Christopher Hitchens, Corriere della Sera 29/8/2008, pagina 41, 29 agosto 2008
Corriere della Sera, venerdì 29 agosto Uno di questi giorni prometto di pubblicare la mia intera raccolta di notizie a rovescio sull’Iraq, dove il vero senso della storia è il contrario di quello che si intendeva esprimere
Corriere della Sera, venerdì 29 agosto Uno di questi giorni prometto di pubblicare la mia intera raccolta di notizie a rovescio sull’Iraq, dove il vero senso della storia è il contrario di quello che si intendeva esprimere. (Finora il primo premio va alla notizia più deprimente di tutte: oggi i becchini in Iraq sono minacciati dalla disoccupazione. Le loro condizioni di vita, da sempre precarie, sono a serio rischio per il declino nel tasso di omicidi. Non ci credete? Aspettate a leggere la mia antologia.) In attesa, vi intratterrò con l’incredibile notizia del surplus di bilancio iracheno e del modo in cui è stata riferita. Grazie soprattutto all’aumento del prezzo del petrolio, alla scoperta di nuovi giacimenti dalla caduta di Saddam Hussein e all’incremento nelle esportazioni tramite gli oleodotti verso la Turchia, questa eccedenza di bilancio potrebbe ammontare a qualcosa come 79 miliardi di dollari entro fine anno. Una buona parte del tesoretto è al sicuro in una banca di New York. Direi che questa è una buona notizia, anche se capisco l’irritazione del senatore Carl Levin, e di altri che si occupano di vigilare sull’economia e le finanze irachene, i quali lamentano che tutta quella ricchezza accantonata è un vero scandalo, quando si pensa alle ingentissime spese sostenute dal governo americano per la ricostruzione della Mesopotamia. Certo, dovrebbe essere l’Iraq stesso a finanziare la sua ricostruzione. Ma prima di concordare tutti su questa ovvia proposta, forse dovremmo fermarci un attimo e chiedere scusa a Paul Wolfowitz. Delle tante calunnie scagliate contro questo sostenitore della liberazione dell’Iraq, probabilmente nessuna è stata tanto sbandierata quanto le sue dichiarazioni davanti al Congresso, quando affermava che la rinascita dell’Iraq, dopo decenni di dittatura e di guerre, sarebbe stata autofinanziata. Oggi gli oppositori dell’intervento strillano che l’Iraq dovrebbe aprire quel portafoglio rigonfio seduta stante. Ciò avverrà, indubbiamente, ora che le vaste risorse del-l’Iraq sono tornate nelle mani del suo popolo e non più «privatizzate » come proprietà personale di una famiglia criminale e psicopatica. Il senatore Levin, che con il senatore John Warner ha richiesto il rapporto originale dalla Ragioneria di Stato per le finanze irachene, era il democratico di spicco nella sottocommissione del Senato che investigò lo scandalo oil for food (petrolio in cambio di cibo). Levin sa benissimo che cosa accadeva alla ricchezza petrolifera irachena, come veniva prostituita tramite un programma delle Nazioni Unite per essere poi convogliata verso nobili cause, quali il finanziamento degli attentatori suicidi a Gaza e dei politici filo Saddam, e «contro la guerra», a Londra, Parigi e Mosca. Mentre questo arricchimento criminale delle élite estere e irachene andava avanti, la popolazione dell’Iraq viveva nell’immondizia e beveva acqua contaminata come conseguenza delle sanzioni internazionali inflitte dalle Nazioni Unite. Dovremmo essere ben lieti che non sia più il regime sadico e aggressivo di Saddam Hussein a intascare l’aumento del prezzo del petrolio, per spartirsi i guadagni con terroristi, ladri e demagoghi annotati nel suo libro paga segreto. Dovremmo essere lieti che la sua gestione privata delle forze armate irachene, come il monopolio del partito Baath, siano stati per sempre aboliti. Le risorse irachene non sono più a disposizione di un’oligarchia parassitica e guerrafondaia. Oggi l’esercito iracheno, nuovamente addestrato ed equipaggiato, viene spiegato non in guerre di invasione contro i paesi vicini o per il genocidio dei suoi concittadini, bensì in campagne per contrastare Al Qaeda e le armate Mahdi. E questo rappresenta un netto miglioramento. Non è per spirito vendicativo che vorrei ricordarvi come, meno di un anno fa, tutta la scaltra fazione di opinione liberale era convinta che la dissoluzione del Baathismo e del militarismo fosse stato un grave errore, che l’Iraq stesso fosse un pozzo senza fondo di dollari sprecati e di morti insensate, e che l’unica opzione restasse quella di ritirarsi il più in fretta possibile per lasciar divampare l’inevitabile guerra civile. Se si fosse dato credito anche a una sola di queste tremende sciocchezze, non sarebbero stati nemmeno i sicari di Saddam a mettere le mani su quella fantastica ricchezza in un paese altamente strategico come l’Iraq, quanto piuttosto le sanguinarie milizie che giurano fedeltà al Wahabismo più fanatico da una parte, o allo Sciismo più fondamentalista dall’altra, strumenti entrambi delle forze tiranniche che governano i paesi confinanti. Prima del 2003, esisteva forse una base socioeconomica per giustificare la dittatura in Iraq, in quanto l’assenza di petrolio in terre sunnite forniva il pretesto alla cricca criminale di Tikrit per giustificare il dominio delle regioni curde e sciite, le quali possedevano effettivamente lucrosi giacimenti. Oggi, la scoperta di nuove riserve petrolifere e le nuove leggi varate per la decentralizzazione regionale e provinciale assicurano invece la base socioeconomica del federalismo. Anche qui, siamo davanti a un notevole progresso. Questo elemento della struttura, in gergo marxista, non basta tuttavia a garantire la sovrastruttura, come l’immensa nuova ricchezza oggi nei forzieri iracheni non rappresenta automaticamente una promessa di prosperità per tutti. Ma ci si può seriamente lamentare che tali questioni vengano affrontate nell’unico contesto possibile, e cioè nell’era post-Saddam, ovvero nella sola condizione necessaria e indispensabile per tali sviluppi? Allora sì, è vero, le grandi operazioni belliche sembrano giunte al termine e ci si può permettere di dichiarare «missione compiuta». Se sussistono ancora nostalgie irachene per il vecchio partito e il vecchio esercito, bisogna dire che sono molto ben camuffate. L’Iraq non gioca più a nascondino con le armi di distruzione di massa né ospita sul suo suolo organizzazioni terroristiche internazionali. Non è più soggetto a sanzioni che penalizzano la popolazione e arricchiscono la classe politica. Le minoranze etniche e religiose non sono più trattate come sottospecie umana. Il dibattito interno più acceso di questi ultimi giorni riguarda la data delle prossime elezioni provinciali e nazionali. Certamente, oggi dovrebbero essere chiamati a rispondere e a giustificarsi non coloro che hanno caldeggiato questa emancipazione, bensì quanti l’hanno ostacolata a ogni passo. Christopher Hitchens