Luigi Grassia, La Stampa 24/8/2008, 24 agosto 2008
LUIGI GRASSIA
Non si direbbe proprio, visto il crollo del tenore di vita e la difficoltà della famiglie ad arrivare a fine mese, ma l’Ocse calcola che in Italia il costo del lavoro corre a una velocità da tre a nove volte maggiore (a seconda dei comparti) della media dei Paesi industrializzati. Sembra che l’economia e la società italiane siano strette da una tenaglia: le imprese si gravano di costi maggiori, eppure ai lavoratori non arrivano abbastanza soldi in busta paga da tener dietro all’aumento dei prezzi. E in questo il nostro Paese rappresenta un’eccezione negativa.
Nel diffondere i numeri del primo trimestre 2008 l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico ci informa che da gennaio a marzo 2008 il costo del lavoro nella media dei Paesi sviluppati ha subìto «una crescita moderata», che nell’industria è stata pari allo 0,5 per cento sia rispetto al trimestre precedente (ottobre-dicembre 2007) sia nei confronti del primo trimestre di un anno fa (gennaio-marzo 2007). Invece in Italia l’aumento è stato dell’1,3% sul trimestre precedente e addirittura del 4,5% nel confronto a distanza di un anno.
Nel comparto dei servizi la media Ocse ha registrato un +0,7 per cento sul trimestre precedente (l’Italia +2,1%) e +2,1% nel confronto a distanza di un anno (l’Italia nientemeno che +6,7 per cento).
Le variazioni italiane sono particolarmente notevoli se paragonate a quanto succede nella zona dell’euro, che è a noi omogenea sotto quasi tutti i riguardi e perciò dovrebbe (ragionevolmente) risultare simile a noi anche nella dinamica del costo del lavoro. E invece: nell’industria Eurolandia fa +0,2 per cento rispetto al quarto trimestre 2007 e un misero +0,1% rispetto al primo trimestre di un anno fa; i dati corrispondenti dell’Italia, ripetiamo, sono +1,3 per cento e +4,5%, totalmente fuori misura. E nei servizi al +0,8 per cento e al +2,9% europei corrispondono i citati +2,1% e +6,7% del nostro Paese. Il commento è come sopra.
Nei Paesi a noi più vicini compaiono addirittura dei segni meno. Tanti segni meno. Nell’industria il dato congiunturale (da un trimestre all’altro) del costo del lavoro è risultato negativo in Austria (-0,7 per cento), Germania (-0,3%) e Francia (-0,1%). Su base tendenziale (annuale) si segnalano i dati in arretramento del costo del lavoro industriale in Olanda (-1,5 per cento), in Germania (-1,3%), in Austria (-0,9%), in Francia (-0,7%) e in Portogallo (-0,4 per cento).
Lunare il dato della Corea del Sud che da un anno all’altro ha visto calare il suo costo del lavoro nell’industria del 7,3 per cento.
la Repubblica
LUCA IEZZI
ROMA - Corre il costo del lavoro e l´Italia perde competitività. Lo certificano i dati dell´Ocse sul primo trimestre 2008 segnalando inoltre un preoccupante allargamento del divario con gli altri paesi industrializzati. L´aumento nel settore dei servizi è stato del 2,1% rispetto al trimestre precedente, mentre nell´industria si è fermato all´1,3%, contro una media dell´area Ocse rispettivamente del +0,7% e +0,5%.
Dalla fotografia scattata dall´Organizzazione per lo sviluppo e la cooperazione economica emerge che nei primi tre mesi dell´anno tutte le maggiori economie hanno registrato in media una «crescita moderata» del costo del lavoro unitario per i servizi. L´Italia invece figura al terzo posto della classifica degli aumenti, subito dietro l´Ungheria (+3%) e la Slovacchia (+2,5%), e ben oltre i livelli di altre grandi d´Europa come Francia (+0,5%) e Germania (+0,3%). La Corea del Sud è l´unico ad aver sperimentato una riduzione (-0,4%) nei servizi. L´Italia batte anche Usa e Giappone, dove si è avuto un aumento rispettivamente dello 0,8% e 0,2%.
Stessa tendenza se il raffronto si fa rispetto all´anno scorso: nel terziario la crescita italiana è addirittura del 6,7%: anche in questo caso tre volte di più che nell´area Ocse (+2,1%), e in testa alla classifica dei Paesi dove il costo del lavoro corre a ritmi più alti (+10% in Ungheria e +6,7% in Slovacchia). Rispetto al primo trimestre 2007 il costo del lavoro nell´industria è cresciuto di ben il 4,5%, contro il +0,5% della zona Ocse e il +0,1% dell´eurozona.
Va sottolineato come la crescita del «costo unitario» misurato dall´Ocse non derivi da un aumento dei salari e delle retribuzioni netti dei lavoratori. Anzi proprio per l´Italia a pesare è la bassa produttività (quantità di produzione per ora lavorata) e l´aumento dei salari lordi, cioè comprendendo tasse e contributi previdenziali. La performance del nostro paese stride in particolare al confronto con altri colleghi del G7, come Francia e Germania, dove i costi del lavoro dell´industria sono persino diminuiti (rispettivamente - 0,1% e - 0,3% rispetto al trimestre precedente). O come Usa e Giappone dove, dopo diversi mesi di calo (sei anni per il Giappone), il costo del lavoro tra gennaio e marzo è tornato a crescere (rispettivamente +0,3% e +0,6%), ma è comunque diminuito rispetto allo scorso anno.
La perdita di competitività è netta, così come il rischio di una spirale che trasferisca questi aumenti ai prezzi finali alimentando ulteriormente l´inflazione. La vera sfida che aspetta governo e parti sociali nei prossimi mesi è dunque quello di ridurre l´aumento del costo del lavoro senza però ulteriormente colpire i salari reali, già tra i più erosi in Europa dalla corsa dei prezzi.