Anna Zafesova, La Stampa 25 agosto 2008, 25 agosto 2008
Solo entrando nella Nato «potremo difendere in futuro la vita e il benessere delle nostre famiglie»
Solo entrando nella Nato «potremo difendere in futuro la vita e il benessere delle nostre famiglie». Nel giorno dell’indipendenza, il diciassettesimo anniversario dal distacco dall’Urss, il presidente ucraino Viktor Yushenko segna la strada maestra per la sua giovane nazione e invita ad «accelelare» la sua adesione all’Alleanza Atlantica. In un’intervista al Times, il giorno prima, il leader della «rivoluzione arancione» è stato ancora più esplicito, chiedendo il sostegno di Bruxelles per «evitare di fare la fine della Georgia»: «La pace e la sicurezza in Europa sono minacciate, entrare nell’Alleanza per noi è l’unica garanzia di protezione della nostra sovranità». Il desiderio di fuga di Kiev è sempre più esplicito, in una sorta di riedizione di quanto è successo 17 anni fa, quando l’Ucraina - fino a quel momento una delle repubbliche più importanti dell’Unione Sovietica tutto sommato non incline alla secessione - ha dichiarato l’indipendenza in coincidenza del golpe dei conservatori comunisti a Mosca. La leadership russa probabilmente ha avvertito l’analogia, perché ieri il presidente Dmitry Medvedev ha inviato a Yushenko - che nel conflitto caucasico si è schierato con i georgiani, fino a provare a bloccare la flotta russa di stanza in Ucraina - un messaggio di auguri lungo e pieno di allusioni: «I nostri Stati sono uniti da secoli di relazioni spirituali, culturali e storiche, dalle analogie fra i caratteri nazionali e le tradizioni, così come dall’affettuoso rapporto fra due popoli fratelli. Nonostante i cambi e le transizioni a breve termine delle tendenze politiche, le relazioni russo-ucraine dovrebbero basarsi sugli interessi a lungo termine dei popoli e degli Stati». Medvedev ha anche invitato il suo sollega ucraino alla corsa ippica per il premio del Cremlino A Piatigorsk, nel Caucaso, mentre Vladimir Putin ha mandato un analogo messaggio di auguri alla premier Yulia Timoshenko, la «pasionaria» della rivoluzione arancione ultimamente sospettata di aver fatto una svolta a 180 gradi verso Mosca. Resta da vedere, se Yushenko troverà rassicurante la diplomazia russa. L’esempio della Georgia, con la sua guerra non ancora finita, continua ad alimentare inquietudini negli ex Paesi «fratelli» sovietici. 48 ore il ritiro annunciato come concluso le truppe russe in Georgia contavano ancora almeno 14 postazioni che non avevano nessuna intenzione di abbandonare. Sei sono nell’ovest della Georgia, nel raggio di 80 chilometri intorno al porto di Poti, e otto nel centro del Paese, vicino alla regione secessionista dell’Ossezia del Sud, sulle strade e sui ponti chiave. Secondo i testimoni georgiani, i soldati russi non fermano il traffico, ma si limitano a presidiare le postazioni. Ieri i georgiani hanno scoperto una paura nuova: le mine. Un treno carico di petrolio proveniente dall’Azerbaigian (gli oleodotti sono fermi a causa della guerra) è esploso ieri nei pressi di Gori, causando un incendio visibile a chilometri di distanza. Il portavoce del ministero dell’Interno ha attribuito l’esplosione a una mina collocata dai russi, e iIl ministero per lo Sviluppo economico ha accusato l’esercito russo di voler sabotare il corridio energetico che dal mar Caspio raggiunge l’Europa. E sempre vicino a Gori ieri due mine esplose hanno causato la morte di una donna di 35 anni e il ferimento grave di un uomo. Ma le accuse di Tbilisi hanno trovato Mosca indifferente: i russi avevano già annunciato nei giorni scorsi che i georgiani avrebbero tentato «provocazioni» di cui poi incolpare i nemici. La controaccusa fatta dal Cremlino ai georgiani è invece quella di stare preparando una nuova offensiva contro gli osseti, concentrando truppe al confine. Mosca è preoccupata anche dall’arrivo ieri nel porto di Batumi di un cacciatorpediniere americano con gli aiuti per la Georgia: secondo i russi, in realtà gli Usa avrebbero mandato all’alleato Saakashvili nuove armi. Stampa Articolo