Francesco Semprini, La Stampa 17/8/2008, 17 agosto 2008
La logica è semplice: per un hamburger più piccolo ci vuole una mucca più piccola. Crisi economica e obesità diffusa mettono a dieta l’America con la conseguenza che, mentre il panino BigMac che scende di taglia, gli allevatori di bestiame americani si riconvertono alle «minimucche», animali alti più o meno 90 centimetri al garrese (ovvero alla «spalla»), contro il metro e 40 di media per un bovino da carne tradizionale
La logica è semplice: per un hamburger più piccolo ci vuole una mucca più piccola. Crisi economica e obesità diffusa mettono a dieta l’America con la conseguenza che, mentre il panino BigMac che scende di taglia, gli allevatori di bestiame americani si riconvertono alle «minimucche», animali alti più o meno 90 centimetri al garrese (ovvero alla «spalla»), contro il metro e 40 di media per un bovino da carne tradizionale. Il motivo della miniaturizzazione, come spiega il Wall Street Journal, è legato al boom di mercato delle grandi commodity agricole: il grano, ha subito una impennata dei prezzi del 64 per cento nell’arco di un solo anno e i mangimi derivati dai cereali sono diventati troppo cari per il budget degli allevatori. Quindi meglio puntare su bovini più piccoli, che hanno bisogno di meno cibo e fanno risparmiare, visto che mangiano appena un terzo delle mucche «normali». Secondo alcuni esperti Usa, inoltre, le «minimucche» producono più carne rispetto alla quantità di mangime che consumano. Così in poco tempo il mercato dei bovini «ristretti» ha avuto il suo (naturalmente piccolo) boom. Secondo un articolo del «Journal of Agricultural & Food Information», i mini animali negli allevamenti sono cresciuti del 20 per cento nel giro di un anno. In totale, al censimento di inizio estate, questi esemplari sono almeno 14.000, pochi contro i 100 milioni di capi di taglia standard, che costituiscono il patrimonio bovino degli States, ma abbastanza per costituire un fenomeno significativo. Tant’è vero che, vista la convenienza, in molti allevamenti da riproduzione si sta pensando di creare mucche, ancora più piccole. In realtà, precisano i sostenitori della linea-mini, le mucche tascabili non sono oggettivamente piccole, dal momento che hanno le stesse dimensioni dei primi animali di allevamento che arrivarono in America dall’Inghilterra. Fu a seguito del boom delle nascite verificatosi dopo la seconda Guerra Mondiale, che si decise di selezionare bovini più grandi, trasformandoli in bestiame «supersize». Ma una logica del genere potrebbe funzionare anche in Italia, contribuendo a far scendere i prezzi delle bistecche e rilanciare il settore dell’allevamento bovino da carne, colpito dal calo dei consumi? «Non penso sia un sistema esportabile da noi - commenta Giovanbattista Testa, direttore di Asprocarne - negli Stati Uniti il bovino più diffuso è quello di razza Hereford, che viene allevato per un periodo molto più lungo dei nostri, prima all’aperto e solo negli ultimi mesi all’ingrasso in una stalla. Il nostro bestiame da carne raggiunge generalmente il suo peso ottimale, attorno ai 6 quintali e mezzo, nel giro di sedici mesi con un rapporto tra costi di mantenimento e resa piuttosto equilibrato». Da Cremona, una delle capitali dell’allevamento bovino, il presidente provinciale di Confagricoltura, Antonio Piva è scettico. «Tutto è relativo - dice - le dimensioni dell’animale contano per la qualità della carne. Io credo che quella degli americani sia soprattutto una trovata per lanciare sul mercato della genetica una nuova linea e fare dei bei soldi esportandola per la riproduzione».[FIRMA]