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 2008  agosto 17 Domenica calendario

MICHELE AINIS

ROMA
Il decreto Maroni sulla sicurezza è stato firmato il 5 agosto, e quattro giorni dopo è apparso sulle plumbee colonne della Gazzetta Ufficiale. Non è un atto normativo come i tanti che l’hanno preceduto: trasforma i sindaci in sceriffi, e d’altronde anche nel Far West gli sceriffi venivano pur sempre eletti dai propri concittadini. Gonfia il potere d’ordinanza sindacale, ben oltre i limiti concessi dal principio di legalità, che in uno Stato di diritto significa primato della legge, ovvero monopolio della legge, quando entrano in gioco le libertà dell’individuo. In nome del «decoro urbano» e della «pubblica decenza» fa appello alla creatività delle amministrazioni locali, che il minuto dopo ne hanno profittato per coniugare la fantasia a una robusta dose di sadismo. E in conclusione fa esordire alle nostre latitudini una nuova specie di federalismo: il federalismo dei divieti. Insomma una multa per ogni campanile, quando si sa che l’Italia è il paese dei mille campanili, ciascuno ben distinto da quello che svetta nella collina accanto. Ma dopotutto questo giro di vite risponde sotto sotto all’esigenza di far cassa, di rimpinguare le esauste casse dei Comuni. Sicché a suo modo anticipa il federalismo fiscale, già annunziato con le prime piogge d’autunno. Nel senso che il federalismo dei divieti è fiscale con lavavetri, zingari, vu’ cumprà, prostitute, homeless, clandestini e mendicanti delle più varie risme.
Non a caso, dopo il decreto Maroni, a Milano in un solo giorno sono state identificate 2412 persone senza fissa dimora. Ma siccome quando bombardi dall’alto un esercito nemico devi sempre mettere nel conto un po’ di vittime collaterali, il risultato è che questa guerra ci coinvolge tutti, non solo i deboli, non solo gli straccioni. Ammesso e non concesso che sia giusto, oltre che redditizio, appioppare multe salatissime a chi chiede l’elemosina per sfangare la giornata.
Le prove? Mettiamoci idealmente in viaggio, dal Sud al Nord della Penisola. Dove le nuove proibizioni si sommano a quelle già esistenti, trasformando il nostro pellegrinaggio in un’autentica via crucis. Così, a Taormina è vietato girare a torso nudo fuori dalla spiaggia; un divieto che d’altronde si ripete pari pari a Capri, Amalfi, Riccione, Forte dei Marmi, Venezia, Alassio. Più originale il bando agli zoccoli di legno, vigente a Capri e Positano. Sempre a Capri, guai a chi addenta un tramezzino sul lido o dentro un parco; ma a quanto pare c’è tolleranza sul gelato. Tolleranza zero viceversa a Is Aruttas, in provincia di Oristano: chi fuma in spiaggia rischia una sanzione da 360 euro.
Però nel Mezzogiorno dopotutto il clima è più mite, più clemente. Man mano che risali la Penisola, t’imbatti nei rigori dell’inverno. Metti per esempio Assisi, la città di san Francesco: lui chiedeva la carità, ma qualche giorno addietro il sindaco ha vietato accattonaggio e nomadismo. E oltretutto (secondo una nota dell’Ansa) con il plauso dei frati, dato che i mendicanti allontanavano i turisti dalla basilica e dalla tomba del santo. Ma la caccia al barbone ormai imperversa in lungo e in largo: divieti analoghi s’incontrano a Pescara, Bologna, Firenze, Padova, Verona, Torino, Trieste, Cortina.
C’è poi il caso di Firenze, dove a proteggere il decoro cittadino manca soltanto il filo spinato. L’11 agosto è entrato in vigore il regolamento di polizia urbana, eufemisticamente titolato «Norme per la civile convivenza in città». Che cosa stabilisce? Vietato sdraiarsi per strada, neanche se ti viene un crampo alle ginocchia. Vietato lavarsi le ascelle nelle fontane pubbliche (evidentemente il puzzo non contrasta col decoro). Vietato legare la bicicletta a una panchina. Vietato sbattere tovaglie sui balconi (l’avessero deciso a Napoli, sarebbe resuscitato Masaniello). Infine si può pasteggiare in pubblico, però solo con stile. Vallo a spiegare alle due famiglie francesi in gita, che sempre l’11 agosto hanno dovuto scucire 160 euro di multa. Loro protestavano che a Parigi non funziona così, e che in Italia non metteranno mai più piede. Invece gli altri 44 multati di questo primo giorno di galera erano tutti fiorentini, chissà se a Parigi c’è posto pure per loro.
In Versilia va anche peggio. A Forte dei Marmi multa da 10 mila euro per le massaggiatrici in spiaggia, nonché veto ai tagliaerba nei week-end. A Marina di Pietrasanta è proibito tuffarsi dal pontile; vi si può pescare, ma con un massimo di 2 canne da pesca. E così via, verso il profondo Nord. A Voghera hanno inventato il divieto di sosta in panchina dopo le 23, se a sostare sono più di 3 persone. Novara li ha subito emulati, ingaggiando una corsa al rialzo: non più di 2 persone. il ritorno delle adunate sediziose, quelle osteggiate dal fascismo. Che però non si era spinto fino a bandire i borsoni dei vu’ cumprà, come hanno deciso i sindaci di Alassio e di Venezia. O le bevande in vetro nelle ore serali: succede a Ravenna, Genova, Monza, Brescia.
Ma non c’è limite alla frenesia dei limiti. A Eboli il sindaco ha introdotto una multa da 500 euro per le effusioni in auto. Cortina caccia dalle vie del centro i «falsi promotori sociali». Per combattere i pedofili, Trento proibisce di filmare i bambini in piscina. Forte dei Marmi punisce ogni attività sulla battigia, compresi i castelli di sabbia. Trezzano sul Naviglio istituisce la Sex Tax (500 euro), applicandola pure a chi effettua soste di un attimo o manovre repentine nei luoghi battuti dalla prostituzione. Ravenna castiga con 1000 euro chi fa il bagno dopo le 20. E per chiudere il cerchio, l’Alto Adige vieta di danneggiare i cartelli di divieto.
Potremmo questionare a lungo sulla legittimità di questo nuovo regno, il regno di Sua Maestà la multa. Perché il prelievo è esorbitante per le nostre tasche vuote. Perché suona ancora più crudele verso i povericristi. Perché imporre la buona educazione con le maniere forti costituisce di per sé un segno di cattiva educazione. Ma c’è almeno un aspetto che reclama opposizione: come diavolo potremmo mai conoscere i diversi divieti vigenti presso ogni diverso campanile? Tanto più che qualche volta il limite cambia non solo di città in città, bensì di quartiere in quartiere: è il caso di Genova, che dopo l’ordinanza sindacale del 9 agosto si divide fra strade della birra e dell’aranciata. Eccola perciò la conclusione, quantomeno in punto di diritto: queste ordinanze dei sindaci sceriffi sono letteralmente inconoscibili per il popolo turista. E la Consulta (sentenza n. 364 del 1988) ha dichiarato che l’ignoranza incolpevole può ben giustificare il cittadino.
michele.ainis@uniroma3.it