Anna Zafesova, Panorama 4/9/2008, pagina 83., 4 settembre 2008
Panorama, giovedì 4 settembre « un tandem indivisibile, dove contrariamente alla regola dei rapporti umani non entra l’invidia
Panorama, giovedì 4 settembre « un tandem indivisibile, dove contrariamente alla regola dei rapporti umani non entra l’invidia. E chi sperava di spezzarlo con la prova di forza nel Caucaso si trova deluso». Il panegirico, pubblicato dall’una volta liberale Izvestia, annuncia ai russi la buona notizia: invece di un presidente ne hanno due. L’ex, Vladimir Putin, è diventato un superpremier che, secondo molti, è il vero artefice della guerra contro la Georgia. Tanto che a lui si rivolgono i leader occidentali nel tentativo di fermarla. Il secondo, Dmitri Medvedev, da debuttante è stato catapultato nel cuore di una crisi internazionale, che secondo Mikhail Gorbaciov ha gestito con «responsabilità e dignità», schizzando nei sondaggi al 75 per cento e diventando non solo un’ombra di Putin ma un «uomo forte». Che tale comportamento gli abbia precluso ogni possibilità di presentarsi come una colomba e condurre una partita politica autonoma non pare preoccuparlo granché. «La maschera è stata gettata»: è la frase che più spesso si sente pronunciare al Cremlino e dintorni. Medvedev annuncia il riconoscimento da parte della Russia delle enclave Georgiane ribelli Abkhazia e Ossezia del sud, e dice di essere pronto a tutto, anche alla rottura nelle relazioni con la Nato. Il suo predecessore e mentore Putin si sincronizza e annuncia che la Russia romperà i pochi accordiche avrebbe dovuto preludere all’adesione all’Organizzazione mondiale del commercio (Wto). Ora cambia tutto: «Se anche ci sono dei vantaggi all’adesione alla Wto, noi non li vediamo» dice Putin. Tuttele mosse con cui l’Occidente voleva minacciare la Russia per l’invasione della Georgia sono anticipate dalla Russia stessa, che quasi con senso di sollievo taglia ormeggi per salpare verso una navigazione solitaria. Il messaggio, com’è spesso successo nei giorni della crisi georgiana, è stato affidato a Dmitri Rogozin, ambasciatore di Mosca presso l’Alleanza atlantica. Richiamato a Mosca per consultazioni, Rogozin ha incontrato Medvedev. All’uscita dal colloquio al Cremlino ha commentato: «Dobbiamo essere pronti a un raffreddamento dei rapporti con l’Occidente, non ha alcuna importanza quali programmi concreti verranno congelati, se è il senso della collaborazione a mancare. una situazione simile a quella che precedette la Prima guerra mondiale, quando le potenze europee si scontrarono per colpa di un terrorista. Spero che il presidente georgiano Mikheil Saakashvili non entri nella storia come un nuovo Gavrilo Princip» (il rivoluzionario serbo che con l’assassinio a Sarajevo dell’arciducaFrancesco Ferdinando fece scoppiare nel 1914 la Prima guerra mondiale). Dunque è guerra, forse non solo fredda? L’ipotesi che in Occidente viene affrontata con estrema cautela, e spaventa politici, in Russia viene vissuta con inesorabilità e quasi entusiasmo. Come dice il politologo Mikhail Dianov, direttore dell’Istituto di politica regionale, «doveva succedere, prima o poi, se non nel Caucaso in Asia centrale, o lungo il fronte europeo. Abbiamo iniziato a difendere i nostri interessi nazionali e questo all’Occidente non piace». Lo scontro con l’Occidente è visto come inevitabile, quasi voluto, nella retorica putiniana della «Russia che si risolleva», minacciata dal resto del mondo. L’uscita di Mosca dal trattato sulle armi convenzionali in Europa, per esempio, sembrava un altro capriccio, o un messaggio ricattatorio all’Occidente, invece aveva un fine pratico: senza le limitazioni all’uso dell’esercito nel Continente, il Cremlino ha potuto invadere la Georgia. E l’invio a Bruxelles, l’anno scorso, di Rogozin (politico ultranazionalista che aveva scandalizzato perfino la Russia per i suoi spot elettorali dove l’immondizia delle strade di Mosca veniva paragonata agli immigrati e in generale alle persone di etnia non slava) era un preludio alla rottura. E poi l’invio dei bombardieri russi in giro per il mondo, il negoziato con Cuba per una base dell’aviazione strategica, le minacce di puntare missili sulla Polonia... Che non si tratti di un gioco delle parti, come i politici occidentali hanno sperato, lo dimostra anche la totale mancanza di aperture degli esponenti russi. «Nessuna conferenza internazionale sul Caucaso, nessuna mediazione, l’unico oggetto di trattative internazionali può essere la demilitarizzazione della Georgia» sintetizza Konstantin Zatulin, influente deputato della Duma e promotore di una campagna per riunificare i «compatrioti» dispersi dopo la fine dell’Urss. Da Mosca il mondo è visto in un altro modo e questo sarà fonte di infiniti equivoci nel dialogo politico. Chi ha assistito al banchetto alla Duma dopo il voto (450 deputati favorevoli su 450, un caso senza precedenti) per il riconoscimento degli abkhazi e degli osseti racconta di un’esultanza «quasi che la Russia avesse vinto i mondiali di calcio» ironizza il Kommersant. Per la prima volta dal ”91 la Russia acquisisce pezzi di territorio (l’indipendenza delle due repubbliche è vista come una transizione verso l’annessione)e vince militarmente una guerra. Lo status quo postsovietico è finito, qualcuno l’ha già capito: il presidente della Moldova Vladimir Voronin si è precipitato da Medvedev per garantirgli la sua lealtà e, in cambio dell’abbandono di ambizioni di adesione all’Ue e alla Nato, il capo del Cremlino ha promesso di «risolvere» il problema con l’enclave russa della Transnistria, finora candidata a diventare un’altra Ossezia. Il progetto neoimperiale non farà che aumentare l’isolamento internazionale, ma a Putin e Medvedev ciò non fa paura. «Il problema dei rapporti con l’Occidente non è un problema nostro, è loro. L’Europa in particolare ha più bisogno di noi di quanto noi abbiamo bisogno di loro. La nostra posizione è ottima» riassume Dianov. Le risorse di petrolio e gas, insieme alla crisi economica negli Usa, danno un senso di invulnerabilità. Negli ambienti politici di Mosca circola già una lista di ritorsioni contro le pressioni internazionali: dal congelamento della collaborazione sull’Iran(dove il ruolo della Russia è finora stato ambiguo) alla fornitura di armi a paesi «canaglia» come la Siria, alla rottura di tutti gli accordi sul disarmo, nucleare e non, alla rivendicazione del territorio ucraino. In altre parole, la guerra fredda. «Come può rispondere l’Occidente, visto che siamo in gradi di bloccare le sanzioni all’Onu? Boicottado le Olimpiadi di Soci nel 2014?» ridacchia un consulente del Cremlino. I vincoli ideologici del comunismo non ci sono più e il capitalismo ha insegnato un disincantato cinismo: nessuno teme che gli europei smetteranno di comprare petrolio russo e di vendere a Est i beni di consumo. Quanto alle possibili ritorsioni, si aggiunge quella di ritirare gli investimenti russi nei titoli di stato Usa. Poche sono le voci che ricordano come la posizione della Russia sia tutt’altro che «ottima». La borsa è in caduta libera con gli investitori in fuga dal rischio politico, l’avanzo della bilancia dei pagamentisi sta restringendo a vista d’occhio (le esportazioni di petrolio e gas sono ferme, mentre i consumi dei russi aumentano) e l’invasione della Georgia è stata appoggiata solo da Siria, Cuba e Bielorussia. Ma il momento è «ottimo» per motivi interni. La coesione nazionale pare totale. Perfino i minuscoli partiti liberali hanno appoggiato, con qualche distinzione, la guerra. Forse mai nella storia russa il linguaggio del ministro degli Esteri e quello dell’uomo ella strada è stato quasi identico. I blog di politica esplodono di commenti sulla «vittoria della Russia»: «Dobbiamo colpire per primi», «Abbasso l’Occidente degradato con la sua democrazia», «Siamo il popolo più grande al mondo, gli occidentali pensano solo ai soldi». Co l’inevitabile contorno di antisemitismo e razzismo anticaucasico opposto alla grandezza dei «russi bianchi e nordici». il popolo di Putin, quello che l’ha votato e lo vorrebbe rivotare ancora e ancora. E che ora è contento di aver votato Medvedev. Anna Zafesova