Ugo Tramballi, Il Sole-24 Ore 28/8/2008, pagina 7., 28 agosto 2008
Il Sole-24 Ore, giovedì 28 agosto 2008 La cortina di ferro non era solo una barriera fisica: filo spinato, cemento e guardie
Il Sole-24 Ore, giovedì 28 agosto 2008 La cortina di ferro non era solo una barriera fisica: filo spinato, cemento e guardie. Era anche una condizione dell’anima. Fino alla fine degli anni Ottanta, volando da Vienna a Mosca, a metà del viaggio si aveva la sensazione di varcare la frontiera tra due universi. Per quanto il cielo, apparentemente, fosse sempre uguale. Come discesa da quello stato d’animo dimenticato, la definizione di "Guerra fredda" è tornata a essere di uso comune. Se ne serve il potere russo per minacciare, la trascrivono i giornali. Ma quanti cittadini europei che vent’anni fa erano bambini sanno cosa fosse? Chi può capire cosa significasse avere un visto per un Paese oltre cortina, che oggi si visita senza documenti? «Da Stettino sul Baltico a Trieste sul Mare Adriatico una cortina di ferro è discesa sul Continente», disse Winston Churchill in un discorso a Fulton, Missouri. Era il 5 marzo 1946. Guerra fredda era la conseguenza dell’equilibrio del terrore. Compiuta una dissennata corsa all’arma atomica (si arrivò a 40mila ordigni), Usa e Urss capirono che nessuno avrebbe vinto una guerra nucleare. Il Single Integrated Operational Plan americano prevedeva un attacco preventivo con 4.200 testate: 80 milioni di morti. Ma i missili americani non avrebbero fatto in tempo a cadere prima che i sovietici lanciassero i loro. La guerra non guerreggiata se non dalle ideologie, dalle differenze economiche, dalla propaganda e dalle spie, cioè la Guerra fredda, era la necessaria alternativa al massacro garantito. E la cortina di ferro era quella divisione fisica e spirituale al di qua e al di là della quale milioni di europei vivevano vite quotidiane diverse: gli uni guardando da lontano gli altri come diversi. Quelli dell’Est non venivano da noi se non in delegazione scientifica o sportiva: il passaporto nel mondo comunista era consegnato per il singolo viaggio autorizzato dall’apposito ministero, e ripreso subito dopo. E noi non potevamo andare all’Est se non in comitiva Inturist: il turista singolo non esisteva. Dalla Germania Est a Mosca (oltre c’era il vuoto: il 35% del territorio sovietico era chiuso anche ai russi) milioni di persone vivevano, mangiavano, lavoravano, perfino votavano. Ma era tutto finto. C’erano il Patto di Varsavia e il Comecon, equivalenti comunisti della Nato e della Comunità europea. Ma erano di cartone: c’erano solo i grandi numeri fissati dai piani quinquennali, ma col passare del tempo sempre meno carri armati che sparassero con precisione ed economie che si occupassero di produzioni e consumi reali. "Dieta" era il nome dei negozi alimentari statali di Mosca, con vetrine e scaffali vuoti. Ma la forza persuasiva del mondo oltre la cortina di ferro andava ben al di là delle sue capacità reali che nessuno osava sfidare. Ormai alla fine di questa illusione, quando Helmut Kohl e George Bush padre avviarono la riunificazione delle Germanie, Giulio Andreotti e altri leader europei continuavano a sostenere di amare la Germania tanto da preferirne due. Berlino Est o Varsavia non avevano un valore intrinseco: al viaggiatore che veniva da Mosca sembravano belle come Parigi; a quello che arrivava da Parigi sembravano tristi come Mosca. La Finlandia, che oggi è uno dei Paesi più avanzati d’Europa, era il simbolo di una neutralità senza attributi. "Finlandizzazione", cioè un Paese libero quasi in tutto tranne che nella politica estera e di difesa, era allora una forma rudimentale di globalizzazione: stava sia di qua che di là. O da nessuna parte, congelata in un luogo geografico della Guerra fredda. Ai corrispondenti occidentali che nell’ottobre 1989 seguirono Gorbaciov nel suo ultimo incontro con Erich Honecker sembrava incomprensibile - a loro venuti da Mosca - che tanti tedeschi dell’Est stessero fuggendo da un Paese così ordinato e pulito. Non potevano immaginare che la fine della cortina di ferro era già incominciata. Il 27 giugno di quell’anno, molti mesi prima della caduta del Muro di Berlino, Alois Mock e Gyula Horn, ministri degli Esteri di Austria e Ungheria, ormai distante dal comunismo, avevano tranciato il reticolato della Guerra Fredda. Da quel giorno migliaia e migliaia di tedeschi dell’Est passarono a Ovest, via Ungheria e Austria senza rischiare di essere arrestati dai vopos della Germania comunista. Era bastato un buco per abbattere la potente cortina di ferro. Ma erano passati 42 anni perché la gente scoprisse che era stata tutta una finzione. Ugo Tramballi