Anna Zafesova, La Stampa 18/8/2008, 18 agosto 2008
Da ieri, la distanza tra Bruxelles e Tbilisi si è accorciata. Per fare questo miracolo geografico ci sono volute le cannonate dell’ex Armata Rossa, e la svolta di Angela Merkel
Da ieri, la distanza tra Bruxelles e Tbilisi si è accorciata. Per fare questo miracolo geografico ci sono volute le cannonate dell’ex Armata Rossa, e la svolta di Angela Merkel. La cancelliera tedesca ieri è andata a Tbilisi, dopo aver rimproverato Dmitry Medvedev nella sua dacia di Soci, e con accanto Mikhail Saakashvili ha dichiarato: «La Georgia sarà membro della Nato, se lo vuole, ed è questo ciò che vuole». Era stata proprio Berlino, insieme a Parigi, a sollevare i dubbi più pesanti sul conferimento a Georgia e Ucraina dello status di candidati all’Alleanza Atlantica, al vertice di Bucarest nell’aprile scorso. Vladimir Putin, che scontava le ultime ore del suo mandato al Cremlino, ma mostrava chiaramente l’intenzione di non farsi sfuggire il timone, era furioso per la prospettiva, e nonostante gli Stati Uniti avessero sostenuto Kiev e Tbilisi era stato deciso di rimandare la decisione a dicembre. Una mossa che, dice adesso con amarezza Saakashvili, «ci ha condannati». Ora la questione dell’accesso di Georgia e Ucraina al Map (il programma di pre-adesione «Membership Action Plan» che equivale allo status di candidato ufficiale) verrà ridiscusso e - almeno sembra, dicembre è ancora lontano - con toni ed esiti diversi. Le conseguenze della guerra per l’Ossezia hanno ormai valicato le montagne del Caucaso, e stanno costringendo i politici occidentali a riallinearsi, adeguarsi, alzare i toni e abbassare le attese. Ormai non solo gli Stati Uniti parlano di «conseguenze a lungo termine» per la Russia - ieri il segretario alla Difesa Robert Gates ha ribadito che l’Occidente ha «un menù di opzioni» da utilizzare contro Mosca, a cominciare dal rifiuto dell’adesione alla Wto all’espulsione dal G8 - ma anche Nicolas Sarkozy ieri ha lanciato un monito simile. La guerra fredda verbale inaugurata da Putin un anno e mezzo fa con il suo minaccioso discorso a Monaco di Baviera, dopo l’invasione della Georgia non è più solo una schermaglia verbale. La posizione degli europei sta cambiando anche sotto l’influenza delle minacce russe contro i Paesi del Vecchio Continente. Sabato il vicecapo dello Stato Maggiore russo Anatoly Nogovizyn aveva ammonito che la Polonia poteva diventare «il bersaglio di un attacco nucleare» russo nel caso avesse ospitato gli intercettori antimissile americani («Vuota retorica, la Russia non lancerà missili contro nessuno, e tutti lo sanno», ha commentato Gates). E ieri il Sunday Times ha rivelato l’intenzione della Russia di portare le armi atomiche nel Baltico, dotando la sua marina e la sua aviazione di stanza alle porte dell’Europa con ordigni nucleari. Citando fonti militari russe, il giornale britannico sostiene che il progetto prevede l’installazione di armi atomiche sui bombardieri strategici, sui sottomarini nucleari e sugli incrociatori della flotta del Baltico. In prima linea contro la Nato all’epoca dell’Urss, negli ultimi anni era stata quella più negletta della marina militare russa, avendo perso le sue basi nelle ex repubbliche sovietiche entrate nella Nato e nell’Ue. Ma ora la sua posizione a Kaliningrad, enclave russa fra la Polonia e la Lituania, la riporta sul fronte di quella che Mosca immagina come la nuova contrapposizione strategica: «Vista la determinazione americana a installare una difesa missilistica in Europa, i militari russi stanno rivedendo tutti i loro piani per dare a Washington una risposta adeguata», dice la fonte russa citata dal Sunday Times. L’ambasciatore Usa alla Nato, Kurt Volker, non ha tardato a commentare, definendo «veramente inopportuno che la Russia abbia scelto di reagire mettendo testate belliche nucleari in diversi posti, se veramente intende farlo, quando il resto del mondo non pensa a questo tipo di conflitto di vecchio stampo tra superpotenze». Sembra invece proprio l’idea che si sono fatti al Cremlino, di riconquistare tutte le vecchie linee di difesa e attacco, e la notizia del ritorno dei bombardieri russi a Cuba, circolata qualche settimana fa come indiscrezione, ha poi trovato conferma nei viaggi di alti responsabili militari russi a Lourdes, dove fino agli anni ”90 Mosca teneva un avamposto. E l’Europa all’improvviso si rende conto che il suo grande vicino a Est non è vincolato né da un accordo di partnership con l’Ue (scaduto l’anno scorso e mai rinnovato), né dal trattato sulle armi convenzionali in Europa, che poneva limiti alle truppe russe e che è stato rotto da Putin un anno fa. Quello che a molti appariva un capriccio di un Paese in cerca di identità, dopo i carri armati russi in Georgia comincia ad assumere le sembianze di un piano e, come avverte Saakashvili dalla sua Tbilisi che oggi governa solo metà del Paese occupato, «d’ora in poi nessuno è più al sicuro».