Andrea Monda, L’Osservatore romano 22/8/2008, 22 agosto 2008
L’Osservatore romano, venerdì 22 agosto Il 30 gennaio 1945, mentre il conflitto mondiale volge verso il suo tragico epilogo, John Ronald Reuel Tolkien scrive una lunga lettera al figlio Christopher, pilota inglese impegnato nelle prime linee di quella tragedia, in cui afferma che la scena più drammatica e commovente del suo romanzo (Il Signore degli Anelli, ovviamente) è quella della mancata conversione di Gollum
L’Osservatore romano, venerdì 22 agosto Il 30 gennaio 1945, mentre il conflitto mondiale volge verso il suo tragico epilogo, John Ronald Reuel Tolkien scrive una lunga lettera al figlio Christopher, pilota inglese impegnato nelle prime linee di quella tragedia, in cui afferma che la scena più drammatica e commovente del suo romanzo (Il Signore degli Anelli, ovviamente) è quella della mancata conversione di Gollum. Scrive: "Mi ha toccato più di tutto la tragedia di Gollum che in quel momento arriva a un passo dal pentirsi, se non fosse stato per una parola brusca di Sam". Nel ’45 Il Signore degli Anelli è solo un manoscritto incompleto (uscirà solo dieci anni dopo) che il padre confronta con il figlio e qualche altro amico come Clive Staples Lewis, ma quella suggestione rimarrà anche successivamente: esistono almeno altre quattro lettere di Tolkien, scritte tra il ’55 e il ’63 e pubblicate nell’epistolario, nelle quali l’autore conferma che per lui è quella la scena-madre dell’intero romanzo e quindi sorprende non poco il silenzio della critica a riguardo. Tolkien era un uomo di poche parole, amante della sintesi; per tornarci sopra così ripetutamente qualcosa ci deve essere e, infatti, a rileggere quella paginetta che quasi scompare nelle oltre 1200 del romanzo si scoprono altre sfumature, anche di natura religiosa, che danno alla saga tolkieniana una luce diversa, uno spessore più profondo. Cosa accade a pagina 862 del romanzo e, prima ancora, chi è Gollum? Se Il Signore degli Anelli ha rappresentato un uppercut per la storia letteraria del ’900, diventando ben presto il libro più letto al mondo nonostante l’ostracismo snobistico di molta critica, il personaggio di Gollum è l’uppercut del romanzo, l’invenzione più geniale e urticante dell’autore, il personaggio più rivoluzionario, quello che assicura il continuo colpo di scena. Gollum è il nomignolo dato a un hobbit, il suo vero nome è Smeagol, che così viene definito dalla sua stessa famiglia e dai suoi compaesani. Lo chiamano Gollum in modo dispregiativo perché, ed è questa la novità, Smeagol è un hobbit cattivo. Tutti ormai sanno chi sono gli hobbit, i pacifici ometti, bassi come nani, pigri e pettegoli come i signorotti di campagna inglese, e tutti associano agli hobbit l’idea di gente buona e tenace che, inoltre, riesce a risolvere positivamente la tremenda guerra che si scatena intorno all’Anello del Potere e così a salvare la Terra di Mezzo. L’hobbit Smeagol sembra smentire tutto questo, lui è l’hobbit dannato, disgraziato e la sua disgrazia nasce proprio nel momento in cui s’imbatte nell’Anello, un incontro casuale o, direbbe il cattolico Tolkien, provvidenziale. Nel momento in cui Smeagol vede l’anello in lui si scatena il demone del male e, per possederlo, non indugia a uccidere: il malcapitato cugino Deagol (che aveva pescato nel fiume il malefico talismano) è la prima delle sue vittime. Smeagol diventa Gollum, un po’ come Jeckyll diventa Hyde, si sdoppia e l’ombra malvagia prende il sopravvento. Nella fatidica pagina 862 del romanzo troviamo Gollum che ha di fronte a sé altre due potenziali vittime della sua bramosia: Sam e Frodo, quest’ultimo attuale possessore dell’Anello, oscuro oggetto del desiderio, simbolo cruciale all’interno della saga tolkieniana. L’Anello, tra le altre cose, rappresenta la grande tentazione che sempre accompagna la vita dell’uomo, davanti alla quale tutti i personaggi del romanzo cadono. Gollum è totalmente corrotto dal potere dell’Anello e ordisce trame e tranelli per rientrarne in possesso, arrivando anche al tradimento e al tentativo di uccisione degli altri due hobbit. Sam e Frodo invece non sono ancora del tutto corrotti e tra loro vi è uno splendido rapporto di amicizia e solidarietà, una relazione profonda e sincera che finisce per toccare il cuore indurito di Smeagol-Gollum. in questo preciso istante che si colloca "il momento più tragico della storia", scrive Tolkien nella lettera del settembre del ’63 a Eileen Elgar, "quando Sam non nota il cambiamento radicale del tono e dell’aspetto di Gollum. [...] Il suo pentimento è ricacciato indietro e tutta la compassione di Frodo (in un certo senso) va sprecata". una scena notturna, che avviene nella tenebrosa terra di Mordor dove vive Sauron, l’oscuro signore: Frodo e Sam si sono addormentati, insieme, correndo il rischio di essere derubati o uccisi dall’infido Gollum. Sam in particolare che non si fida di lui e più volte ha chiesto a Frodo di sbarazzarsene ma Frodo ne ha avuto pietà, la sua compassione è l’unica ragione per cui Gollum è ancora vivo. Questa pietà ha colpito Gollum che invece per tutta la vita è stato abituato a vivere di paura e violenza, di odio e diffidenza. Quando vede che qualcuno, contrariamente a ogni logica egoistica e utilitaristica, rinuncia a vendicarsi nei suoi confronti ma lo guarda con compassione, entra in crisi, riemerge il suo "doppio" ma adesso è Smeagol che sembra riprendere il sopravvento. Osservando i due hobbit addormentati placidamente uno sull’altro, Gollum prova una stretta al cuore, una sorta di sana nostalgia, il ricordo struggente di un’innocenza perduta e per la prima volta accantona i piani di malvagità e addirittura accarezza teneramente i suoi nemici. Il processo di pentimento e conversione è cominciato ma ecco l’ennesimo colpo di scena (non sarà l’ultimo): l’intervento brusco di Sam che si sveglia e vede Gollum pericolosamente vicino al suo amico, e, non rendendosi conto che anche quell’orribile personaggio può riscattarsi, lo rimbrotta ricacciando indietro il suo pentimento. Per Gollum l’attimo salvifico è vanificato ma paradossalmente la sua "dannazione" è funzionale, scrive Tolkien, alla "logica della storia". Infatti sarà proprio la cupidigia di Gollum per l’Anello a far sì che esso venga distrutto; nella scena culminante dell’intera saga, quando Frodo si trova sul punto di distruggere il talismano, è grazie all’intervento di Gollum che la missione potrà essere condotta a termine: al buon esito della vicenda contribuiscono sia le buone che le cattive azioni dei personaggi, in altre parole, non esiste una giustizia matematica, un’arida meritocrazia nella visione morale del cattolico Tolkien. Frodo e Sam riescono a portare a termine la missione non per i loro meriti ma perché sono disponibili a collaborare all’irruzione della Grazia nella loro vita e al misterioso disegno della Provvidenza che passa anche per la mancata conversione del tragico personaggio di Gollum. La conversione è sempre qualcosa di drammatico, ma forse ancora più drammatica è la conversione che non si compie, che inizia ma si ferma, s’interrompe un po’ come quel seme della parabola che cade sul terreno roccioso che "non ha radici, è incostante" e "al sopraggiungere di una tribolazione o di una persecuzione a causa della parola, subito soccombe" (Matteo, 13, 21). questo il destino di Gollum che guardando la pace sui volti di Frodo e Sam sente la nostalgia di quelle radici perdute. J. R. R. Tolkien, appassionato e intelligente lettore di Chesterton, sapeva bene che il cuore del cristianesimo non è la tradizione ma la conversione, che spesso avviene "nonostante" la tradizione e col suo romanzo-capolavoro, assurdamente considerato come un libro conservatore e reazionario, ha realizzato una grande metafora della vita dell’uomo intesa come continua conversione. In altri termini ha raccontato di quello che è l’argomento principale di ogni narrazione umana secondo la scrittrice cattolica Flannery O’Connor: "L’opera della grazia in un territorio in gran parte occupato dal diavolo". quello che avviene nella scena del "quasi-pentimento" di Gollum avvenuto nell’oscura terra di Mordor. Da questo punto di vista la saga raccontata da Tolkien rappresenta simbolicamente la vita dell’uomo, che è sempre aperta a possibile conversioni, compiute o interrotte, che avvengono nel grigiore dell’esistenza quotidiana spesso vissuta in territori in gran parte occupati dal diavolo. Andrea Monda