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 2008  agosto 24 Domenica calendario

A mezzogiorno, Pietro l’anguillaro, «romano de Roma», torso nudo, pancia prorompente, bermuda jeans allacciati con una spilla da balia, traffica con le sue «nasse», che si chiamano «martavello», insomma con quelle trappole mortali per le anguille

A mezzogiorno, Pietro l’anguillaro, «romano de Roma», torso nudo, pancia prorompente, bermuda jeans allacciati con una spilla da balia, traffica con le sue «nasse», che si chiamano «martavello», insomma con quelle trappole mortali per le anguille. Sotto Riva Pian Due Torri, Magliana, Sud di Roma, la sua zattera, ben ancorata a riva, galleggia sul Tevere. E’ lì da una vita, dal 1980, e di quello che succede su queste sponde dell’ex «biondo» Tevere conosce in pratica tutto. «Gli zingari? Qui sopra c’erano proprio degli accampamenti, erano centinaia. Poi so’ stati sgombrati e adesso li trovi un po’ dovunque, infrattati tra i canneti. Se so’ clandestinizzati. Se andate sotto il ponte della Magliana, sull’altra sponda, dove sta il cantiere navale, ne trovate un bel po’. Solo pe’ parlà de questa zona». Magliana, via dell’Impruneta. Qui inizia la «ciclabile» che arriva al Raccordo anulare. Famiglie in bici, con tanto di casco regolamentare, i soliti patiti dello jogging, ansimanti e sudaticci, la ragazza che porta a spasso il cane. Tecnicamente, spiega il vicequestore Filiberto Mastrapasqua, questa è un’area «golenale», terra compresa tra l’alveo del fiume e gli argini maestri. Un popolo multietnico Alle nove del mattino, la pattuglia mista di polizia (anche a cavallo) e di «baschi amaranto» della Folgore (che hanno in dotazione anche manganelli), accompagnati da un gippone «Vm», perlustra quest’area, Pian due Torri, decine di ettari di terra dove c’è di tutto e di più. C’era un immenso campo nomadi, «dove i bambini nudi giocavano anche con i topi», e adesso ci sono solo un maneggio, un canile, degli agricoltori con i loro orti - più avanti, oltre il Raccordo anulare, troveremo anche pascoli - una villetta regolarmente abitata da una signora che mezzo secolo fa arrivò da Vico Equense, Penisola Sorrentina, che oggi è madre di sette figli e nonna di 16 nipoti, e quando vengono tutti per le feste sono in 35. «Quelli che stanno sotto i ponti non danno fastidio, il problema era l’accampamento di Pian Due Torri. Da me - dice la donna - non sono mai venuti, forse perché ho un canile accanto». Il popolo multietnico che abita sulle sponde del Tevere è una comunità silenziosa, latitante, che si nasconde, che usa il fiume come retrovia. Certo ci sono gli scoppiati italiani, gli alcolizzati, i povericristi, gran parte dei quali arrivati dall’Est, come dall’Ucraina. Ma soprattutto ci sono i romeni e i rom. Ed è tra questo popolo che nascono i violentatori di Ponte Galeria, gli «invisibili» che entrano negli appartamenti, quelli che trafficano illegalmente materiali ferrosi, rame, che scaricano nel fiume gli «inerti». Questo popolo di invisibili ha trasformato il fiume in terra di nessuno. Non c’è bisogno di scomodare la sociologia: l’esperienza sul territorio conferma che in corrispondenza degli «insediamenti abusivi» si manifestano «fenomeni predatori». E dopo il grande repulisti dei campi nomadi lungo il fiume, questo popolo di invisibili si è di nuovo accampato sulle sponde del Tevere. «Microinsediamenti», dicono le forze di polizia. Non sono ancora disponibili i numeri, ma la sensazione è che siamo già a una presenza complessiva di alcune centinaia di persone. Ponte della Magliana, sull’altra sponda. Dove c’è un cantiere di rimessaggio e gli sfasciacarrozze. Una discarica a cielo aperto. Poco più avanti, una quindicina di rom, donne che cucinano, bambini, e uomini tra montagne di frigoriferi, pneumatici, televisori, scatole metalliche. Il capofamiglia è una t-shirt bianca «Dolce e Gabbana». Mostra il suo passaporto, si chiama Iancu Cristea e come la moglie Aneta Alexandre è del distretto di Calarasi: «Siamo arrivati il 21 luglio, qualche lavoretto con il ferro e poi partiamo la prossima settimana». Una centinaio di metri in linea d’aria. Uno sfasciacarrozze chiuso per ferie e fuori montagne di ferrame. Passa un Ducato Fiat, uno dei tanti. Sono loro, sono i «commercianti» rom. C’è una sentinella, una donna ai fornelli, sulla strada. Sguardi che sembrano raggi laser. E’ meglio andar via. Sul gommone Il Tevere riserva mille sorprese. Un viaggio lungo il fiume su un gommone. Dall’Isola Tiberina a oltre il raccordo anulare, superando la località che si chiama Centro Giano. Insomma a poche centinaia di metri in linea d’aria da Ponte Galeria. Il nostro Caronte mostra dove «prima» c’erano gli ucraini e i romeni, sotto il Gazometro. Si vede la cupola della basilica di San Paolo. Ponte Marconi, campi da tennis e maneggio. Sullo sfondo gli archi del Palazzo della civiltà e del lavoro dell’Eur. E una vegetazione spettacolare. E’ come se giocassero tra di loro le gallinelle d’acqua. Volano un airone cenerino e un martin pescatore. Acque sporche di un depuratore. C’è un uomo, nudo, che si lava nel fiume, come se il Tevere fosse il Gange. Sedie vuote che guardano il fiume. Tre coppie che sembrano «villeggianti». Vengono dall’Est, pescano, si nascondono. Il gommone procede. Sotto il Raccordo anulare, due zatteroni. Il ristorante «Anaconda», di fronte una struttura per la pesca di anguille: «Stanno tornando. Andate dopo il cantiere ”Itama”, dopo il Centro Giano». Un altro po’ e arriviamo alla foce del Tevere. Il gommone è cieco, insomma lungo quel tratto sembra non esserci nulla. Poi all’improvviso, tra la vegetazione folta si materializza una struttura in legno, una baracca avvolta da un telone azzurro. Poco più in là è come se due fantasmi scostassero foglie e rami. Ancora verso il mare. Una carcassa arrugginita di una Panda con il muso sommerso. Altri «villeggianti». Ma come hanno fatto a raggiungere il fiume? Stampa Articolo