MARCO SODANO, La Stampa 20/8/2008, 20 agosto 2008
Gli italiani dovrebbero dare a Cesare quel che è di Cesare. Se poi a sua volta Cesare restituisse agli italiani quel che è degli italiani sarebbe il massimo e chissà, a quel punto federalismo o no farebbe poca differenza
Gli italiani dovrebbero dare a Cesare quel che è di Cesare. Se poi a sua volta Cesare restituisse agli italiani quel che è degli italiani sarebbe il massimo e chissà, a quel punto federalismo o no farebbe poca differenza. Mettiamola così: il signor Brambilla - residente in Lombardia - paga 100 euro di tasse. Sul territorio della sua regione, in spesa pubblica, ne tornano circa 75. Gli altri 25 euro servono per finanziare strade, scuole, ospedali nelle regioni che incassano meno dai contribuenti. Il dato secco potrebbe contrariare il signor Brambilla. Il quale però un giorno potrebbe aver bisogno di raggiungere in auto una qualunque città del Mezzogiorno (ma anche della Val d’Aosta o del Trentino): a quel punto, gli verrà comodo trovare una strada costruita come si deve. E se dovesse - Dio non voglia - rompersi una caviglia appena arrivato a destinazione, allora conterà d’esser ricoverato in un ospedale efficiente come quelli della sua Lombardia. A quel punto anche il Brambilla potrebbe esser contento del fatto che un lombardo paghi (in media) 17mila euro di tasse per vederne tornare dalle sue parti solo 13mila. I quattromila che servono garantiscono le sue cure ovunque si trovi. In attivo, in passivo Sono sette - dice il centro studi della Cgia di Mestre - le Regioni italiane in attivo col fisco, quelle che versano più di quanto ricevono. Con la Lombardia c’è il Veneto, che raccoglie ogni anno 62 miliardi di imposte e vede tornare sul territorio appena 50 miliardi. Tornando all’esempio dei cento euro, indietro ne tornano 80, ovvero 13mila 983 euro di tasse pagate a testa per 10mila 691 spesi dallo Stato nelle Venezie. I tremila e rotti che mancano, prendono la strada di altre regioni italiane. E’ in attivo anche il Piemonte - paga 6 miliardi più di quanti ne riceve -, la Toscana (4,9). Anche il Lazio del grande buco nella sanità è in attivo: paga 84 miliardi di tasse e incassa dallo Stato 80,2. Seguono le Marche (in attivo di due miliardi), e la lista dei virtuosi si chiude qui. A dispetto del mito che vuole un Nord risparmiatore in perenne conflitto con un Mezzogiorno sprecone, è la Provincia autonoma di Bolzano ad aprire l’elenco degli enti locali in rosso: incassa 7,4 miliardi di euro e ne spende 7,7 (da questo punto di vista le Province a Statuto speciale sono equiparate alle Regioni). Così, se un bolzanino paga 100 euro di tasse, sul suo territorio ne arrivano 103. Si accoda la Provincia di Trento: 7,6 miliardi versati all’erario, 8,1 di spesa pubblica sul territorio, mezzo miliardo di passivo. In rosso, di 500 milioni circa, anche la Val d’Aosta (2,1 miliardi di tasse, 2,6 di spese). Però i valdostani sono pochi: e infatti la loro regione, guardando al valore procapite, è quella dove c’è la differenza più alta tra tasse pagate (17mila 261 euro) e spese statali (21 mila 453): 4 mila 192 euro. Insomma, la maglia nera va al nord. Andando avanti nell’elenco: sono in rosso di 600 milioni l’Umbria e il Molise. Di 700 milioni il Friuli Venezia Giulia, di 900 milioni la Liguria, di un miliardo e 100 milioni l’Abruzzo. La Basilicata versa 4,9 miliardi e ne incassa 6,3 (meno 1,4), la Sardegna 17,5 miliardi contro 19,9 (- 2,4). La Calabria versa 15,9 miliardi e ne incassa 21,1 (il rosso è di 5,2 miliardi), la Puglia è sotto di 5,7, la Campania versa 46,9 miliardi e ne incassa 53, 5. Infine la Sicilia, che versa 40 miliardi e ne incassa 53,3 (meno 13,3). Tornando per l’ultima volta al gioco dei cento euro versati all’Agenzia delle Entrate, significa che un palermitano riceve dallo Stato 132 euro in servizi. Pagare conviene Capovolgere il discorso, e valutare invece quanta parte delle spese correnti di ogni Regione è coperto con i tributi locali (Irap, addizionali regionali eccetera), riserva però una sorpresa: pagare le tasse conviene. La media nazionale è pari al 45,6%. Il valore tocca punte del 64,6% in Lombardia, del 53,7 in Piemonte, del 53 in Veneto ma anche valori minimi come il 31,3 in Campania, il 30,2% in Puglia, il 29,6% in Umbria, il 22,3 in Calabria e il 21,6 in Basilicata. Prendendo la media nazionale come punta massima di efficienza ottenibile, se le regioni italiane si allineassero a quel valore si troverebbero di fronte a un’alternativa: agire sulle tasse oppure sulla spesa pubblica. Tornando alla Lombardia - che copre il 64,6% delle spese con le entrate locali - il virtuoso Pirellone potrebbe beneficare i suoi cittadini in due modi: una riduzione delle tasse di 323 euro a testa l’anno oppure un aumento della spesa corrente di 707 euro (sempre a testa). Inclini al business, non c’è dubbio che i lombardi sceglierebbero la seconda strada. In Piemonte Mercedes Bresso potrebbe costruirsi un picco di popolarità abbassando le imposte di 167 euro a tutti i piemontesi oppure spendere in servizi 366 euro l’anno in più per ogni abitante del Piemonte. Chiaro che la situazione si ribalterebbe nelle regioni in affanno con i conti: la Basilicata, che copre appena il 21,6% delle spese con le entrate locali, per raggiungere il tasso medio nazionale si vedrebbe costretta a un’alternativa dolorosa: aumentare le tasse di 550 euro pro capite o ridurre la spesa di 1.206. In Calabria, il presidente Agazio Loiero dovrebbe alzare le imposte di 506 euro per ogni calabrese oppure ridurre la spesa di 1.108. Tutta teoria: aumentare la base imponibile nelle regioni del Sud è impensabile, l’unica strada per pareggiare il conto sarebbe quella dei tagli. Ma a quel punto il centrodestra dovrebbe dire addio alla sua solidissima base elettorale nel Sud. Morale: la riforma federale del Fisco è mestiere da farmacisti più che da ruspanti esponenti della Lega. Stampa Articolo