Alberto Ronchey, Corriere della Sera 19/8/2008, 19 agosto 2008
La strategia di Putin, secondo un frequente giudizio, è neoimperiale. Tende a recuperare i territori perduti dal potere di Mosca, nella dissoluzione dell’Urss, più o meno come protettorati
La strategia di Putin, secondo un frequente giudizio, è neoimperiale. Tende a recuperare i territori perduti dal potere di Mosca, nella dissoluzione dell’Urss, più o meno come protettorati. Al suo disegno si oppongono in particolare, oltre alle repubbliche baltiche, l’Ucraina e la Georgia. Nel caso dell’Ucraina, Mosca ricorre a sanzioni come superpotenza energetica. Nel caso della Georgia, tende a far leva sugli antagonismi etnici. I governi di quelle nazioni aspirano a tutelarsi e cercano garanzie in Occidente, anche se con azzardi temerari come quello del georgiano Saakashvili, che ha dato inizio alla guerra d’agosto nell’Ossezia meridionale prestandosi alla reazione «sproporzionata» dei russi. Già da tempo Vladimir Putin denunciava come provocatorie le pressioni per condurre l’Ucraina e la Georgia nella Nato, mentre definiva ostile ogni presenza politica e persino economica degli Stati Uniti ai confini della Russia. Nella versione degli osservatori più comprensivi dinanzi all’inquieto e orgoglioso nazionalismo «granderusso», Putin interpreta e manifesta non già un arrogante «neozarismo», bensì una sindrome d’accerchiamento che può motivare le sue reazioni tanto spesso esasperate. Ma davvero può considerarsi a rischio d’accerchiamento un impero bicontinentale, che anche dopo la dissoluzione dell’Urss rimane tuttora esteso per oltre 17 milioni di chilometri quadrati? Da Mosca, i portavoce replicano che simili apprensioni si fondano sui fatti. A Occidente le basi Nato, i piani per il sospetto «scudo » missilistico-spaziale di Bush, l’espansione dell’Ue. A Oriente quel potere di Pechino ingigantito dal boom economico e tecnologico, mentre il miliardo e trecento milioni di cinesi può tracimare in Siberia e nella regione dell’Amur, dove rimane scarsa la popolazione russa. Lo scenario di ogni vertenza con Mosca presenta così diversi e discutibili aspetti, oltre a manifeste contraddizioni di tutti. Se in materia di separatismi Putin condanna quello del Kosovo, soccorre poi con bombardieri e carri armati quello dell’Ossezia meridionale, mentre fomenta e tutela quello dell’Abkhazia. I governi occidentali assistono a loro volta il separatismo del Kosovo dalla Serbia, sia pure come conseguenza della «pulizia etnica» di Milosevic, mentre considerano pericolose le secessioni dalla Georgia e ancor più rischiosa la tendenza intimidatoria dell’interventismo russo non solo nel Caucaso. Basta pensare alla vertenza con l’Ucraina sul porto di Sebastopoli. E poi, rimane l’incognita della strategia energetica russa. E’ probabile, se non già dimostrato, che i bombardieri e i carri armati di Putin avessero anche lo scopo di provare l’insicurezza dell’oleodotto Btc, che dal Caspio passa per la Georgia e la Turchia fino al Mediterraneo, come inducono a supporre le operazioni militari prolungate in territorio georgiano. Quella, per ora, è la sola fornitura di greggio per l’Europa che non venga dalla Russia o dall’Iran. Sullo stesso itinerario è atteso anche il gasdotto Bte, impresa di rilevante interesse. Ci si domanda se il disegno di Putin comprenda non solo un espansionismo geopolitico, ma geoenergetico, passando anche per Tbilisi. L’interrogativo è sospeso, ma non secondario. La risposta verrà, nei prossimi tempi, con gli ulteriori sviluppi della controversia internazionale sul Caucaso.