Roberto Da Rin, Il Sole-24 Ore 17/8/2008, pagina 4, 17 agosto 2008
Il Sole-24 Ore, domenica 17 agosto L’Avana. Nel cuore della città, a due passi dal Parque Central, di fronte alla scuola elementare Josè Martí, si legge: «Combativos, productivos, eficientes»
Il Sole-24 Ore, domenica 17 agosto L’Avana. Nel cuore della città, a due passi dal Parque Central, di fronte alla scuola elementare Josè Martí, si legge: «Combativos, productivos, eficientes». Produttività ed efficienza sono concetti ormai sdoganati dal regime ed entrati nel linguaggio dei grafitari. Non incompatibili con l’orgoglio della Revolucion e del «Socialismo, sí se puede», che resta ben rappresentato; poco dopo l’imbocco della carretera central, l’autostrada che percorre tutta l’isola, un enorme murales ricorda ai viaggiatori che un «dia de bloqueo» equivale a «139 autobus urbanos», un giorno di embargo costa come l’acquisto di 139 autobus. Sullo sfondo un profilo del Comandante en Jefe, Fidel Castro. sempre difficile capire se la pietrificata politica cubana, anche dopo che a febbraio Raul Castro è stato eletto presidente al posto del fratello Fidel, presenta elementi innovativi o se i segnali sono solo cosmetici. La liberalizzazione delle vendite di pc, dvd, l’apertura di alcuni internet point, potrebbero avviare una nuova era, l’era di "raul.com", che solo il tempo potrà consacrare come "la svolta" o condannare come un palliativo. Sul Granma, il primo quotidiano cubano, si è però delineata un’insperata glasnost editoriale: da qualche mese vengono pubblicate le lettere dei lettori che denunciano ristrettezze e restrizioni della vita quotidiana. Primo tra tutti il disagio della doppia moneta: il peso cubano, con cui vengono pagati i lavoratori, al cambio di 25 a 1 con il dollaro, e quello "convertibile", 1 a 1 con il biglietto verde, accessibile a chi lavora con gli stranieri. Venerdì scorso, proprio nella rubrica dei lettori, è comparso persino un piccolo manifesto contro la burocrazia cubana, a firma di A. Ramirez Cuenca, che la definisce una «malattia molto diffusa nell’isola». Dai balseros a Internet La chiamano conexion underground, è il modo surrettizio di connettersi alla rete. Ci si aggancia al cavo di un’impresa straniera o si sfrutta un servizio wireless di qualcun altro. Dal porticato di una bella casa al Vedado, dove gli elementi di architettura coloniale cedono all’aggressione della salsedine, Nika si spinge sulla sedia a dondolo e ci accoglie per spiegarci la sua vita di internauta. Trentaquattro anni, una laurea in storia, lavoretti saltuari, pochi soldi, parenti in Florida, ma ferma nell’intenzione di non andarsene da Cuba. «Mi piace immaginare Miami come un prolungamento dell’Avana, con un altro Malecon (il lungomare, ndr), un altro Forte della Cabaña e altre case uguali. Ma preferisco l’originale». Lascia il patio solo per un momento, mette un cd dei principi del son, il Sexteto Habanero, si ripresenta con due tazzine di caffè. Stretta in un abito a fiori bianco e blu, la schiena lucida di sudore, i movimenti flemmatici, Nika non tradisce nessun disagio per i 36 gradi all’ombra di quella che chiama «la mia Avana» e dice di sentirsi un po’ come i balseros degli anni novanta, (i disperati che tentavano improbabili traversate del braccio di mare che separa L’Avana da Miami). «La differenza tra me e loro è che la mia navigazione è in rete. Ma sempre appesa tra la speranza e il dubbio. Così come la loro». Cosa vuoi dire? «Che si tratta sempre di connessioni precarie, insicure. Una linea costa 40 dollari al mese, una cifra enorme, e un internet cafè 5-6 dollari l’ora». Va detto che sono stati fatti dei progressi, il Governo sta lavorando per migliorare il servizio che però resta illegale. una delle (in)superabili contraddizioni della Cuba rivoluzionaria: no se puede, pero... «Oggi esiste un servizio di posta elettronica nazionale scollegato da internet, entro due anni dovrebbe arrivare la fibra ottica dal Venezuela e consentire una velocità di connessione e di navigazione finora impensabili». Sì perché l’embargo si declina in tanti modi, l’ultimo è quello della rete, che di fatto isola Cuba. Il Governo ha rilanciato il settore educativo, con la fondazione dell’Uci, Universidad de Ciencia informaticas, che conta 10mila iscritti e ha già sfornato i primi laureati. Inutile dire che Cuba guarda con attenzione allo sviluppo dell’open source, il sistema operativo Linux, l’anti-Microsoft. Due monete, due economie Per un maledetto dollaro, un maldito dolar, ci si ingegna in ogni modo. In Calle Obispo c’è un signore che incide su un chicco di riso il nome di battesimo dei turisti; un altro squarta, taglia, forgia, seziona, ripiega e assembla una lattina di Tu-Cola (la Coca Cola comunista), fino a trasformarla in una splendida riproduzione di Plymouth, un’auto degli anni Cinquanta ancora in circolazione per le dissestate strade cubane. «Todo por un dolar» è il racconto di un giovane scrittore cubano, ma è soprattutto la nemesi storica di un Paese che non ha potuto evitare la distorsione di una doppia economia: quella della libreta (la tessera annonaria che dà diritto a qualche razione di riso, uova, zucchero e carne) e dello stipendio pagato in pesos cubani, equivalenti a 12 euro mensili. E poi l’altra, quella in pesos convertibili, dollari appunto. Riservata a chi ha il privilegio di gravitare attorno al settore del turismo. Negli ultimi due anni il peso cubano ha guadagnato qualche posizione: a pochi metri dalla Plaza Vieja, il gioiello architettonico del XVI secolo, riportato agli antichi splendori dal restauro di Eusebio Leal, El Historiador de L’Avana, si acquista pizza al taglio per 10 pesos cubani, 40 centesimi di euro. E per altri 10 pesos, a due isolati, un cono gelato. Fragola e cioccolato, ovvio. Ma quasi tutto il resto, scarpe, occhiali, mobili d’arredo, telefonia, benzina è in moneda dura, pesos convertibili. Un’odiosa contraddizione che Osvaldo Martinez, 64 anni, presidente della Commissione economica del Parlamento cubano, ha annunciato di voler superare. «La dualità monetaria, introdotta nel 1993 dopo il crollo dell’Unione sovietica, ha svilito l’orgoglio nazionale e ha introdotto delle discriminazioni. Vogliamo eliminarla, ma dobbiamo aumentare le riserve monetarie per poter sostenere un tasso di cambio accettabile. Ciò presuppone una riforma dei salari e dei prezzi, che poggia su un aumento dell’efficienza». Raul ha già introdotto un concetto innovativo, paradossalmente controrivoluzionario: chi produce di più è giusto che guadagni di più. Solo così si potrà superare la divaricazione prodotta dalla doppia valuta: quel "dentro" e "fuori" dai beni di consumo, dai servizi di qualità, che costringe molti cubani a percepire la Revolucion come un’incompiuta. Sarà questo, assieme a internet, il vero banco di prova dei raulisti, i riformisti cubani. Il petrolio venezuelano (pagato con i medici e i maestri inviati a Caracas) e gli investimenti cinesi hanno alleviato gli stenti della popolazione ma non superato l’iniquità della doppia moneta. il prossimo traguardo fissato dalla nomenklatura. La popolazione cubana, come sempre, ha già fatto la sua parte: Omar, insegnante di russo, 58 anni, ci racconta di aver «cambiato vita». Per raggiungimento dell’età pensionabile? «No, per tornare a studiare, questa volta italiano, e poterlo insegnare; molti giovani lo vogliono imparare. Così chiede il mercato». Ammicca, sorride e aspira una boccata del suo puro, il sigaro. L’oro che va in fumo. Roberto Da Rin