principale, quello che determinerà il voto, sono le proposte dei candidati. In questo, malgrado la campagna di Obama sia stata fin qui un po’ sonnolenta, il discorso di Denver, molto ”programmatico” ha molto rafforzato l’appeal dei democratici». [17]

La percezione è tutto: vincerà chi riuscirà a occupare la realtà con il proprio racconto dell’avversario. Marco De Martino: «McCain dipinge Obama come una rockstar incompetente. Il candidato democratico dice del repubblicano che è un guerrafondaio troppo ricco». Lo scrittore americano David Baldacci, maestro del thriller politico: «La realtà è pericolosa, perché può cambiare in modi imprevedibili e incontrollabili. Ecco perché la comunicazione raramente si concentra sui temi della campagna e punta invece a colpire il carattere dell’avversario. Le regole sono poche, ma per essere applicate richiedono grande esperienza. Bisogna sempre arrivare primi con un messaggio sull’avversario. E poi bisogna farlo ripetere da più fonti: scritto da opinionisti, ripetuto in tv, raccontato negli spot. Questi moltiplicatori del messaggio lo fanno sedimentare al punto che quando arriva una precisazione si perde nel caos dei media». [18]

Nei commenti pubblicati dai giornali di tutto il mondo dominano gli stereotipi. Jean: «Uno dei più diffusi è quello che Barack Obama poiché appartiene al Partito democratico sarà più disponibile al dialogo e meno all’uso della forza. Sarà un ”anti-Bush” multilateralista, che ascolterà con attenzione non solo per cortesia le ragioni dell’Europa. John McCain invece è più antipatico. Non potrebbe poi differenziarsi troppo da Bush. Sarà duro e unilateralista, pronto ad usare la forza invece della diplomazia, tanto preferita dagli europei. Pretenderà però meno dagli alleati. Li conosce e sa di non potere contare molto sul loro aiuto. In realtà, qualunque sia, il nuovo presidente Usa sarà sempre multilateralista quando gli sarà possibile, ma unilateralista se riterrà necessario agire anche senza il sostegno di alleati. La frase non è mia. del presidente democratico Clinton». [1]