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 2008  agosto 28 Giovedì calendario

Nòva, giovedì 28 agosto 2008  l’alba dei Terminator di ultima generazione, non quella dei robot ionici e dei nanocalcolatori ad acido nucleico, roba sorpassata, e non è neppure l’ora delle macchine emotive a inferenza variabile, molto di più

Nòva, giovedì 28 agosto 2008  l’alba dei Terminator di ultima generazione, non quella dei robot ionici e dei nanocalcolatori ad acido nucleico, roba sorpassata, e non è neppure l’ora delle macchine emotive a inferenza variabile, molto di più. La frontiera delle frontiere, quella dove non si vede neppure la luce perché si va più veloci, si occupa di analisi di complessità che si basano sull’incertezza. I confini si spingono, per la prima volta seriamente, sino a lambire l’intelligenza artificiale, e si basano sulla probabilità, sui meccanismi decisionali e sulla teoria dei giochi. Si basano, in fondo, sugli errori. Imparare in modo probabilistico utilizzando dei database relazionali, legati da algoritmi che si innovano in modo automatico man mano che le informazioni in rete crescono è quasi un delirio, alcune implicazioni sono del tutto teoriche e concettuali, ma altre sono estremamente pratiche come l’analisi di dati biomedici eterogenei (epidemiologici, genetici e X-omici) o la diagnosi dei guasti (errori quindi) che occorrono in sistemi ibridi complessi altamente automatizzati. Per saperne di più basta leggere cosa sta facendo il gruppo guidato da Daphne Koller a Standford (http://robotics.stanford.edu/~koller/) per predire gli ingorghi stradali, migliorare la visione artificiale o capire come si diffondono le metastasi. Usano metodi di statistica bayesiana basati sulla probabilità che un evento A si verifichi a condizione che si verifichi un evento B (e quindi C, D e così via). Tale probabilità esprimerebbe una sorta di «correzione» delle aspettative sul valore di A dettata dall’osservazione di B e dunque in grado di modificare i dati in proprio possesso. Quello che vediamo, valutiamo, misuriamo non vale e non è vero se non è corretto da interferenze accessorie, che sono tanto più accurate quante più volte sono state ripetute. Vale forse la pena ricordare che la probabilità condizionata ha senso solo se l’evento B si può verificare (quindi non se è un evento impossibile), altrimenti non serve a niente. Tutti questi sforzi sono volti a sviluppare sistemi di ragionamento logici che rispettano regole o se ne discostano in modo prevedibile. Invece che occuparsi di ciò che appare come tale, la logica probabilistica cerca di astrarre delle regole da tutto il resto, dal rumore di fondo che conferisce senso all’incertezza. Dato che la biologia è sempre più di una «scienza dell’informazione» in cui numerosi eventi vengono influenzati da altri eventi, questa disciplina sta diventando fondamentale nella comprensione più profonda dei processi cellulari e molecolari, ma non solo. Identificare gli scarti nella matrice, le vibrazioni in un pattern altrimenti sempre identico a se stesso, potrebbe condurre a modellare la sublime dinamica del cervello umano e soprattutto la sua capacità di apprendere dall’esperienza, per giusta o sbagliata che sia e non è roba da poco. Sappiamo che gli esseri umani che eseguono delle mansioni monotone e ripetitive sono suscettibili di commettere degli errori occasionali che possono avere delle conseguenze gravissime (vedere Chernobyl per credere). Nonostante questo ben poco è noto circa le attività cerebrali che codificano simili errori. infatti evidente che anche l’errore, come fenomeno biologico, debba essere anticipato da eventi che pur discostandosi dalla «normale» attività neuronale siano comunque assimilabili a essa. Si tratta di differenze nelle attivazioni o inibizioni di regioni cerebrali in particolari successioni tra loro, di alterazioni nel periodo di eccitabilità e di determinate aree. Alcuni risultati suggeriscono quali possano essere i significati nelle dissonanze della «rete mirabile» che controlla le prestazioni umane che hanno uno scopo preciso. Sistemi neuronali multipli e differenti controllano e correggono diversi tipi di errore (per esempio quelli che derivano da scostamenti procedurali sostanziali, o quelli da ripetizione della stessa azione) che possono essere assimilabili i primi a errori gravi, tipo mancato raggiungimento dello scopo; i secondi a errori meno gravi, tipo deviazioni di strategia per raggiungere lo scopo. Il nostro cervello non procede mai per certezze assolute, anzi. Nelle scelte fondamentali una serie di circuiti ridondanti vagliano le diverse opzioni, ma – alla fine – la decisione è basata anche su variabili influenzate dai ricordi precedenti, condizioni cognitive, interferenze emotive e persino motorie. Uno dei motivi per cui il cervello umano potrebbe consentire differenti tolleranze nella valutazione degli errori che compie, tanto da evolvere dei circuiti dedicati, deriva probabilmente dal fatto che mentre alcuni errori sono potenzialmente letali, altri sono utili a imparare nuove strategie. In effetti un qualunque programma che ripete all’infinito lo stesso procedimento ha una sola modalità per migliorarsi che è quella di diventare più veloce e più efficiente (ovvero meno costoso in termini energetico-economici), ma non inventerà mai niente di nuovo. In mancanza di errori la struttura non potrà evolvere. A ben guardare il materiale biologico che più di ogni altro ha applicato il principio dell’errore è proprio il codice della vita, lo stesso Dna. I biologi molecolari raccontano che la caratteristica più affascinante del Dna è in effetti quella di commettere errori e di ricordarli e aggiungono: se così non fosse, saremo ancora batteri e non ci sarebbe la musica. La maggior parte del nostro Dna è veramente piena zeppa di errori, eppure porta le informazioni più preziose che siano mai state trasmesse, contiene le istruzioni su come costruire un essere umano, il risultato più importante nell’evoluzione dei viventi (può darsi che io abbia un lieve conflitto di interessi nell’affermare una cosa del genere, ma per lo stesso principio voi non dovreste annuire). Non solo gli errori nel nostro Dna vengono dai nostri genitori e da tutti gli antecedenti prima di loro, ma le cellule che ci costituiscono generano nuove mutazioni che sono più o meno significative per la vita dell’individuo (solo il 5% del Dna codifica per informazioni strutturali), ma fondamentali per la specie nel suo insieme. «Tutto sommato la storia degli errori dell’umanità, sembra più importante e interessante di quella delle sue scoperte. La verità è uniforme e angusta; esiste costantemente e non sembra richiedere un’energia tanto attiva per mantenersi, è come se fosse basata su un’attitudine passiva dell’anima che la mantiene comunque nel tempo. Ma per quanto riguarda gli errori invece si tratta di un mondo infinito che non ha una realtà propria, è una creazione pura e semplice della mente che inventa quanto la circonda. Solo in questo modo l’intelletto ha abbastanza spazio per diffondersi, può visualizzare tutte le sue infinite facoltà e tutta una serie di comportamenti nuovi e stravaganti». L’avrei voluto scrivere io, ma lo riferì Benjamin Franklin, nel suo rapporto al re di Francia sul magnetismo animale, nel 1784. Luca Pani* *direttore dell’Istituto per le tecnologie biomediche del Cnr e presidente di Pharmaness, Cagliari