Beppe Sebaste, la Repubblica 24/8/2008, pagina 34, 24 agosto 2008
la Repubblica, domenica 24 agosto CASALVIERI (Frosinone). Pochi sapranno che in Ciociaria, a Casalvieri, paese in provincia di Frosinone che ha dato i natali, tra gli altri, al comico francese Coluche, si producono milioni di palloncini colorati che vengono esportati in tutto il mondo
la Repubblica, domenica 24 agosto CASALVIERI (Frosinone). Pochi sapranno che in Ciociaria, a Casalvieri, paese in provincia di Frosinone che ha dato i natali, tra gli altri, al comico francese Coluche, si producono milioni di palloncini colorati che vengono esportati in tutto il mondo. A risvegliare la mia curiosità è stato un amico artista nativo del luogo, e che fa uso di palloncini in opere che ammiro. Si chiama Elmerindo Fiore detto Lindo, e non solo usa i palloni nelle sue installazioni e tableaux vivants, ma ne conosce intimamente la storia. Qualche anno fa ha promosso una Festa del Pallone, con esposizioni di arte d´aria e un concerto di strumenti a fiato. Ha organizzato lui la mia visita alle fabbriche leader mondiali di palloncini in questo paesino accovacciato sotto i monti. Mi ha detto: «Il pallone gonfiato è leggero come una nuvola, segue traiettorie lente, ha una sua imperturbabilità, è assente ma visibile, è un contenitore di fiato e non di vento, è l´otre di un Eolo addormentato». E la sua definizione ricorda la prima in un vocabolario dove «palloncino» non designava più un lampadario di carta, ma un «giocattolo, costituito d´un globo di membrana elastica colorata, gonfiato con gas più leggero dell´aria e trattenuto dal salire per mezzo di un filo» (C. Pascarella, 1920). Non avevo mai pensato prima ai palloncini, non consapevolmente. Ho fruito, come tutti, della loro colorata ed effimera esistenza con più o meno allegria, come del circo e i clown. Accanto alla leggerezza, la leggiadria, la maneggevolezza (chi non si è sentito un campione di pallavolo facendo rimbalzare un palloncino?) ne ho declinato presto il pathos sottile: l´impermanenza, lo scoppio improvviso e sempre un po´ scioccante, o l´afflosciarsi lento e languido, l´avvizzimento malinconico, l´implosione. Li ho usati in addobbi di feste, e non solo per bambini. Ho vissuto, come tanti, quella «gnoseologia della perdita» di cui parla John Berryman nella poesia La palla (Canti onirici e altre poesie), dove descrive il dolore, il lutto del bambino che la perde («Non serve dire "Oh, ce ne sono altre"»). Non avevo mai pensato ai palloncini, eppure forse non ho mai mirato che a questo, scrivere sui palloncini. L´idea che la verità della scrittura risieda nella sua impermanenza; e che ogni scritto, anche il più monumentale, sia uno scritto "di circostanza". Parole-palloncini. Come la paziente arte orientale del mandala, che una volta ultimato viene soffiato via. E poi, un "giornale" dura forse più di un palloncino? Per questo non mi stupisce l´insistenza dei palloncini nell´arte contemporanea. A parte la celebre serie di Fiati d´artista di Piero Manzoni (palloncini gonfiati da lui stesso, o così si suppone), basta sfogliare un catalogo di arte odierna per trovare artisti di tutto il mondo che lavorano con palloncini - sculture, video o installazioni. Come se la mutevole impermanenza del palloncino s´incontrasse con quella dell´arte in un reciproco processo di drammatizzazione e sdrammatizzazione. Un´arte d´aria per dirne l´insostenibile leggerezza, come nelle mostre di Martin Creed. O i paradossi di Jeff Koons: sculture di palloncini rosa o viola come quelli annodati dai giocolieri agli angoli delle strade, a forma magari di cagnolino, però di metallo. I palloncini, o un loro metonimico equivalente, sono entrati subito nella storia dell´arte, poi nel cinema e nella letteratura. All´inizio ci sono i palloncini di Henri Rousseau detto il Doganiere, in un olio su tela del 1892 dedicato al ballo popolare nel centenario della Repubblica francese, le fotografie struggenti di Brassai, le prime con palloncini trattenuti da un filo, e quelle di Nadar de "l´aerostato Nettuno a Montmartre". Dal dadaismo del film Entr´acte di René Clair - dove lo spirito rivoluzionario del «far saltare tutto per aria» si autoironizza nel volo di alcuni palloncini disegnati come volti (presto afflosciati), alternato dalla partita a scacchi di Marcel Duchamp e Man Ray - al Palloncino rosso del quadro di Paul Klee. Duchamp si mostrava spesso coi palloncini in mano, ma lo spirito delle avanguardie storiche è così omogeneo all´invenzione dei palloncini che, senza bisogno di parlarne, le opere dell´epoca se ne sentono complici, come il canzonatorio «saltimbanco dell´anima» di Aldo Palazzeschi è sinonimo di poeta. Ci voleva Stephen King, maestro dell´horror e paladino dell´infanzia (solo i bambini, nelle sue storie, vedono e sconfiggono il Male) per invertire la tendenza e raccontare, nel suo celebre It, un demone assassino e seduttore dall´aspetto di clown, che adesca i bimbi offrendo loro palloncini. Perfetto esempio di "perturbante" (Unheimlich): cosa c´è di più innocente e fragile di un palloncino? Eppure una delle scene più inquietanti del romanzo è il volo dei palloncini contro vento... Ma eccomi dunque a Casalvieri. La fabbrica più grande è la Gemar, ma ho preferito visitare la familiare Cattex, gestita dalla calorosa famiglia Catallo. La mia visita è avvenuta (non può essere un caso) nel periodo più pallonaro di tutti, quello dell´ultima campagna elettorale. Sulle macchine che stampano le decorazioni dei palloncini vedevo imprimersi i loghi e gli slogan delle diverse forze politiche, parole come "Rutelli", "Veltroni", "Popolo della Libertà". Scherzi del destino: alcuni palloncini ancora da gonfiare li ho ancora, intatti. Le parole e le funzioni che essi rappresentano e designano appaiono già vecchie e raggrinzite, se non scoppiate come bolle. Non fu d´altronde Ariosto che nell´Orlando furioso inventò i palloncini? Quando Astolfo va sulla Luna per recuperarne il senno, tra i «vani disegni» e i «vani desideri» dei mortali, gli capita di calpestare «un monte di tumide vesciche», vesciche gonfie d´aria che risuonano di fioche grida e tumulti, e altro non sono che ciò che resta delle «corone antiche», i potenti regni del passato, «che già furo incliti, et or n´è quasi il nome oscuro». Affidare la propria fama a un palloncino non è già un folle sogno, e segno, dei politici, votati al mero presente? La fabbrica mi appare subito come un atelier di giochi per i bambini, e i macchinari un´esposizione di sculture mobili tra Jean Tinguely e... Calder. Marchingegni geniali per eseguire gesti semplici, come immergere stampi in un liquido (del colore voluto), e asciugarli; altre che gonfiano i palloncini per sottoporli a una pressa che li decori, tra colori e sbuffi d´aria. Imparo che il lattice si importa dalla Malesia, che gli stampi sono in pvc, materiale che resiste a calore. Prima vengono immersi nel nitrato di calcio puro, senz´altri elementi chimici, che serve da coagulante. Il tempo di immersione dello stampo nella vasca del lattice crea lo spessore del palloncino. Di nuovo un getto di acqua e carbonato di calcio per evitare che si incolli esternamente. Quando sono asciutti (un nastro scorrevole li fa passare per un forno a sette gradi per un quarto d´ora circa), un´altra macchina ne crea il bordo intorno all´apertura. La macchina di produzione fu inventata da un autodidatta con competenze da ingegnere, Gino Catallo, i cui studi raggiunsero la quinta elementare a Casalvieri. Se questa è la tecnica attuale, in passato, mi racconta Elmerindo Fiore, i palloncini venivano realizzati uno a uno con "para cruda", sottili fogli di gomma sagomati, vulcanizzati nel cloruro di zolfo e colorati nell´acqua bollente con colori in anilina altamente tossici. «Considera - mi ha detto - che si chiama "anilismo" l´avvelenamento da anilina che nella forma acuta, dice la Treccani, "può arrivare a procurare il coma con esito letale"». La svolta avviene alla metà degli anni Cinquanta, quando quella tecnica fu progressivamente sostituita con la tecnica di immersione di forme nel lattice di gomma liquida - quella che ho potuto vedere nella fabbrica Cattex - e per un certo tempo la produzione fu mista. I palloni in lattice di gomma colorata venivano essiccati al sole o in forni rudimentali, immersi nel talco ed estratti dalle forme pronti per essere decorati. «Ancora insiste nella mia memoria olfattiva - racconta Lindo - un odore di benzolo e di ammoniaca, fortissimo, quasi allucinatorio. La mia fu una fanciullezza sulfurea e coloratissima. Ricordo filari di gialli, di rossi, di azzurri artificiali. Fu un´allucinazione respiratoria e visiva, con casse di talco che nel mio immaginario diventavano cipria, come la parola "anilina" diventava "anima" (che sul Melzi, il mio primo vocabolario, viene subito dopo). Scoprii leggendo Novalis che "di tutti i veleni l´anima è il più forte". Mia madre faceva l´operaia nel laboratorio di Giuseppe Rocca, e io la raggiungevo dopo la scuola. Mio padre preparava i timbri per le decorazioni (immagini floreali, personaggi a fumetti, scritte pubblicitarie) per i produttori. I timbri - che qui chiamavano stampe - erano intagliati su legno di pero. Il pallone veniva gonfiato con uno strumento a mantice (soffietto) simile a quello che gli alchimisti usavano per potenziare il fuoco del forno, e poi "stampati". Finito e pronto per durare un niente, perché quest´oggetto bizzarro - che oggi è diventato importantissimo per l´economia del mio territorio - è in fondo destinato alla conservazione effimera del fiato, sia esso artificiale o d´artista». La gomma veniva comprata dalla Pirelli, in casse da tre rotoli. Ora siamo all´azienda "Rocca Clemente" (il nome di uno dei fondatori, ma anche dell´attuale titolare). Qui si producono palloni giganti, che servono per addobbi e per la pubblicità - come per la campagna dell´Opel Agila, "mille pezzi blu", e per molti partiti politici (Berlusconi è un ottimo cliente). Palloni giganti furono sperimentati per la prima volta nella trasmissione televisiva Scommettiamo che...: un gruppo numeroso di persone riuscirono a infilarsi, uno per volta, all´interno di un gigantesco pallone in lattice vulcanizzato costruito qui. Sono utili anche per i sondaggi meteorologici, spediti in cielo. Apprendo con emozione che il grande mappamondo con cui gioca il Grande dittatore nell´omonimo film di Charlie Chaplin è stato realizzato con uno stampo appartenuto ai capostipiti di quest´azienda famigliare. Era uno stampo che si apriva ad arancio, secondo la vecchia tecnica. Fu creato a Lione dal padre di Clemente Rocca, Giuseppe, di professione fabbro artigiano. Un unico pezzo cavo in bronzo, apribile a spicchi, in cui si passava il colore e si inseriva il pallone gonfiato, e con cui fu impresso il disegno del mondo per il film di Chaplin. Vi sono emigranti da Casalvieri dappertutto in Italia e nel mondo. Alcuni andarono nella Francia meridionale, e in particolare Marsiglia. Fu lì, a Marsiglia, che alcuni amici e parenti (tutti sono imparentati a Casalvieri) e precisamente Angelo Rocca, Clemente Rocca e Felice Vennettilli, nei primi anni del Novecento impararono la tecnica della fabbricazione dei palloncini, e quando tornarono la trasmisero ai compaesani. Tutto il paese si mise a fare palloncini. Gli ambulanti venivano a Casalvieri ad acquistare palloncini da rivendere - e molti lettori, presumo, avranno ricordo di questi ambulanti, più estinti dello zucchero filato. Se il boom dei palloncini venne negli anni Sessanta, le confezioni di massa, con relativa distribuzione, avvennero negli anni Settanta (il boom del petrolio è del 1972): buste di palloncini vendute nei supermercati, palloncini allegati come gadget ad altri prodotti, ecc. Renato Rascel cantava: «Dove andranno a finire i palloncini / quando sfuggono di mano ai bambini / dove andranno, dove andranno, / vanno a spasso per l´azzurrità...». Anche i palloncini raccontano una storia d´Italia (e del mondo). La loro lieve catastrofe («per fortuna che scoppiano», mi dice con allegra saggezza il signor Catallo senior) era tra le poche all´orizzonte, ignari come si era che il benessere economico potesse a sua volta essere gonfiato, e generare bolle speculative che possono scoppiare. Un film di quegli anni svolge esattamente questo tema. The break up di Marco Ferreri, del 1965 ma terminato alcuni anni dopo (rifacimento dell´episodio L´uomo dei cinque palloni in Oggi, domani e dopodomani). Storia del ricco e afasico proprietario di una fabbrica di cioccolato (Marcello Mastroianni), la cui piatta vita amorosa e professionale viene scossa e turbata dai palloncini gonfiabili usati come gadget pubblicitari dalla sua stessa ditta: fino a che punto, esattamente, può essere gonfiato un palloncino prima di scoppiare? Un ossessivo dilemma "scientifico" che porterà l´industriale addirittura alla morte. La metafora è nuda e attuale. Non si parlava proprio in quegli anni, e a volte ancora, di boom economico? Beppe Sebaste