Note: [1] Robert Kagan, Corriere della Sera 21/8; [2] Alessandra Coppola, Corriere della Sera 20/8; [3] Paolo Valentino, Corriere della Sera 21/8; [4] Fabrizio Dragosei, Corriere della Sera 22/8; [5] Pietro Del Re, la Repubblica 22/8; [6] Fabio Mini, la R, 25 agosto 2008
APERTURA FOGLIO DEI FOGLI 25 AGOSTO 2008
Gli storici vedranno nell’8 agosto del 2008 una data di svolta non meno significativa del 9 novembre del 1989, giorno della caduta del Muro di Berlino. Robert Kagan: «L’attacco russo contro lo stato sovrano della Georgia ha segnato il ritorno ufficiale della storia allo stile ottocentesco dei grandi scontri di potere, con tanto di virulenza nazionalistica, battaglie per le risorse, lotte per sfere di influenza e territori, e persino – anche se questo può urtare le nostre sensibilità da ventunesimo secolo’ l’impiego della forza militare per assicurare obiettivi geopolitici». [1] Non sarà più come prima nelle relazioni tra la Nato e la Russia, non si può continuare con il «business as usual», ha sintetizzato Jaap de Hoop Scheffer, segretario generale della Nato. [2]
Martedì a Bruxelles il vertice dei ministri degli Esteri dei Paesi Nato ha deplorato la Russia per lo sproporzionato uso della forza in Georgia. [2] Mercoledì a Varsavia i ministri degli Esteri di Polonia e Stati Uniti hanno firmato l’accordo sullo scudo difensivo che prevede l’installazione di 10 missili intercettori sul territorio polacco. Paolo Valentino: «Il sistema, che è ancora in fase di sviluppo e non dovrebbe essere pronto prima del 2012, sarà completato da un radar da installare nella Repubblica Ceca, col cui governo Washington ha già raggiunto un’intesa. L’accordo con i polacchi è stato più laborioso, poiché Varsavia chiedeva in contropartita il rafforzamento delle proprie difese aeree, che gli Stati Uniti alla fine hanno concesso: una batteria di missili Patriot sarà infatti spostata dalla Germania in Polonia». [3]
Il segretario di Stato Usa, Condoleezza Rice, ha cercato di spiegare che lo scudo è stato pensato per difendersi dal pericolo posto da Paesi come l’Iran. [3] Irritata per lo spiegamento di un sistema antimissilistico americano a meno di 200 chilometri dai suoi confini, giovedì Mosca ha risposto con l’alt alla cooperazione militare con la Nato iniziata con la firma di un accordo il 28 maggio 2002 a Pratica di Mare. [4] Il ministro degli Esteri Serghei Lavrov: « la Nato ad avere più bisogno del sostegno russo, in particolare in Afghanistan, e non il contrario». [5] Fabio Mini: «La Russia aveva autorizzato il transito dei carburanti e viveri destinati alle truppe Nato in Afghanistan per i corridoi della Russia, del Kazakhstan e dell’Uzbekistan molto più sicuri di quelli pachistani normalmente usati e regolarmente attaccati dai taliban o dai predoni». [6]
Missili nucleari nel cuore dell’Europa. Fabrizio Dragosei: «Potrebbe essere questa la prossima mossa della Russia che sembra orientata in questi giorni verso una logica che sa sempre più di Guerra Fredda». [7] Paolo Garimberti: «Ai missili Usa in Polonia corrispondono quelli russi in Bielorussia. Alla presenza americana in Georgia può corrispondere domani una rinnovata amicizia e collaborazione della Russia con Cuba (e magari, provocazione per provocazione, con il Venezuela di Chavez). All’indipendenza del Kosovo arriva in parallelo il consenso russo all’Ossezia e all’Abkhazia». [8]
Ogni volta che fra Russia e America monta la tensione, si riparla di guerra fredda. Lucio Caracciolo: «Di simile al paradigma della guerra fredda c’è il rischio che due potenze termonucleari in attrito accendano la scintilla di un devastante scontro diretto. Tutto il resto, o quasi, è diverso. In primo luogo, fra russi e americani non c’è più la contrapposizione ideologico-propagandistica che rendeva apparentemente inconciliabili i due sistemi». [9] In secondo luogo, c’è una diversa situazione economica. Sandro Viola: «L’economia globalizzata rende la situazione meno infiammabile di com’era ai tempi della vera Guerra fredda. I rapporti tra monopoli e industrie russi col mondo industriale e finanziario dell’Occidente sono oggi così intensi (e da ambedue le parti praticamente irrinunciabili), che è difficile pensare ad una loro rottura». [10]
In terzo luogo, non ci sono più i due blocchi simmetricamente rivali. Caracciolo: «Il Patto di Varsavia è stato inghiottito nelle nebbie della storia. La Nato sopravvive, ma alla prova dei fatti, dal Kosovo all’Afghanistan fino alla guerra di Georgia, si è dimostrata scarsamente efficiente sotto il profilo militare, se non inutile. E al suo interno sono emerse mille crepe». Problema: in questo mondo molto più anarchico il conflitto può esplodere per iniziativa di un qualsiasi attore, anche molto secondario, che si senta supportato da Mosca o da Washington. Caracciolo: « quanto accaduto in Georgia» [9] Anna Zafesova: «Non siamo alla guerra fredda, siamo oltre. Perché la guerra fredda, almeno nel suo ultimo ventennio, si svolgeva secondo regole, accordi, negoziati». [11]
La strategia di Putin, secondo un frequente giudizio, è neoimperiale. Alberto Ronchey: «Tende a recuperare i territori perduti dal potere di Mosca, nella dissoluzione dell’Urss, più o meno come protettorati». [12] «Noi saremo i prossimi», ha detto al New York Times una giovane studiosa ucraina, Tanya Mydruk. «Prima o poi il presidente farà un passo falso, e pagheremo». [13] Roberto Livi: «Yushenko ha deciso di seguire la linea ”georgiana” e giocare duro. Ha emesso due decreti che costituiscono altrettanti siluri verso Mosca: uno per limitare le mosse della Flotta russa del Mar nero, di stanza in Crimea, e un secondo per integrare il sistema antimissile ucraino con quello europeo. Un passo inequivocabile verso la Nato». [14]
In secondo luogo, Yushenko ha accusato la premier Yulia Timoshenko di «tradimento» e di essersi «venduta» a Putin in cambio di un sostegno del Cremlino alle prossime elezioni. Livi: «La Timoshenko è nettamente in testa nei sondaggi con un 24% di gradimento, seguita dal leader filorusso Yanukovic e staccato (7%) il presidente Yushenko. La contromossa del Cremlino rischia di essere altrettanto dura. La Crimea come pure le province orientali e meridionali dell’Ucraina sono abitate (e spesso amministrate) da una maggioranza russofona. Secondo fonti citate dall’agenzia ucraina Unian, sarebbe inziata una distribuzione di passaporti russi agli abitanti (di origine russa) della Crimea che ne facciano richiesta. Il parallelo con quanto era accaduto in Ossezia del Sud è fin troppo evidente». [14]
Gli americani minacciano di espellere la Russia dal G8, di fare pressioni per impedirne l’adesione alla Wto, l’Organizzazione mondiale del commercio. Mikhail Gorbaciov: «Sono minacce vuote. Da tempo ormai i russi si chiedono: ”Se la nostra opinione in queste istituzioni internazionali non conta nulla, perché dovremmo averne bisogno? Solo per sederci a un tavolo ben apparecchiato e ascoltare lezioncine?”». [15] Kagan: «Se è vero che in genere i russi si sono sentiti umiliati al termine della Guerra fredda, Putin ha persuaso molti di loro ad addossare a Boris Eltsin e ai democratici russi la colpa di essersi arresi all’Occidente. L’atmosfera richiama alla mente quella della Germania dopo la Grande Guerra, quando i tedeschi si lamentavano delle ”vergognose condizioni di Versailles” imposte dalle potenze vittoriose a una Germania sconfitta e prostrata». [1]
I russi hanno petrolio e gas, l’Europa ha i capitali, le tecnologie, la cultura economica. Sergio Romano: «Esistono le condizioni per una intesa simile a quella che la Francia propose alla Germania e ad altri Paesi europei dopo la fine della Seconda guerra mondiale. Il problema, allora, era la ricostruzione di un continente distrutto. Per evitare che i sopravvissuti cominciassero a contendersi i due beni di cui avevano maggiormente bisogno, Jean Monnet e Robert Schuman proposero la creazione della ”Comunità europea per il carbone e l’acciaio”: una organizzazione che avrebbe reso possibile l’uso congiunto e solidale di due fondamentali risorse. Oggi, dopo la fine della guerra fredda, occorre una ”Comunità euro-russa per gli idrocarburi e lo sviluppo”». [16]
Non possiamo isolare la Russia. Ma non possiamo neanche permettere che essa usi il bastone e la carota con noi senza fare la stessa cosa nei suoi confronti. Angelo Panebianco: «Dobbiamo tener conto delle ”ragioni” della Russia ma non al punto di andare contro i nostri interessi vitali (per esempio, l’interesse a forniture di idrocarburi dal Caucaso non interamente monopolizzate dai russi o l’interesse a farci carico dei problemi di sicurezza di tutti i membri dell’Unione, presenti e futuri). Né possiamo dimostrare disinteresse, o peggio, per l’aspirazione alla libertà dei cittadini delle ex colonie russe. I russi sperano che l’Europa proceda sul cammino iniziato, che essa, prima o poi, porti a compimento il decoupling, lo sganciamento dagli Stati Uniti. Ai prepotenti piace avere a che fare con i profeti disarmati». [17]
L’Europa è dipendente sia dalla potenza militare americana sia da quella energetica russa. Piero Ostellino: «Agli europei non resta, allora, che spiegare agli Usa che il contenimento militare della Russia è impraticabile e alla Russia che neppure la creazione di una propria zona di influenza fino all’Atlantico, o la riesumazione dell’ex impero sovietico, sono praticabili. Dovrebbe convincere entrambi che: 1) l’Occidente è disposto a riconoscere le ragioni di sicurezza della Russia entro i confini della vecchia Urss; 2) non lo è a consentirle annessioni di sorta, neppure entro quegli stessi confini. Ma l’Europa ha la coesione politica sufficiente per recitare un credibile ruolo diplomatico fra l’orso russo e l’aquila americana?». [18]
La Nato così come è oggi, strumento ereditato senza sostanziali mutamenti dalla Guerra Fredda, e guidato sostanzialmente dagli Stati Uniti, è un fattore di forza o di debolezza all’attività politico-diplomatica dell’Europa? Gian Enrico Rusconi: «Non viene forse al pettine il peccato originale dell’Europa politica che risale alle sue origini, al 1954, quando la ”piccola Europa”, che oggi rappresenterebbe ”il nucleo forte” della stessa Europa, ha rinunciato a creare tempestivamente un suo esercito comunitario (CED)? La vicenda di allora è complicata e non è il caso di ripercorrerla ora. Ma sin tanto che l’Unione Europea non disporrà di una credibile forza armata autonoma, non potrà esercitare neppure in modo credibile la sua forza di persuasione». [19]