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 2008  agosto 17 Domenica calendario

Saakashvili è un giocatore d’azzardo. Per nostra fortuna la Georgia non è entrata nella Nato, sennò adesso saremmo costretti a intervenire militarmente al fianco di uno che non saprei definire diversamente»

Saakashvili è un giocatore d’azzardo. Per nostra fortuna la Georgia non è entrata nella Nato, sennò adesso saremmo costretti a intervenire militarmente al fianco di uno che non saprei definire diversamente». L’ex cancelliere tedesco Gerhard Schröder, in una intervista al settimanale «Der Spiegel», difende la Russia: «Non bisogna dimenticare che la causa scatenante dei combattimenti è stata l’invasione dei georgiani nell’Ossezia del Sud. Non credo che la Russia persegua una politica di annessione e non credo nemmeno che in Ossezia del Sud e in Abkhazia si tornerà a uno ”status quo ante”, anzi, direi che questo è escluso». Secondo Schroeder, che attualmente è il presidente del consorzio (a maggioranza Gazprom) per il gasdotto sotto il Baltico, «l’idea che della Russia hanno i Paesi occidentali ha poco a che vedere con la realtà. Per questo ci sono stati gravi errori nella politica dell’Occidente verso Mosca. La demonizzazione della Russia non ha senso, perché la Russia è parte dell’Europa». Quanto all’eventuale missione di pace, «è una buona idea, ma deve essere approvata dalla Russia». Adesso le possibilità per la Georgia di entrare nella Nato «si sono ulteriormente allontanate». Non è il solo a pensarlo, in Germania. Sono sulla stessa linea sia il responsabile di politica estera della Spd, Gert Weisskirchen («qualunque Paese, prima di venire accolto, dev’essere privo di conflitto interni e questa regola vale anche per la Georgia») sia quello della Cdu, Karl-Theodor zu Guttenberg («gli avvenimenti degli ultimi giorni hanno allontanato l’ingresso della Georgia nella Nato, anche se la Russia non può decidere la politica dell’alleanza»). Ben diversa è invece la posizione del Ministro Esteri Frank-Walter Steinmeier che, in un’intervista alla «Welt am Sonntag», dice: «L’integrità territoriale della Georgia va rispettata. Essa resta la base della nostra politica e non è mai stata messa in dubbio da nessuno». E poi: «Nell’attuale situazione il mio compito non è fare una cronologia dell’accaduto, rimproverando l’una o l’altra parte. Abbiamo chiaramente indicato alla parte russa che dopo lo scoppio delle ostilità ha sorpassato i limiti con i bombardamenti e l’invasione in territorio georgiano».Dopo la Polonia, che nei giorni scorsi, all’improvviso, ha messo da parte tutte le contraddizioni con gli Stati Uniti sulla difesa antimissile, ora è il turno dell’Ucraina. L’ex repubblica sovietica, il cui distacco viene ancora vissuto a Mosca come un equivoco, ha dichiarato ieri di essere pronta a collaborare con gli europei e con «altre potenze straniere» sul fronte della difesa antimissile. Un comunicato del Ministero degli Esteri di Kiev ha spiegato ieri che l’annullamento dei vecchi accordi russo-ucraini sull’utilizzo dei comune dei sistemi radar, deciso lo scorso febbraio da Mosca, apre la possibilità di qualunque nuova alleanza, in particolare, di una «cooperazione attiva per l’integrazione di elementi ucraini di rilevamento antimissile con Paesi stranieri interessati a informazioni sulla situazione spaziale». Un invito palese agli Stati Uniti, anche se non formulato esplicitamente, per ovvio timore di attirarsi subito i tuoni e i fulmini del Cremlino. La Polonia, che giovedì ha firmato l’intesa per lo «scudo spaziale» con Washington, ieri ha già ricevuto l’inquietante monito di Mosca di poter diventare il bersaglio di un eventuale attacco nucleare. Il presidente Dmitry Medvedev ha definito «favole» l’obiettivo dichiarato dello «scudo spaziale» di contenere eventuali attacchi dell’Iran: «E’ diretto contro di noi». E ieri il vice capo di Stato maggiore russo, il generale Anatoly Nogovozyn ha definito possibile un attacco nucleare contro la Polonia: «Gli Usa sono impegnati in un sistema di difesa anti missile per il loro Paese e non per la Polonia. E la Polonia apre la possibilità di un attacco militare contro il suo territorio. Questo al 100 per cento», ha dichiarato Nogovizyn riferendosi alla «dottrina» militare russa: «E’ scritto con chiarezza: useremo la forza quando i Paesi sono in possesso di armi nucleari, contro gli alleati di Paesi dotati di armi nucleari se in qualche modo gliene danno l’occasione». Un linguaggio da guerra fredda che agli occhi di Varsavia non fa che giustificare le condizioni che giovedì il premier Donald Tusk ha costretto Washington ad accettare, in cambio della firma dell’accordo: insieme ai 10 missili intercettori americani da ospitare sul proprio territorio, il governo polacco pretende la fornitura di una batteria di missili Patriot per difendersi da eventuali attacchi di Mosca, e la modernizzazione dell’intero sistema di difesa antiaerea. «Dopo quello che è successo nel Caucaso gli americani sembrano prendere sul serio i nostri argomenti», ha detto Tusk. La guerra in Ossezia, debordata in Georgia, ancora controllata dalle truppe russe, è stata recepita dagli ex fratelli di Mosca come un allarme, creando un moto centripeto simile a quello della fuga per l’indipendenza dopo il golpe dell’agosto 1991, quando l’Urss si sgretolò in pochi giorni. La posizione «chi non è con noi è contro di noi» del Cremlino, che considera una minaccia le aspirazioni europee e/o atlantiche delle sue ex colonie, risveglia paure nemmeno tanto ataviche. Fino allo scoppio della tragedia nel Caucaso il negoziato tra la Polonia e gli Usa sullo «scudo spaziale» sembrava essersi arenato. Ora tocca all’Ucraina, il cui presidente Viktor Yushenko sente ancora risuonare nelle orecchie la frase detta da Putin a Bush al vertice della Nato di aprile: «George, non capisci, l’Ucraina non è nemmeno uno Stato, metà dei suoi territori sono stati regalati da noi». L’allora presidente russo aveva fatto capire chiaramente che, in caso di adesione alla Nato, l’Ucraina poteva perdere la sua integrità e, considerato che fin dalla «rivoluzione arancione» del 2004 Mosca sponsorizza i secessionisti russofoni dell’Est ucraino, dopo l’Ossezia uno scenario di «intervento in aiuto al popolo fratello» non sembra tanto improbabile, visto da Kiev. Yushenko - che era volato a Tbilisi in segno di solidarietà, insieme ai presidenti dei tre Paesi Baltici e a quello della Polonia Lech Kaczynski, leader di quella «nuova Europa» che continua a vedere nella Russia una minaccia - ha osato opporsi sul terreno alla guerra dei russi, cercando di bloccare i movimenti della flotta del Mar Nero di stanza in Crimea. Il governo di Kiev ha chiesto alle navi russe disclocate sul suo territorio di richiedere l’autorizzazione per uscire dalle acque territoriali e dichiarare gli armamenti a bordo: un tentativo, inutile, di costringere la marina russa a non recarsi nelle acque georgiane ad affondare motovedette a largo di Poti. E ieri gli ucraini hanno proposto al Cremlino di rinegoziare gli accordi sulla flotta, in altre parole, di accelerare lo sfratto dalla Crimea che molti politici di Mosca considerano un territorio russo finito per errore in mano agli ucraini. Una sfida che irriterà ancora di più Mosca. I russi contano sulle divisioni di un’Europa che non riesce ancora a digerire l’allargamento, e sul cambio della guardia alla Casa Bianca. Ma il «dopo-Georgia» potrebbe cambiare qualcosa: Angela Merkel venerdì ha abbandonato la sua cautela verso i nuovi membri della Nato, e ha ribadito di fronte a Medvedev che l’Ucraina e la Georgia possono entrare nell’Alleanza, «se lo vorranno».