Giancarlo Dotto, La Stampa 23/8/2008, 23 agosto 2008
La lucertola inchioda lì, a un palmo dai suoi capelli, pietrificata, l’occhio folle, il moscone le ronza intorno, Patty, il labrador femmina, non va a cuccia, vuole solo carezze, il marito Franco ha bisogno delle sue cure, il figlio Corrado la chiama al cellulare, la domestica si fa guidare, i tre nipotini la cercano e la temono, è l’ora dei compiti, la nonna non scherza
La lucertola inchioda lì, a un palmo dai suoi capelli, pietrificata, l’occhio folle, il moscone le ronza intorno, Patty, il labrador femmina, non va a cuccia, vuole solo carezze, il marito Franco ha bisogno delle sue cure, il figlio Corrado la chiama al cellulare, la domestica si fa guidare, i tre nipotini la cercano e la temono, è l’ora dei compiti, la nonna non scherza. Hai voglia a sminuirti, a imbruttirti sul set e a diventare madre e nonna nella vita, il mondo è e resta ai tuoi piedi se ti chiami Virna Lisi, matriarca di altri tempi, dea madre che tutto sorveglia e assiste, donna di spicce maniere e tutta sostanza. «Terra terra», come si definisce lei che vive a picco sul mare, una delle più belle ville sull’Argentario. Ora è in tivù con due fiction, «Il Sangue e la Rosa» su Canale 5 e «Fidati di me» su Raiuno. Dalla bocca che «può dire ciò che vuole» all’attrice conclamata di oggi, l’handicap di essere bella, ma così bella da non sembrare vera, passando per il cinema di genere e quello degenere, passando soprattutto per Hollywood, che è cinema ma anche equivoco. «In ”E Napoli canta”, il mio esordio al cinema, ero una contadinella che alla fine si scopre contessina. Ho cominciato così a quindici anni. Tanta gavetta. Oggi nascono tutti imparati. E poi sette anni di teatro. Strehler era uno che ti tirava addosso le sedie. Non si mangiava mai con lui, aveva il sacro fuoco. Mia madre dietro le quinte mi portava una banana, sennò svenivo. Poi, la parentesi americana e i primi film d’autore. Tutta la vita ho cercato d’invecchiarmi sul set, ore e ore al trucco per imbruttirmi». Con Virna Lisi siamo lontani dal concetto di diva. (sarcastica) «Ma va? Se c’è una cosa che ho sempre detestato è il divismo. Sono marchigiana, contadina, posso diventare una brava attrice ma mai una diva, parola che mi dà l’allergia». Un bel giorno la scoperta: Virna Lisi sa recitare. «Succede con ”Al di là del bene e del male”, il film della Cavani. Ogni giorno tre ore di trucco per diventare la sorella di Nietzsche, una donna brutta, acida, antipatica, che mangiava e vomitava sul piatto. Improvvisamente la critica mi acclama: Virna Lisi è un’attrice vera. Allora premi e contropremi. Segue ”La cicala” di Lattuada, dove m’ingrassano di sette chili. Sono sempre stata una scoperta permanente, io». Nietzsche diceva: le donne possono realizzarsi solo da subalterne. «Un essere depravato. I depravati mi piacciono poco, anche quando si tratta di un genio. Preferisco le persone sane. Il cinema? Non è più depravato del resto del mondo. Detesto i bluff intellettuali. Sono una che due più due fa quattro. Amo Umberto Eco, Elsa Morante: li leggi e ti lasciano segni indelebili. Altri sono panna montata. Un nome? L’ex compagno della Rossellini, quel David Lynch. Un pallone gonfiato». Un set particolarmente faticoso per la contadina Virna Lisi. «Quello di ”Eva”. Joseph Losey, il regista, era odioso. Detestava le donne. Uno di quei gay che se le possono distruggere... C’era anche Jeanne Moreau, un’antipatia travolgente. Non parliamo dell’attore, Stanley Baker. Quando scoprì che da un mese ero in stato interessante, mi mangiava in faccia un pezzo d’aglio, roba da svenire. Come la vede?» Un gentiluomo. «Un altro non facile era Rod Steiger. Soffriva di gelosia sul set. Un giorno mi ruppe la caviglia con un calcio. Un pazzo. Andavo in camerino e piangevo. Un gentiluomo era Henry Fonda. Mi fece trovare un mazzo enorme di rose nel camerino». La sua bellezza. Per alcuni straordinaria, per altri un po’ algida. «La perfezione. Simmetrica senza scompensi. Non suscita nulla, annoia come Piero della Francesca», parole di Giorgio Albertazzi, che preferisce la donna mediterranea. «Ognuno si fa il suo canone. Io sono quello che sono. Chi mi conosce sa che algida con me non ha niente a che vedere. Albertazzi? Ha avuto Anna Proclemer tutta la vita, le pare una bellezza mediterranea?». La vollero a Hollywood per farne una diva da star system. «Cercavano la nuova Marilyn, morta da poco. Puntarono su di me. Per due film ci sono riusciti: ”Come uccidere vostra moglie” con Jack Lemmon e ”Due assi nella manica” con Tony Curtis. Il terzo con Frank Sinatra andò così così. Quando mi proposero ”Barbarella”, scappai». Fu il primo grande successo di Jane Fonda. Rimpianti? «Nessuno. Barbarella non faceva per me. Quando hai un contratto, gli americani ti vendono a chi vogliono». Venduto e acquistato su e-bay un «Monello» del ’74, Virna Lisi e Frank Sinatra in copertina. «Carino Frank. Un po’ sparone. Sempre scortato sul set da una decina di guardie del corpo, tutti vestiti di scuro, camicia bianca e cravatta a rombo con un telefono disegnato sopra. E poi c’era sempre quella Mia Farrow appiccicata. Una che poi è finita com’è finita. Sparita nel nulla». Più interessante il cantante, l’attore o il gangster? «Aveva un taglio in faccia Frank, da qua a qua. Doveva sempre essere ripreso da una parte». Sul set con Richard Burton, un altro dal magnetismo animale. «Simpatia travolgente. Cantava dalla mattina alla sera l’opera italiana. La sera cenavamo insieme con lui e Liz». Bellezza come perfezione, al maschile. Alain Delon. «Non era il mio tipo. Preferivo Lee Marvin o James Coburn. I belli non mi sono mai piaciuti, quei pupattoli che si truccano. Preferisco gli uomini con una faccia». Alti e magri. Come suo padre. «Alto 1 e 90, bellissimo. Clark Gable, uguale. Un uomo gelosissimo. Mi veniva a prendere a scuola con la Millecento. Mi diceva: stai attenta quando ti mettono una mano sulla spalla. Io per anni ho vissuto col terrore di una mano sulla spalla». Un uomo raro oggi? «Un uomo che quando dà la parola è quella. Che lavora onesto, parla poco e fa i fatti. Oggi si amano ascoltarsi. Uno che mi piace? Berlusconi. Parla, gli piace, ma fa anche i fatti. Mi piace Gianni Letta, mi piace Tremonti». Bambina predestinata? «Un giorno fui chiamata per un provino. C’era chi scappava al bagno con il mal di pancia. Io niente. Era come se ci fossi nata con la macchina da presa addosso. Più me la mettono vicino, più mi sento protetta. Cinquant’anni dopo, amo la macchina da presa come il primo giorno». Con Citto Maselli il suo primo film d’autore. «Ho preso un sacco di schiaffi. Maselli ti faceva ripetere le scene anche trenta volte. All’undicesima, per farmi disperare mi mollava uno schiaffone. Era un metodo». I genitori? «Mi scortavano ovunque. Oggi vedo genitori beati che mandano le figlie in tivù con il culo di fuori. Si farebbero ammazzare per una figlia in tivù. Sculettano e basta. La quinta di petto. Si assomigliano tutte». I primi grandi attori. Totò lo incrocia già nel ’58. «Non lo apprezzavo. Un gran casinaro, non sapeva mai la battuta, improvvisava. Io ero terrorizzata, tremavo, arrivavo con le mie battutine imparate a memoria e lui non si capiva mai dove andava a parare. Non mi ha mai guardato in faccia… Forse non ero il suo tipo». Il suo regista. «Pietro Germi. Uno che non si è mai saputo reclamizzare. Contava solo il lavoro, il suo sigaro da masticare, la fiaschetta di vino rosso. Parlava pochissimo. Dovevi interpretare quello che voleva dai gesti, mezze frasi. Non gli hanno dedicato una strada, un festival. Questo è il cinema italiano. Altri fanno quattro cose e si credono chissà chi». L’attore? «Marcello Mastroianni. Ci volevamo bene. Sul set era di una generosità unica. Appena c’era una pausa non lo trovavamo più, andava ad addormentarsi da qualche parte. Si portava sempre appresso questo Fred, il segretario che gli cucinava le polpette come la madre». L’oscenità oggi. «Più che i culi di fuori, come parlano. Una volgarità senza freni. Più si è volgari, più si ride. Questi comici di oggi. Mi piaceva Massimo Troisi, grandioso. Fece un film con Mastroianni, figlio e padre. Cosa avrei pagato per stare in quel set. Beppe Grillo? Detesto sentir sbraitare». Sofia Loren, Gina Lollobrigida, Silvana Mangano. «Molto simpatica la Lollobrigida. Molto contadina, verace, quando si lascia andare. La Mangano, povera donna, era complessata. Dopo anni, chiamava il marito ”De Laurentiis”. Era triste. Diceva sempre a Sordi: ”Alberto, fammi ridere” e Sordi faceva il pagliaccio. La Loren la conosco meno. Mi sembra una donna molto coinvolta dalla famiglia». La sua più grande interpretazione. Nella parte di Caterina de’ Medici in «La Regina Margot». Palma d’oro a Cannes. Condivide? «Condivido. Un personaggio di una difficoltà incredibile. Il signor Chereau mi ha tirato cose fuori dall’utero. Un genio». Attrici di oggi? «Margherita Buy la fanno sempre uguale, nevrastenica. Può dare di più, sono sicura. Laura Morante? No comment. Una che non mi dispiace è la spagnola che ha lavorato con Pupi Avati, Vanessa Incontrada».