Ugo Magri, LA STAMPA 21/8/2008, 21 agosto 2008
Con interviste dal tono battagliero, i vertici di An provano a tranquillizzare la propria gente. «Non ci faremo annettere da Forza Italia», è il tam-tam da via della Scrofa
Con interviste dal tono battagliero, i vertici di An provano a tranquillizzare la propria gente. «Non ci faremo annettere da Forza Italia», è il tam-tam da via della Scrofa. Interpretano l’ansia dei quadri di partito, preoccupati per la propria sorte. E cercano di presentare il congresso fondativo del Pdl (a gennaio, nei piani del Cavaliere) non come un malinconico ammainabandiera, bensì come l’inizio di una storia nuova e certo gloriosa. Ecco dunque il coordinatore Ignazio La Russa rammentare sul «Foglio» che, dopo Berlusconi, «non ci sono dubbi, il leader naturale sarà Fini». Se non l’oggi, quantomeno il domani penderà a destra. Ed ecco il vicecapogruppo alla Camera Italo Bocchino invocare su «Libero» un regolare tesseramento, senza il quale «non c’è base democratica che legittimi le scelte della dirigenza». Sottinteso: quando nel Pdl saremo ad armi pari, noi di An ci faremo valere. Da Forza Italia osservano interdetti. Non replicano in quanto agosto è la stagione della «politica balneare», come la definiscono Cicchitto e Quagliariello, di cose serie si parlerà tra un mese (e a quel punto, aggiungono con un filo di polemica, pure i gruppi parlamentari andranno coinvolti nel dibattito). Ma soprattutto i berlusconiani tacciono, spiega un dirigente molto autorevole, poiché «la polemica è totalmente oziosa, nella realtà il percorso è tutto quanto già deciso, loro lo sanno benissimo. Come si dice in questi casi: carta canta». E che carta! In formato protocollo, con tanto di ceralacca e di sigillo del dottor Paolo Becchetti, notaio in Civitavecchia. Salta fuori una circostanza fin qui inedita, quantomeno per la politica italiana, e abbastanza incredibile: nell’atto costitutivo del Pdl, siglato da Berlusconi e Fini in data 27 febbraio 2008 davanti al notaio Becchetti, risulta inserita una clausola così chiara, talmente ferrea, da rendere pressoché inutile ogni discussione ulteriore su democrazia interna, leadership e quant’altro. E’ stato messo nero su bianco che, nel nuovo partito frutto della fusione, Forza Italia avrà il 75 per cento di rimborsi elettorali, candidature, poltrone e incarichi di partito. Alleanza nazionale il 25. Un rapporto di tre a uno, successivamente integrato con un apposito «atto accessorio» quando pochi giorni dopo le porte del Pdl si spalancarono alla Dca di Gianfranco Rotondi. Nella prassi concreta, il 75 a 25 si è già stemperato nel più mite 70 a 30, diventato il canone di riferimento. Però resta il «patto del notaio»: gli equilibri del futuro partito dovranno rispecchiarlo, e Forza Italia risulta intenzionata a esigerne il rispetto fino alla virgola. Quando si domanda come mai An accettò di firmare una clausola del genere, la risposta di parte berlusconiana è un sospiro: «Fini in quel momento si trovava un po’ con le spalle al muro, tra sondaggi calanti e minacce di scissione. Preferì il certo all’incerto». Magari il presidente della Camera se ne sarà pentito, o forse no visto l’alto ruolo politico-istituzionale che sta svolgendo (in questi giorni tira il fiato con la famiglia, e si tiene alla larga dalle polemiche). Insomma, l’ultima libertà che resta ad An (secondo la versione di Forza Italia) sembra quella di scegliersi i delegati per il congresso fondativo del Pdl. E, successivamente, di indicare al Cavaliere i nomi della propria rappresentanza ai vertici. Quanto al 70 per cento di Forza Italia, terrà conto dei piccoli partiti accorsi nel nuovo soggetto politico (ex-dc, repubblicani, reduci socialisti). L’ultima idea che bolle nella pentola berlusconiana riguarda la scelta dei delegati per il congresso. Accanto alle centinaia di eletti in Parlamento e nelle Regioni, il premier pare orientato (su suggerimento del coordinatore nazionale azzurro Denis Verdini) a mettere in campo nuovamente i gazebo. Attraverso i quali coinvolgere milioni di elettori. E garantire loro una «quota» nel consiglio d’amministrazione berlusconiano. Il progetto è ambizioso: inaugura l’era della «turbo-democrazia».