Sandro Viola, la Repubblica 22/8/2008, 22 agosto 2008
I russi, dopo l’attacco in Georgia, rompono con la Nato
Dopo l´America, che l´altro ieri aveva siglato con i polacchi l´accordo per l´installazione d´un sistema antimissilistico a ridosso dei confini russi, è Mosca, adesso, a far capire che la crisi scaturita dalla guerra nel Caucaso è soltanto agli inizi. Il Cremlino ha infatti deciso di sospendere qualsiasi forma di cooperazione militare con la Nato. Non siamo ancora all´uscita dal Consiglio Nato-Russia, ma si tratta comunque d´un passo molto significativo. Soprattutto perché nei capitoli della cooperazione militare era compreso il passaggio attraverso la Russia di "materiali non letali" (quindi approvvigionamenti, attrezzature sanitarie) diretti in Afghanistan.
Un segno, dunque, che le reazioni occidentali di queste due settimane alla condotta dell´Armata Rossa nel Caucaso non avevano né intimidito né preoccupato il regime russo.
Presa nel complesso, la risposta dell´Alleanza Atlantica al travolgente contrattacco dei russi in Georgia (la principale responsabile, questo non va dimenticato, della guerra d´agosto) era stata abbastanza cauta. Alla riunione dei ministri degli Esteri della Nato, martedì scorso, le porte erano state lasciate aperte ad una ripresa di rapporti "normali" con Mosca, alla sola condizione d´un totale ritiro delle truppe russe sulle posizioni da cui s´erano mosse il 7 agosto. Del resto, che altro poteva essere deciso nella riunione della Nato? La situazione s´è già fatta abbastanza convulsa, e nessuno intendeva aggravarla giungendo ad una drastica rottura del dialogo con la Russia, membro permanente del Consiglio di sicurezza dell´Onu, partner del G8 e del Quartetto che media nel conflitto israelo-palestinese, massimo esportatore di idrocarburi al mondo, e inoltre in possesso del più vasto armamento nucleare dopo quello degli Stati Uniti.
Certo: l´irruenza con cui l´amministrazione Bush ha voluto concludere l´accordo sui missili anti-missili in Polonia, può aver spinto Putin a reagire con un gesto drastico, clamoroso, come la fine d´ogni cooperazione con la Nato. Ma è vero anche che l´atteggiamento possibilista, prudente, degli europei che contano (Germania, Francia, Italia, Spagna) poteva bastare ai russi per attendere senza troppo agitarsi la fine della bufera post-Georgia.
Non è stato così. E ora bisogna tentare di capire come stiano guardando alla crisi, come ne stiano valutando gli sviluppi, gli uomini del Cremlino. Se alla prima buona occasione decideranno di rinfoderare il linguaggio e i gesti di sfida adoperati in questi ultimi giorni: o se invece la cautela degli alleati dell´America non verrà interpretata come timore dello scontro, "appeasement", un incoraggiamento a nuove dimostrazioni di forza. Come farebbe pensare al momento la fine della cooperazione militare con la Nato.
Il tentativo di cogliere cosa passi per la mente a Putin e ai suoi non è facile, dato che il regime consolidatosi a Mosca in questi anni (la sua natura e composizione, le sue motivazioni) è così anomalo da risultare quasi sempre imprevedibile. In Russia governa una consorteria di ex agenti dei servizi segreti: uomini d´una stessa generazione e formazione, la vera "élite" - per studi, orgoglio del ruolo, patriottismo - dell´ultima Urss. E questo gruppo nutre oggi la fierezza d´aver tratto il proprio Paese dal baratro in cui era caduto.
Esattamente dieci anni fa, infatti, la Russia di Eltsin aveva dichiarato bancarotta. Il rublo ridotto a carta straccia, la sospensione dei pagamenti del debito estero, i risparmi di decine di milioni di russi andati in fumo. Nessun rispetto sul piano internazionale, il crimine dilagante, lo Stato a pezzi.
Poi, nel 2000, Putin era asceso al potere con i suoi accoliti ex Kgb. E la Russia è oggi, otto anni dopo, un´altra Russia. Lo Stato rimesso in piedi, i forzieri della Banca centrale che scoppiano di riserve valutarie, l´economia in ripresa, e attorno al regime un consenso massiccio che la guerra in Georgia, fomentando il nazionalismo e anti-americanismo dei russi, ha ancora aumentato.
Al vertice moscovita circolano quindi una grande sicurezza, un´autostima, diciamo anche un´euforia. La percezione del gruppo che fa da base al regime, la Kooperativnost uscita dai servizi segreti dell´Urss, è che sulla scena internazionale "l´aritmetica del potere" è oggi dalla sua parte. Poco importano le critiche che giungono dall´esterno per le indecenti farse elettorali russe, per il fatto che tutti i personaggi di rilievo siano insieme uomini di governo e amministratori della ricchezza energetica del Paese (con automatiche e proficue ricadute sulla loro ricchezza personale), o per la presenza d´una specie di partito unico che rende il Parlamento completamente prono ai voleri del Capo. Il regime di Vladimir Putin ha il vantaggio di non dover rispondere a nessuno. Non ad un´opposizione politica e ad un´opinione pubblica all´interno, né ad alleati degni del nome all´esterno.
Può così appoggiare all´Onu il Sudan sulla questione Darfur, i generali birmani e lo Zimbabwe di Mugabe, rifiutare gli osservatori internazionali nei giorni delle elezioni, sciogliere a manganellate le sparute discese in piazza degli oppositori, tenere sotto stretto controllo i maggiori mezzi d´informazione, sospendere al primo stormir di fronde le forniture energetiche ai paesi ex Urss. In questo, gli errori o provocazioni dell´America di Bush non c´entrano. E c´entrano solo relativamente le ricchezze piovute dall´aumento dei prezzi di petrolio e gas, cresciuti di sei volte negli anni di Putin. I modi con cui dal 2005-2006 la Russia contrasta, ostacola, ostruisce ogni strada percorsa dagli Stati Uniti, scaturiscono infatti dalla viscere del regime. Dal suo bisogno di rivincita per il crollo della Russia sovietica («la più grande tragedia del XX secolo», dice Putin), dai complessi d´inferiorità e frustrazioni sofferti lungo tutti gli anni Novanta dinanzi alla vittoria americana nella Guerra fredda, dal suo nazionalismo di nuovo fervente dopo i successi ottenuti da quando è al potere.
dunque un gruppo dirigente insieme risentito e baldanzoso che gestirà a Mosca la crisi in atto. Le tensioni ormai molto forti con gli Stati Uniti, la semi-rottura con la Nato, una possibile discrepanza delle posizioni tra l´Unione europea e Washington, l´esacerbarsi dei rapporti con i vicini ex Urss dopo la guerra in Georgia. Quella che per alcuni versi sembra già una nuova Guerra fredda, nella quale la condotta del regime russo, almeno per ora, è tutto meno che prevedibile.
Solo l´economia, l´economia globalizzata, rende la situazione meno infiammabile di com´era ai tempi della vera Guerra fredda. I rapporti tra monopoli e industrie russi col mondo industriale e finanziario dell´Occidente sono oggi così intensi (e da ambedue le parti praticamente irrinunciabili), che è difficile pensare ad una loro rottura. L´Occidente vive una crisi economica molto seria, forse non passeggera. E la Russia aspira a modernizzarsi per abolire finalmente le sue tante sacche di miseria, e non essere - invece che una nazione potente - soltanto un petro-Stato che conta i barili di petrolio da vendere sul mercato.