Francesco Sisci, LA STAMPA 21/8/2008, 21 agosto 2008
Le Olimpiadi di Pechino non ci sarebbero state senza il suo coraggio e la sua paziente dedizione al partito e alla sua disciplina
Le Olimpiadi di Pechino non ci sarebbero state senza il suo coraggio e la sua paziente dedizione al partito e alla sua disciplina. Hua Guofeng, erede di Mao al trono del Partito comunista cinese nel 1976, è morto ieri a 87 anni. Già 30 anni fa era però sparito dalla scena politica per far posto a Deng Xiaoping che avrebbe dato inizio alle travolgenti riforme cinesi. Poche figure nella storia della Cina sono tragiche e nobili come quella di Hua. Nel 1976, Mao Zedong sente vicina la fine. Sono morti nei mesi precedenti Kang Sheng capo dei servizi segreti, Chen Yun maresciallo capo delle forze armate e Zhou Enlai il primo ministro amato dal popolo. In febbraio ci sono state dimostrazioni di piazza a Tienanmen in favore di Zhou e contro l’odiata Banda dei Quattro guidata dalla moglie di Mao, Jiang Qing. Mao reprime la protesta, ricaccia in campagna Deng Xiaoping, che guidava l’economia da vice premier, ma non si sente di affidare il potere all’ultra radicale Jiang Qing. Per la successione sceglie Hua Guofeng, uomo grigio, fedelissimo. La storia ufficiale racconta che sul letto di morte il Grande Timoniere sussurrò a Hua: «Con la Cina nelle tue mani ho il cuore in pace». Ma la Cina non era ancora nelle mani di Hua dopo la morte di Mao. Subito è chiaro che il partito è spaccato. Una cosa è assecondare Mao, il capo di sempre, nelle follie della rivoluzione culturale, altra cosa è seguire i quattro pazzi della Banda guidati dall’ex attrice Jiang Qing, che per disciplina di partito non avrebbe mai dovuto interessarsi di politica. Il capo dell’esercito, maresciallo Ye Jianying, e il capo dell’ufficio delle guardie del corpo del comitato centrale, Wang Dongxing, vogliono eliminarli. d’accordo anche Hua, il quale sa che i Quattro vogliono tutto il potere per loro e stanno mobilitando truppe fedeli stazionate in Manciuria. Il complotto contro i Quattro si trama in incontri segreti. Scatta la trappola: il 6 ottobre sono arrestati dalle loro stesse guardie del corpo agli ordini di Wang Dongxing. Il maresciallo Ye garantisce la sicurezza della città e Hua si occupa di garantire la legittimazione politica dell’evento. Ma dopo avere compiuto questo gesto, Hua è senza idee. Nell’autunno del 1976 l’economia cinese è sull’orlo della catastrofe, con la prospettiva di una nuova grande carestia come nel 1960 e ”61. Cambia allora il modo di vedere la politica mondiale. I leader si accorgono che durante i 27 anni di maoismo il prodotto interno lordo del Giappone è diventato circa dieci volte quello della Cina, nel 1948 erano uguali (ancora oggi il distacco non è stato recuperato). Bisogna ricominciare dall’economia, ma con un uomo che abbia la piena fiducia dei militari. Ye vuole subito reintegrare Deng e dargli tutto il potere. Ma non è facile sbarazzarsi subito dell’eredità di Mao. Ci vogliono oltre due anni di dibattiti interni furibondi, alleanze e contro alleanze interne per arrivare al plenum del partito nel dicembre 1978. La linea dei fedelissimi di Mao è sconfitta, Deng assume il potere e si apre il periodo delle riforme. Hua avrebbe potuto puntare i piedi e dire: «Mao ha lasciato lo scettro a me e lo voglio», e gettare il Paese in un nuovo scontro fratricida. Invece scelse di ritirarsi e sparisce dalla vita politica. Fu ricompensato con un posto praticamente onorario al comitato centrale del partito. Stampa Articolo