Gianfranco Quaglia, La Stampa 17/8/2008, 17 agosto 2008
Il 12 agosto, ultima data di rilevazione, il 99,54% del riso grezzo italiano prodotto nel 2007 è stato venduto
Il 12 agosto, ultima data di rilevazione, il 99,54% del riso grezzo italiano prodotto nel 2007 è stato venduto. Non era mai accaduto, anzi negli anni precedenti le scorte erano talmente significative (non solo in Italia) che i produttori dovevano ricorrere all’ammasso con il prezzo minimo garantito dalla Comunità europea. Lo «Tsunami dei prezzi» che si è abbattuto su tutti i cereali nel 2008 ha spinto i risicoltori a vendere anche le ultime scorte rimaste a quotazioni mai raggiunte: la varietà Indica, tra le più richieste in Europa, era passata da 27 euro la tonnellata a 50. Alla base lo squilibrio fra domanda e offerta sui mercati mondiali. La corsa ai biocarburanti ha fatto il resto, trascinando nel vortice al rialzo anche il riso. A poche settimane dall’inizio della nuova raccolta la «bolla» si è sgonfiata, anche per effetto della discesa del prezzo del petrolio. Non solo: i Paesi leader del settore (Cina, India, Thailandia) prevedono un aumento della produzione. E in Italia? L’invito del ministero delle Politiche Agricole a seminare almeno 30 mila ettari in più per soddisfare le richieste dell’industria di trasformazione è stato disatteso. Anzi, nel «triangolo d’oro» tra Vercelli, Novara e Pavia la risaia italiana denuncia un effetto-dimagrimento che riduce la superficie del 3%, attestandosi sui 225 mila ettari. All’inizio della campagna i risicoltori hanno «limato» puntando anche sul mais, con costi di produzione inferiori, grazie anche ai sussidi legati ai biocarburanti. In questo scenario più di un’industria risiera, temendo di ritrovarsi in difficoltà per mancanza di cereale grezzo, ha stipulato accordi anticipati con aziende agricole acquistando a prezzi concordati partite di riso in campo all’atto delle semine. Una mossa per garantirsi una base certa a prescindere dalle oscillazioni del mercato che nell’area comunitaria allargata a 27 è deficitario (il 40% del consumo europeo, quasi un milione di tonnellate di cereale lavorato, deve essere importato). Mario Preve, presidente dell’Associazione industrie risiere italiane e alla guida del marchio Riso Gallo: «Da tempo avevamo lanciato l’allarme e alla fine siamo arrivati al capolinea. Se i mercati internazionali non saranno equilibrati c’è il rischio che nel futuro due miliardi e mezzo di persone risparmieranno sul pieno grazie ai biocarburanti, ma rischieranno la fame». Piero Garrione, presidente dell’Ente Nazionale Risi, non crede tuttavia che mancherà la materia prima: «La produzione mondiale quest’anno è in aumento, le scorte dovrebbero tornare alla normalità. Anche in Italia, malgrado la leggera diminuzione di superficie, il tetto di 1,4 milioni di tonnellate dovrebbe essere garantito. E in particolare i risicoltori hanno incrementato, sino a 70 mila ettari, le varietà da export». Una risaia sempre più globalizzata quella italiana, dove si ricorre anche ai braccianti cinesi: negli ultimi giorni pre-raccolta sono loro che ripuliscono a mano i campi dall’infestante «Crodo». Stampa Articolo