Fabio Pozzo, La Stampa 19/8/2008, pagina 27, 19 agosto 2008
Mentre i fondi sovrani dei Paesi del Golfo fanno incetta di istituzioni finanziarie Usa e d’Europa, forti di un’eccedenza di liquidità (si stima in 1500 miliardi di dollari) alimentata dall’impennata del prezzo del petrolio, i grandi investitori occidentali scommettono sempre di più sulla finanza islamica
Mentre i fondi sovrani dei Paesi del Golfo fanno incetta di istituzioni finanziarie Usa e d’Europa, forti di un’eccedenza di liquidità (si stima in 1500 miliardi di dollari) alimentata dall’impennata del prezzo del petrolio, i grandi investitori occidentali scommettono sempre di più sulla finanza islamica. Alla ricerca di una maggiore esposizione nelle economie arabe, ma anche in cerca di una diversificazione del rischio che consenta loro di sfuggire all’onda lunga della crisi dei mutui. Il dato più clamoroso arriva dalle obbligazioni societarie emesse dal giugno 2007 al giugno 2008 nei Paesi del Golfo: il collocamento ha raggiunto la cifra record di 17 miliardi di dollari, con un balzo del 17% rispetto all’anno precedente; il 60% di questi bond ha un sottoscrittore statunitense o europeo. Sukuk Sono strumenti di raccolta di capitali che hanno caratteristiche simili a quella di una obbligazione convenzionale, con la differenza che sono basati su attivi patrimoniali. Rispondono alla legge canonica che deriva dal Corano, dai detti e comportamenti del Profeta, dal consenso dei dotti e dall’analogia giuridica. La shariah vieta l’interesse, l’incertezza contrattuale, la speculazione e gli investimenti in settori come il gioco d’azzardo, la pornografia, le armi, la droga. In principio, i sukuk sono stati emessi da governi e agenzie collegate e da istituzioni finanziarie; oggi i principali emittenti sono le imprese, per finanziare il loro business, e le banche di investimento, per rispondere alla richiesta di capitali con fonti di finanziamento stabili. Il debutto nel 2002, in Malesia. Oggi il mercato globale dei bond islamici vale approssimativamente 110 miliardi di dollari. Una crescita esplosiva, se confrontata ai 500 milioni di dollari delle emissioni del 2001, ma anche ai 25 miliardi del 2006, che avevano già fatto segnare un incremento del 60% rispetto all’anno precedente. Una corsa che sembra inarrestabile: nel 2007 vi erano circa 180 sukuk e certificati islamici emessi nel mondo in sette valute diverse. Grandi investitori Ideati per offrire ai musulmani uno strumento di gestione del risparmio «eticamente compatibile», i sukuk sono diventati prodotti ambiti anche da chi con l’Islam non ha nulla a che fare. «L’emissione di 3,5 miliardi di dollari di Dubai World, nel 2006, è stata sottoscritta al 30% in Europa. Nel 2007, un altro bond da 3,5 miliardi è andato al 40% nell’area euro, al 40% nel Medio Oriente e al 20% nel resto del mondo. Vi investono soprattutto fondi pensione, hedge funds e compagnie di assicurazione», precisa l’Assaif, centro studi e di ingegneria finanziaria no-profit con sede a Milano. Fenomeno globale I cardini del mercato dei bond islamici sono la Malesia (60%), e gli Emirati Arabi Uniti (25%), che insieme coprono una buona parte delle emissioni globali. Poi Arabia Saudita, Kuwait Qatar, Bahrein, Indonesia, Egitto, Pakistan. Ma non solo. Anche il Giappone, primo dei Paesi del G8, sta per emettere un sukuk sovrano. In Europa, il primo bond islamico, da 100 milioni di euro, è nato nel 2004, varato dal ministro delle Finanze del land tedesco della Sassonia-Anhalt. Ora, la grande attesa è per il primo sukuk sovrano d’Europa, che sarà lanciato dal Tesoro britannico probabilmente entro la fine dell’anno. Fabio Pozzo