Marco Ansaldo, La Stampa 23/8/2008, 23 agosto 2008
l beach volley è uno dei rari sport che si seguono più volentieri quando lo giocano le donne. Nel caso di Phil Dalhausser però lo spettacolo lo garantiscono anche i maschi e non perchè sia una figura gradevole da vedere
l beach volley è uno dei rari sport che si seguono più volentieri quando lo giocano le donne. Nel caso di Phil Dalhausser però lo spettacolo lo garantiscono anche i maschi e non perchè sia una figura gradevole da vedere. Anzi se lo hanno soprannominato «la Bestia» una ragione c’è. Quello che impressiona di lui è la potenza. Nella finale che ha vinto in coppia con Todd Rogers contro i brasiliani Araujo e Magalhanes, Dalhausser ha collezionato 9 muri, tre addirittura li ha messi a terra consecutivamente nel terzo set e sono stati i punti che hanno chiuso le discussioni sulla medaglia. «Quando te lo trovi davanti ben piazzato e con le braccia alte, oscura il sole» ha detto Eric Goreng, il tedesco che l’ha affrontato nei quarti di finale. Passarlo è difficile. Sulla sabbia non si può saltare quanto in palestra, eppure Dalhausser arriva più di un metro oltre la rete e chiude le traiettorie. Nelle statistiche del torneo è il migliore a muro (ne ha effettuati con successo 42) e nei servizi a punto. Se si pensa che Rogers, il suo socio, è stato uno dei due giocatori più bravi in assoluto nei salvataggi e nelle schiacciate si capisce perchè la coppia ha portato agli Usa il 3° successo in quattro edizioni del beach volley, che fu introdotto alle Olimpiadi di Atlanta, quando vinse il mitico Kiraly, ed è diventato uno dei fenomeni imposti al Cio dalle tv americane. Con l’oro di ieri gli Usa realizzano una storica doppietta, avendo già vinto il femminile. E attendono le due finali di pallavolo con il Brasile per realizzare l’en plein. Dalhausser è un fenomeno nato per la sabbia. Da pallavolista non era speciale. «In realtà la pallavolo da ragazzino non mi piaceva - racconta il Gran Pelato dall’alto dei 2 metri e 6 centimetri -. Quando un amico mi chiese se volevo entrare in una squadra gli dissi che era un gioco per femminucce. Non è una questione di mancanza di contatto: i miei sport preferiti erano il tennis, che ho giocato per tre anni, e il baseball per due. Neppure lì c’è il contatto però il volley m’annoiava». Superò l’avversione durante la «high schoool» per via di una ragazza che gli piaceva. Giocò un anno, poi le ginocchia presero a scricchiolare. Così passò al beach ed è diventato il campione olimpico ed un ventottenne abbastanza agiato da scansare una delle sue paure: «Dover mettermi a lavorare sul serio. Penso con orrore che se non avessi sfondato nello sport oggi sarei dietro un computer a battere i numeri sulla tastiera». La medaglia porta premi e sponsor. Comunque già prima di Pechino Dallhauser, che è nato a Baden in Svizzera e si trasferì in Florida con la famiglia da ragazzino, non se la passava male. «Quando cominciai nel 2003 vinsi 780 dollari in tutta la stagione - racconta -, meno di quanto avevo guadagnato da manovale saltuario in un cementificio o a ripassare le strisce sulle autostrade della Fiorida». L’anno successivo, i dollari diventarono 12 mila ma il salto di qualità lo fece cambiando il partner e associandosi a Todd Rogers, che lo ha disciplinato nel gioco e gli fa da allenatore. Insieme hanno già vinto oltre 650 mila dollari, conquistato il primo Mondiale e ieri l’Olimpiade. «Questa è la sensazione migliore che abbia mai provato», ha detto ritirando la medaglia. Bestia sì. Ma sensibile. Stampa Articolo