Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2008  agosto 21 Giovedì calendario

CORRIERE DELLA SERA 20 AGOSTO 2008

SERGIO RIZZO

Per far imbestialire Mauro Moretti basta citare gli anni da lui trascorsi al vertice della Cgil trasporti come se quello fosse stato il passaggio chiave di una carriera che oggi, 20 agosto 2008, compie trent’anni esatti. Naturalmente la strada per raggiungere la poltrona di amministratore delegato delle Ferrovie è stata molto più lunga e tortuosa, ma quel passato di sindacalista, volente o nolente, gli resterà sempre appiccicato addosso. Tuttavia non è per espiare quella specie di «peccato originale» che ha dichiarato guerra ai nullafacenti dei binari.

Alle Ferrovie se ne sono viste di tutti i colori e spesso la realtà ha superato la fantasia: c’era pure chi ha dichiarato per anni ore e ore di straordinario false spartendo poi il ricavato con il dirigente compiacente che firmava il suo foglio presenze. Ben venga, perciò, un sano rispetto delle regole. Semmai ci si potrebbe domandare: perché si è aspettato tanto, perché proprio ora?

Forse perché era necessario dare un segnale forte alla pancia dell’azienda. E darlo proprio alla vigilia dello sbarco nel ricco mercato dell’alta velocità di privati come Luca Cordero di Montezemolo. Il messaggio che non saranno più tollerati in un’azienda fra breve esposta alla concorrenza comportamenti tipici di una pubblica amministrazione inefficiente e parassitaria.

Ma davvero basta questo a spiegare l’ultima mossa di Moretti? I suoi detrattori evidenziano che l’amministratore delegato delle Fs è ai massimi vertici dell’azienda dal 2001, quando venne nominato capo di Rfi. E sottolineano maliziosamente la coincidenza «sospetta» fra il giro di vite nelle Ferrovie e l’offensiva antifannulloni lanciata da Renato Brunetta, ministro di un governo che non può essere certamente considerato amico dell’attuale amministratore delegato delle Fs.



Non tanto perché ex sindacalista, per giunta della Cgil, quanto perché collocato in quel posto dal precedente esecutivo di centrosinistra guidato da Romano Prodi. Vero è che le recenti dichiarazioni del ministro delle Infrastrutture Altero Matteoli sono apparse rassicuranti, ma è un fatto che fra i principali esponenti dell’industria privata e pubblica italiana, il solo Moretti era assente alla cena organizzata non più tardi di un mese fa a Villa Madama con Silvio Berlusconi, Giulio Tremonti e mezzo governo. Assenza frutto forse di un disguido, ma decisamente non passata inosservata.

Ma forse anche la politica c’entra fino a un certo punto. Perché la radice più profonda dello scontro senza precedenti in atto fra il sindacato e Moretti sta probabilmente nelle cabine delle locomotive. A settembre si aprirà la trattativa per arrivare a un solo macchinista. Le Fs sono l’unica compagnia ferroviaria europea ad avere due macchinisti alla guida del treno. Ragioni di sicurezza invalicabili, ma soprattutto un sindacato potentissimo, hanno sempre vanificato qualunque tentativo di far passare la logica del pilota unico. A vincere le resistenze non è servita, finora, nemmeno l’introduzione di costosissimi sistemi per la frenatura automatica, per i quali sono stati investiti 4 miliardi e mezzo di euro.

La battaglia d’autunno sul macchinista unico sarà senza esclusione di colpi: non soltanto per i 5 mila esuberi previsti, ma perché l’esito potrebbe risultare catastrofico per ciascuno dei contendenti. Moretti non può fare marcia indietro proprio adesso che la sua gestione ha bisogno di una svolta radicale. Difficoltà non marginali si manifestano per le pulizie dei treni e delle stazioni, destinate, giurano gli esperti, ad acuirsi ancora da qui a fine anno, quando scadranno i contratti con gli appaltatori.

E la puntualità, fattore che Moretti rivendica orgogliosamente come il proprio fiore all’occhiello, durante l’estate ha lasciato più di una volta a desiderare. Soprattutto sugli Eurostar, che alla vigilia della partenza dell’alta velocità fra Bologna e Milano promessa categoricamente per il prossimo 13 dicembre, (data sulla quale l’amministratore delegato delle Fs si gioca la faccia al punto da aver già da tempo spedito gli inviti per l’inaugurazione), stanno mettendo in luce tutti i dati anagrafici del loro progetto.

Ai suoi collaboratori Moretti va ripetendo che di fare l’amministratore delegato delle Ferrovie non gliel’ha ordinato il dottore. E in caso di sconfitta sarebbe anche pronto a lasciare. Difficilmente per occuparsi a tempo pieno dei suoi concittadini di Mompeo, paese di 556 anime nel Reatino di cui è sindaco dal 2004. Ma sarebbe comunque il primo della storia.


ALESSANDRA MANGIAROTTI
Ci sono quelli che finiscono la loro carriera in Ferrovie con una lettera di licenziamento. E ci sono quelli che, sui treni e grazie ai treni, continuano a lavorare con una lettera di richiamo appesa nell’armadietto, o con un «xy» numero di giorni di sospensione dal lavoro e magari dalla retribuzione, o semplicemente con la smorfia stampata in faccia di chi sa di averla sempre fatta franca. Sono quelli che l’Italia dell’effetto Brunetta ha ribattezzato «furbetti-dei-treni»: ferrovieri che timbrano un-po’-prima-un-po’-dopo rispetto all’orario prestabilito, che usano i beni di mamma-Fs quasi fossero propri (una volta l’auto per andare a pesca, l’altra il furgoncino per il trasloco, l’altra ancora la fresa dell’officina per qualche lavoretto).

E ancora: ferrovieri che fanno del risparmio della fatica una regola di lavoro (perché fare in uno quello che si può fare in due?) e degli interventi fuori sede un’occasione per prendersi qualche ora di svago. Ma soprattutto: ferrovieri che tutti gli altri (colleghi, sindacati, superfluo metterci pure i vertici aziendali) considerano un virus raro e pericoloso da debellare.

Sia chiaro: come in tante grandi e grosse (non sempre grasse) aziende del mondo, in un colosso da 86 mila dipendenti il furbetto è fisiologico. E, va da sé, ha pure vita facile. Agevolata da un decalogo dettato dai numeri e dai tempi della macchina aziendale: oggi fai tu per me, domani, magari, se mi va, faccio io per te; non dovrei, lo so, ma io ci provo lo stesso, tra tanti mica andranno a beccare proprio me.

 a uno di questi comandamenti che deve aver obbedito un operaio dell’officina di Napoli, storia recente, che dopo aver compiuto un intervento di linea ha caricato canne ed esche sull’auto aziendale ed è andato a pescare in orario di lavoro. Un fuori programma che, dice un collega che non ha gradito l’ultima furberia tra tante, è costato al ferroviere una bella sospensione. Stessa punizione per un gruppetto di addetti alla manutenzione, sempre di Napoli, che dopo due ore di lavoro se ne sono concesse quattro di riposo retribuito: in spiaggia.



Dilettanti allo sbaraglio se messi a confronto con un uso improprio dell’auto aziendale che appartiene però a un passato prossimo: di ritorno da un intervento di linea un gruppetto di ferrovieri ha fatto una deviazione ed è andato a fare incetta di asparagi in un campo all’apparenza incustodito. All’apparenza, appunto: sul più bello il contadino li ha sorpresi prendendo nota della targa dell’auto. La denuncia ha svelato la furberia: la macchina era di proprietà delle Ferrovie dello Stato.

Il «vizietto» ha del resto radici lontane e profonde. E, in passato, ha contagiato anche «graduati». Una consapevolezza che nel 2006 ha spinto Moretti a togliere le auto aziendali a tutti i dirigenti (un responsabile di settore ha perso anche il posto dopo essere stato scoperto ad addebitare alla società le spese di trasferte con signora al seguito). Ma come togliere i furgoncini agli operai? E i macchinari usati ogni giorno per il lavoro? All’azienda non è piaciuto che a Bologna un operaio dell’officina di manutenzione sia entrato nei capannoni fuori dall’orario di lavoro e senza autorizzazione e abbia usato le attrezzature aziendali per riparare il proprio motorino. Non era la prima volta. stato punito con dieci giorni di sospensione dal lavoro, dicono i sindacati, e insieme della retribuzione.

Il presidente FS, Cipolletta e l’AD Moretti
© Foto U.Pizzi
Lo stesso provvedimento disciplinare che ha raggiunto due sportellisti di Udine che hanno versato l’incasso dei biglietti solo dopo qualche giorno. Una formula-prestito che ha messo nei guai anche un controllore navigato. invece la sindrome da «carrozza 3» ad aver contagiato il maggior numero di ferrovieri tra il personale viaggiante: capotreni e controllori sorpresi, come è successo sull’Eurostar che da Bologna arriva a Milano a mezzanotte, a fare chiacchiera o a schiacciarsi un pisolo dimenticandosi delle altre 10 o 11 carrozze del treno.

Ci sono poi i fisiologici «furbetti» della malattia. Quelli che stanno a casa ma poi quando l’ispettore va loro a far visita non li trova: sette giorni di sospensione a Roma, uno a Venezia, altri quattro nella capitale. E ci sono i «furbetti» dei buoni-pasto. Due anni fa è stata scoperta una truffa da un milione di euro: un funzionario e 11 dipendenti sono stati accusati di aver sottratto alle Ferrovie migliaia di buoni pasto e di averli girati a ristoratori compiacenti in cambio di metà dell’incasso.

Ma il «vizietto» di cedere buoni a terzi o metterne insieme un po’ per organizzare un pranzo tra amici è stato scoperto ancora a Milano e a Genova. Non contro una furberia ma contro qualcosa di più serio, le Ferrovie hanno concentrato controlli specifici: verificare che ogni incarico sia svolto dal numero di persone previste. Magari anche per evitare tragedie come quella di Potenza: il treno impazzito era guidato da un solo macchinista invece dei due di turno.


Dagospia 20 Agosto 2008