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 2008  agosto 17 Domenica calendario

Sarebbe molto facile, e probabilmente non sbagliato, considerare una boutade la proposta di Umberto Bossi, poi smorzata da Calderoli, di reintrodurre l’Ici sulle prime case (o un’imposta che le somigli) e archiviare il tutto come la più recente di una lunga serie di proposte impossibili, di affermazioni truculente, di gesti plateali in cui, specialmente sotto Ferragosto, il leader storico della Lega ama indulgere ormai da molti anni

Sarebbe molto facile, e probabilmente non sbagliato, considerare una boutade la proposta di Umberto Bossi, poi smorzata da Calderoli, di reintrodurre l’Ici sulle prime case (o un’imposta che le somigli) e archiviare il tutto come la più recente di una lunga serie di proposte impossibili, di affermazioni truculente, di gesti plateali in cui, specialmente sotto Ferragosto, il leader storico della Lega ama indulgere ormai da molti anni. Si ricadrebbe così in una polemica politica ormai consunta che non conduce da nessuna parte e non si andrebbe al cuore del problema. Appare invece più produttivo cercare di esplorare le possibili ragioni di questo completo cambiamento di orizzonte da parte di una forza determinante per l’equilibrio politico italiano. Le spiegazioni sembrano essere essenzialmente due: la prima è una crassa, monumentale, ingenua ignoranza dei meccanismi dell’economia e della finanza pubblica. Quest’ignoranza non è certo limitata alla Lega (anche se qui raggiunge spesso punte inconsuete) e ha fatto sì che sia diventato normale nella prassi politica italiana attribuire il ruolo chiave di ministro dell’Economia a un «tecnico» prestato alla politica (tanto per fare qualche nome, Siniscalco, Padoa-Schioppa e, a suo tempo, lo stesso Presidente Ciampi) o ivi definitivamente approdato (Tremonti) perché i politici purosangue non sanno più non solo mettere a punto i bilanci pubblici ma neppure leggerli. Sono infatti pochissimi i parlamentari che si rendono davvero conto non solo delle modalità tecniche ma anche della strategia generale delle «manovre» che approvano. Tutto ciò non deve stupire: il governo riflette abbastanza fedelmente l’ignoranza diffusa nell’Italia attuale in cui gli studenti che superano l’esame di maturità hanno difficoltà a fare le quattro operazioni. Secondo questa spiegazione, la Lega Nord avrebbe accettato, senza esaminarla in profondità, la proposta del Partito della Libertà di eliminare l’Ici. Non si sarebbe quindi resa conto che tale eliminazione era una mossa del tutto contraria agli obiettivi del federalismo fiscale in quanto privava i comuni della principale fonte di entrata locale ed eliminava quel minimo di autonomia fiscale che i comuni stessi si erano conquistati nel tempo e che si concretava nella scelta delle aliquote Ici da applicare, in un difficile equilibrio tra la popolarità di aliquote basse e l’impopolarità di una riduzione della spesa pubblica locale che da queste aliquote basse deriva. Insomma, la Lega di Bossi avrebbe segato, senza accorgersene, il ramo dell’albero sul quale era seduta e, mentre predicava il federalismo fiscale, avrebbe accettato un accentramento di fatto del gettito fiscale nell’odiata Roma. Successivamente, di fronte alle casse vuote dei loro comuni, i sindaci leghisti avrebbero esercitato una forte pressione sui vertici della loro forza politica per la reintroduzione di un robusto tributo locale. Bossi sarebbe stato costretto al clamoroso dietrofront di ieri dalla sua stessa base, dal localismo leghista che si scopre ingannato. La seconda possibile ragione è più allarmante: la Lega Nord avrebbe accettato l’eliminazione dell’Ici ritenendola una proposta «acchiappa-voti» (come probabilmente era nella strategia generale del Partito della Libertà) finalizzata a ottenere la vittoria elettorale. Conseguita questa vittoria, la legge avrebbe terminato il suo compito e sarebbe quindi ora di toglierla di mezzo, o modificarla radicalmente, in modo da ridare ai comuni un minimo di controllo sulle proprie finanze. In questo modo, però, la solenne promessa di «non mettere le mani nelle tasche degli italiani» sarebbe rinnegata; e una parte almeno degli elettori della maggioranza sarebbe giustificata nel ritenersi gabbata. E’ probabile che la verità stia nel mezzo e che dietro all’eliminazione dell’Ici si possa ravvisare un misto di faciloneria e di cinismo elettorale, due caratteristiche, del resto, diffuse in modo abbastanza bipartisan nel mondo politico italiano; così come un misto di faciloneria e di cinismo elettorale appare evidente dietro alle promesse di rapidissimo salvataggio dell’Alitalia che, invece, non è stata ancora «salvata» e continua a perdere circa un milione di euro al giorno a spese di tutti gli italiani. E’ sperabile che il dietrofront di Bossi serva almeno a far comprendere alla dirigenza della Lega Nord - e, ove necessario, di ogni altra forza politica - che vi è una sostanziale verità in uno degli adagi che gli economisti ripetono più spesso, ossia che «nessun pasto è gratis». Neppure il federalismo, che molti ritengono semplicemente un lauto banchetto per gli enti locali del Nord a spese delle finanze del governo centrale, è gratis: l’aumento delle autonomie locali presenta costi non trascurabili. Se non rilevati e resi minimi, questi costi possono compromettere l’estensione delle autonomie locali e l’adozione di un sistema federale che, al contrario, presenterebbe invece notevoli vantaggi se adottato nei modi dovuti. Il federalismo, insomma è qualcosa di troppo serio per essere abbandonato alle balordaggini ferragostane. mario.deaglio@unito.it