Francesca Bonazzoli, Corriere della Sera 24/8/2008, pagina 27, 24 agosto 2008
E Cristo si rivelò nella pittura. Corriere della Sera, domenica 24 agosto Oggi che siamo dentro una delle più radicali trasformazioni sociali e culturali che il mondo abbia mai attraversato – la cosiddetta «globalizzazione » – può tornare utile guardare a un altro periodo della storia altrettanto destabilizzante e rivoluzionario, quello collocato fra la fine del principato di Commodo, 192 d
E Cristo si rivelò nella pittura. Corriere della Sera, domenica 24 agosto Oggi che siamo dentro una delle più radicali trasformazioni sociali e culturali che il mondo abbia mai attraversato – la cosiddetta «globalizzazione » – può tornare utile guardare a un altro periodo della storia altrettanto destabilizzante e rivoluzionario, quello collocato fra la fine del principato di Commodo, 192 d.C., e la fine del regno di Teodosio il Grande, 395 d.C., e cioè i secoli in cui terminò la primazìa di Roma, e dell’Italia, come centro del potere. Fu una crisi che, visivamente, si manifestò con la fine dell’arte antica il cui equilibrio si incrinò con l’introduzione, per la prima volta nell’arte dell’Occidente, di un elemento irrazionale destinato a dominare per molti secoli. Anche la diffusione di un nuovo culto proveniente dall’Oriente, il Cristianesimo, contribuì a questa trasformazione accelerandola dopo il 313 quando, con l’editto di Costantino che rendeva libero il rito, il Cristianesimo si impose come religione ufficiale. Dentro tali cambiamenti, i semi del mondo tardoantico, paleocristiano, germanico e dell’Oriente bizantino, generarono insieme la nuova forma dell’Occidente medievale. Nelle arti figurative il trapasso dall’Antichità al Medioevo è contrassegnato da incertezze e perdita delle tecniche di pari passo con la disgregazione dell’Impero, della sua rete viaria e della sua struttura centralizzata che garantiva la circolazione del sapere. Ma è anche il tempo di sperimentazioni e innovazioni iconografiche necessarie alla diffusione del nuovo culto cristiano. All’inizio le immagini furono ricercate soprattutto nel repertorio del passato: per esempio Cristo venne assimilato alla figura del pastore, rappresentato come un giovane che regge una verga o suona una siringa o una lira come nelle raffigurazioni classiche di Orfeo, ma questa iconografia fu limitata all’arte paleocristiana e si estinse già nel Medioevo. Anche l’immagine della crocifissione, su cui Giotto, Donatello, Velàzquez, Guido Reni o Tintoretto hanno costruito capolavori, ha un lungo periodo di gestazione: poiché per i primi cristiani la condanna a morte sulla croce (abolita da Costantino) era ancora percepita come una pena infamante riservata a schiavi, prigionieri di guerra e rivoltosi, la crocifissione di Gesù era rappresentata simbolicamente attraverso un agnello accompagnato da una croce. L’immagine come la conosciamo oggi non compare prima del VI secolo e rimane rara fino all’epoca carolingia. Non solo: se sotto l’influsso bizantino il Cristo era rappresentato con grandi occhi aperti, per nulla sofferente e il capo circondato da un’aureola dorata come la corona di un re, nell’XI secolo comparve un nuovo tipo con il corpo emaciato e il capo reclinato, ricoperto, dal XIII secolo, da una corona di spine. Segnali di un’altra grande rivoluzione in corso che arriverà a separare la storia dell’arte occidentale da quella orientale: Giotto ne fu il protagonista che «rimutò l’arte del dipingere di greco in latino, e ridusse al moderno». Ovvero liberò le immagini dall’immutabilità iconica bizantina (greca), adorate proprio perché credute provenienti dall’Oriente cristiano e quindi dal modello originale, ricollegandole alla fonte classica (latina), ovvero alla natura e alla storia. Con Giotto gli dei scendono nuovamente sulla terra, sullo sfondo di cieli azzurri anziché d’oro, fra case e alberi, insomma dentro la storia dell’umanità. un linguaggio «moderno», come scriveva il Cennini, che due secoli dopo verrà nuovamente superato da un’altra «maniera moderna» i cui campioni saranno individuati dal Vasari in Raffaello, Leonardo e Michelangelo. E ancora una volta a ispirare questo ennesimo mutamento sarà la riscoperta dell’arte antica, il ritrovamento della statue del Laocoonte, dell’Apollo, di Venere che popolavano le ville della Roma imperiale. Come ai suoi esordi, l’arte cristiana tornerà a fare man bassa del repertorio classico facendo del Rinascimento il secolo più «pagano» con putti, nudi, sibille e grottesche a popolare persino la Cappella Sistina e gli appartamenti del papa in Vaticano. Una festa per gli occhi e per i sensi cui il concilio di Trento dovette porre un limite per rispondere allo scandalo che provocava nei protestanti i quali arrivarono a bandire le immagini dalle chiese. Ma ormai l’armoniosa bellezza dell’arte antica era ritornata a galla per dominare fino al XX secolo, fino a quando Duchamp non mise i baffi alla Gioconda rovesciando di nuovo tutti i valori e sottolineando così il ritorno a un’epoca simile a quella dei nostri antenati: alla fine del mondo antico e dell’Occidente come centro del potere. Francesca Bonazzoli