Irene Bignardi, la Repubblica 22/8/2008, pagina 47, 22 agosto 2008
Firenze. Anni ´30, e poi ´40. Immaginate una casetta alla periferia di Firenze, in quel di Rifredi
Firenze. Anni ´30, e poi ´40. Immaginate una casetta alla periferia di Firenze, in quel di Rifredi. Un babbo maresciallo dei carabinieri, alto, biondo e raffinato, che suona il violino. Una mamma, anche lei alta e bella, diventata maestra a forza di un lavoro durissimo, impegnata a tirar su con pochi mezzi una batteria di figli - prima Ave, all´anagrafe Ave Maria, poi Laura, poi Paolo, poi Cesare, che morirà piccolino, poi Mario, poi Lucia - ma più interessata alla vita fuori che in casa, come cuoca capace solo di cucinare certe bracioline fritte con patatine (e nient´altro), che facevano tuttavia la delizia dei figli degli amici. In questa casetta sono cresciuti due grandi aristocratici del teatro, Paolo e Lucia Poli, il genio dell´antiretorica e l´attrice colta che ama il registro comico, il fratello grande e la sorellina piccola, che, a turno, in due giorni diversi, mi fanno l´onore di sedersi sullo stesso angolo dello stesso divano rosso per raccontare la storia speculare di una fratellanza, o come la chiama Paolo, per il senso di protezione che ha provato per Lucia, la sua "mammanza". «Quando sono nata io nessuno se ne è accorto», dice Lucia, «salvo, forse, mia madre. C´era la guerra, siamo stati costretti a sfollare dalle parti di Vallombrosa. I primi tre figli erano stati coccolati, avevamo una tata a casa, perché la mamma lavorava, studiavano il pianoforte. Io sono nata nello sfascio». di quegli anni in cui dormiva in un lettone con le due sorelle più grandi il primo ricordo di Lucia: Paolo che corre con lei attaccata a lui «come un koala» giù per un prato, con un aereo che vola a bassa quota sopra di loro e tira di mitraglia, e ride. «Un´infanzia a tratti spaventosa. La mamma che piangeva sempre, per la guerra, per il figlio morto. E mio fratello, quello che più si occupava di me, come dire?, un marinista. del poeta il fin la meraviglia? E Paolo non ti dirà mai niente di tranquillo, di normale, qualcosa riconducibile a un racconto razionale. Anche da ragazzino cercava sempre la boutade, doveva sempre stupire. Certo, un fratello divertentissimo. Una volta è arrivato tutto biondo. Noi si rideva. La mamma era sconvolta. C´era una giustificazione, mi pare, tipo un film. Ma era anche il suo gusto. E me mi strapazzava». Visto per così dire da destra e visto da sinistra ecco la nascita di Lucia secondo Paolo: «Facevo la prima media. E ho fatto un tema: "Oggi mi è nata una bella sorellina. Ha due gotine rosse come le mele". E invece no, era un mostriciattolo. La mamma l´ha fatta in casa, senza neanche uno strillo. C´aveva l´abitudine». Il piccolo Paolo aveva imparato a leggere sui libri della Scala d´oro ed era andato a scuola solo in terza elementare «con il maesto Falteri, che ho adorato». Ma la sua carriera scolastica ha avuto molti alti e bassi. «Il mio babbo aveva la tubercolosi. E nel ´38 è stato spedito per un anno in un sanatorio sul lago di Como, e io con lui. Mio padre mi trattava come un adulto. "Babbo, come nascono i bambini?". "E be´, dal pipi del babbo escono le goccioline che vanno nella cica della mamma"». Su quel lago di Como il piccolo Paolo è stato testimone di un amore extraconiugale del babbo. «Al sanatorio si è innamorato di una monaca. E insieme, il babbo e la suora, che carini, suonavano Schubert. Poi smettevano e si baciavano. La suora è morta dopo quindici giorni. E io ho capito che facevano bene, acchiappiamo quel che c´è». Senza nulla togliere a sua madre, che amava moltissimo, ricambiato. «La mia mamma era come Pasolini: credeva che il bambino è perfetto e che è sbagliata la società. E per lei tutto quello che facevo io era naturale. stata anche quella che ha creduto in me: ma che ragioniere, non hai nulla a che fare con i numeri, tu. Fai l´artista. Sì, ho avuto degli esempi femminili molto più forti di quelli maschili. Mia madre, quando è stata trombata da tre tedeschi, e io le ho chiesto, mammina raccontami, un po´ con la tenerezza del figliolo, un po´ con la curiosità della perfidia frocia, mi ha detto solo, "Ovvia Paolo, ci si lava ed è bell´e finita". Una vera "uoma"». La "mammanza" con Lucia è cominciata negli anni del dopoguerra («Quando io avevo vent´anni lei ne aveva otto. Le facevo fare i compiti, la portavo a scuola, andavo a parlare con la sua maestra, le ho spiegato che cosa erano le mestruazioni») ed è culminata con un episodio che tutti e due ricordano, con piccole varianti - caso o premeditazione? Lucia: «Facevo la seconda media. Lui mi ha proposto, ti taglio un po´ i capelli. Mi fa sedere un po´ bassa, di modo che non vedo lo specchio, e mi racconta un film, o forse l´Amleto raccontato come un thriller, già pienamente Paolo Poli, tutto pugnali e veleni. E intanto taglia, taglia. Alla fine mi sono vista con i capelli cortissimi, sono scoppiata a piangere, e non volevo più andare a scuola. Secondo lui invece non ero mai stata così bella, perché "assomigliavo a un maschietto". Il suo gusto andava già verso l´androginia, e mi voleva come un ragazzino, mi vestiva in maniera austera, con il colletto duro e i capelli corti». Paolo: «Era carina, Lucia. Poi ha avuto quel momento che diventava lunga e cresceva, e sembrava un omo. Io la vestivo con la sottana scozzese, la camicetta di piquet bianco, il golf blu, le scarpe basse, insomma come un ragazzo. Poi un giorno le ho tagliato i capelli come Ingrid Bergman in Per chi suona la campana. E lei urla e strilli. Era bellissima, invece. Ma, come le sue compagne, voleva un fiocco con i fiorellini di panno Lenci...». Intanto Paolo aveva scoperto la sua vocazione teatrale. E Lucia, ancora al liceo, venne invitata dal fratello a Genova, dove lui lavorava con Trionfo in Finale di Partita di Beckett. «Una visione del mondo che mi ha sconvolta, impressionata. Il suo Beckett mi ha insegnato moltissimo, non nel cervello, ma nella pancia». Mentre la carriera teatrale di Paolo si consolidava, Lucia però resisteva alla seduzione della scena. «Non volevo percorrere le stesse strade». E dunque si laureava in filosofia (Paolo in lettere, con una tesi su Henry Becque), si specializzava in estetica, insegnava, scriveva per Paragone. «Poi l´occasione arrivò. Giulio Cattaneo venne a cercare qualcuno che collaborasse a un programma radio. E sono calata a Roma con Piero Gelli per fare una trasmissione sulla letteratura italiana contemporanea. Roma era meravigliosa. Ho scritto dei testi, poi sono passata a recitare alla radio e alla televisione. Ho cominciato a frequentare le cantine come spettatrice, e mi sono innamorata del teatro off, di Vasilicò, di Bene. Sono scivolata in questo mestiere pur non volendo. E mi sono allontanata dalle mie origini di scrittrice. Un percorso inverso a quello di Pinocchio che parte come burattino: io parto brava bambina e poi divento una irregolare. Ma in quegli anni e nell´ambiente irripetibile dell´avanguardia romana avevamo trovato la possibilità di esprimerci. E a quel punto Paolo ha detto, ma se fai teatro, facciamolo insieme». Dalla collaborazione sono nati quattro spettacoli, due negli anni ´70, due negli anni ´80. «Restavamo diversi. Io ero molto più disciplinata, più repressa. Lui aveva sempre il gusto di stupire, di dissacrare. Soprattutto il gusto antiretorico. La nostra sintonia si è creata grazie all´ambiente romano, al femminismo, che mi ha fatto fare un salto avanti, che mi ha convinta del fatto che avevo delle cose da esprimere. Paolo era già molto più libero, e io l´ho vissuto come un grande esempio di libertà». Così, nei primi due spettacoli, Apocalisse e Femminilità, per Lucia è stata dura. «Era il mondo di Paolo. Lui mi chiamava "la mia sorella sperimentale", perché guardavo più alla ricerca che allo sberleffo. Io il marameo l´ho scoperto strada facendo, lui l´ha scoperto prima». Poi è arrivato Paradosso, nell´80, da Il paradosso dell´attore di Diderot. «Ero più matura e ci siamo confrontati da pari a pari, con la dichiarata e palese finzione di essere due fratelli. Poi Cane e Gatto nell´84, quando era nato mio figlio Andrea, di cui ero completamente innamorata, persa. E abbiamo pensato di scrivere uno spettacolo dedicato al bambino, basato su storie di animali raccontate da grandi scrittori. L´abbiamo scritto in una collaborazione perfetta, aggiungi una cosa qui, taglia là, sempre in assoluto accordo. Ci siamo espressi liberamente tutti e due, era la commistione dei nostri due mondi». Poi forse perché si era momentaneamente esaurito il materiale su cui lavorare, forse per le circostanze pratiche - il figlio piccolo di Lucia che doveva andare a scuola, la sua difficoltà a viaggiare - il momento magico della collaborazione si è sfilacciato. Non l´amore e la fratellanza /mammanza. Quando non è in tournée («la sua vita», commenta Lucia) Paolo è spessissimo a casa della sorella. Lui la guarda con aria protettiva. «Mia sorella è un genio. Vivono in tre casette diverse dello stesso palazzo, lei, Pier Farri, il suo compagno musicista, e Andrea. E si vedono solo quando gli piace. Io sto per conto mio, vivo nudo come un verme tutto giorno e poi alle quattro esco, molto spesso per andare da lei». Anche Andrea è un musicista, è grande e coccola lo zio. Come dice Paolo Poli, «la famiglia, si sa, è uno schifo, ma io sono stato fortunato». Irene Bignardi