Maria Maggi, L’Osservatore romano 15/8/2008, 15 agosto 2008
L’Osservatore romano, venerdì 15 agosto I disegni, o cartoni, animati presero vita cento anni fa
L’Osservatore romano, venerdì 15 agosto I disegni, o cartoni, animati presero vita cento anni fa. Ma in realtà la nascita dei cartoni animati, con origine simile a quella del cinematografo, è il risultato di secoli di scoperte e di studi sul movimento e sulla proiezione, che si può far risalire agli spettacoli di ombre dell’Antico Egitto o della Cina o, poi, alla lanterna magica di padre Athanasius Kircher (1601-1680). Si tratta di una tecnica che consente di produrre l’illusione del movimento di oggetti inanimati. La possibilità di creare questa illusione dipende dal fenomeno fisiologico della visione, noto come persistenza dell’immagine, che permette alla retina dell’occhio di trattenere l’impressione per un brevissimo tempo, dopo che l’immagine stessa è scomparsa. Il fenomeno della persistenza delle immagini era già noto millenovecento anni fa a Tolomeo. Questi nel suo trattato L’ottica asserì che, facendo ruotare velocemente un disco con un solo spicchio colorato, tutto il disco appariva colorato. Fu la realizzazione, intorno al 1826, del "taumatropio", a dare a questo fenomeno una prima applicazione pratica. Era costituito da un disco di cartoncino sulle cui facce erano rappresentate due diverse figure: su di un lato vi era per esempio una gabbia e sull’altro un animale; ai bordi del cartoncino vi erano due fori ai quali erano legati due cordoncini. Facendo girare rapidamente i cordoncini su se stessi, ruotava anche il cartoncino; sulla retina le due immagini si sovrapponevano e si vedeva l’animale rinchiuso in gabbia. Pochi anni dopo questo tentativo si arrivò all’idea di un disco rapidamente rotante davanti a uno specchio, in modo che si potesse vedere una serie di disegni progressivi in veloce sequenza attraverso una fessura. Un dispositivo perfezionato, noto come "zootropio", aveva una serie di disegni posti all’interno di una ruota montata orizzontalmente e munita di molte fessure, e permetteva a diverse persone di guardare attraverso le fessure l’illusione del movimento. Si trattava quindi di scomporre un movimento nelle sue diverse fasi e ricostruirlo facendole passare con la velocità giusta davanti agli occhi, inserendo un otturatore tra una figura e l’altra. In seguito vi furono ulteriori perfezionamenti, ma il vero creatore dei cartoni animati fu il francese mile Cohl. Il 17 agosto 1908 fu proiettato al Theatre du Gymnase di Parigi il suo primo film, della durata di un minuto e quaranta secondi e dal titolo Fantasmagorie, dedicato al pupazzo Fantoche. All’inizio del filmato si vede una mano che disegna i tratti essenziali del pupazzo, in bianco su sfondo nero, e subito dopo Fantoche prende vita gettandosi in situazioni e fantasie mirabolanti. In questo primo cartone animato ci sono già in embrione tanti temi che poi saranno sviluppati nella lunga storia dei cartoni animati. Certamente tutto era ancora primitivo, ma dotato di molto ritmo; e non mancavano le sorprese destinate a far restare gli spettatori a bocca aperta. Cohl realizzò, tra il 1908 e il 1921, più di trecento cortometraggi a disegni animati con soggetti di sua creazione, frutto di un estenuante e solitario lavoro ripetitivo, composto da centinaia di disegni, da stendere immagine per immagine e da filmare poi fotogramma dopo fotogramma. A quei tempi erano necessari ben cinquantadue disegni per un solo metro di pellicola. Egli si trovò costretto a stilizzare tratti, figure e fondali: riuscendo così ad animare segmenti, fiammiferi, pupazzi in sequenze burlesche, tendenti all’assurdo. Con mile Cohl il disegno animato acquistò una sua autonomia espressiva, e si liberò dai legami col cinema "dal vero" per trovare una sua ragione. Iniziò così sugli schermi una nuova forma di intrattenimento, che continua ancora oggi attraverso varie innovazioni. Negli anni Dieci del secolo scorso a dare impulso allo sviluppo dei cartoni concorsero anche le avanguardie artistiche: il futurismo, per esempio, imperniato sullo studio del movimento, stimolò le ricerche e i miglioramenti tecnici nel campo del cinema d’animazione. Il disegno animato si otteneva disegnando, di volta in volta, le singole immagini, poi riprese cinematograficamente e fissate sulla pellicola. Venivano usati fogli di celluloide trasparenti (rodovetri) che permettevano di ricalcare un disegno precedente, in modo da farne combaciare i contorni e le parti del disegno fisse per un certo tempo, e di disegnare successivamente le varianti che, in fase di proiezione del film, producevano il movimento. Gli sfondi erano disegnati su un foglio di base su cui erano posati di volta in volta i disegni su supporto trasparente. Con questa tecnica, elaborata agli inizi degli anni Dieci e successivamente perfezionata negli anni Trenta con l’invenzione della multiplane camera, un apparecchio che consentiva la realizzazione della profondità di campo e l’illusione della terza dimensione, furono fatti i disegni animati di tutto il mondo. Gli americani intanto si impossessarono della nuova tecnica, sfruttandola al meglio. Utilizzarono personaggi già protagonisti di noti fumetti, ma ne furono anche inventati di nuovi, come Felix il Gatto. A disegnarlo fu Pat O’Sullivan e il primo film con Felix risale al 1917, ma l’apice del suo successo fu sicuramente negli anni Venti. Felix era un gatto nero, agile e astuto, che alla fine riusciva sempre a cavarsela. Gli episodi erano molto semplici, come gli ambienti, che facevano solo da sfondo, perché a risaltare doveva essere soprattutto lui: Felix. Quelli che però riuscirono a conferire al genere un carattere artistico e un significato poetico furono l’americano Walt Disney e Max Fleischer, austriaco emigrato negli Stati Uniti. Ciascuno dei due creò personaggi di fiaba, spesso animali, che immediatamente diventarono tanto famosi quanto i divi di Hollywood. Si trattava di Topolino, Pluto e Paperino, disegnati da Disney, Braccio di Ferro e Betty Boop disegnati da Fleischer, che ebbero successo negli anni Trenta. Topolino era simpatico, birichino, ma non cattivo e le sue avventure piacevano certamente molto. Braccio di Ferro era un mito: pipa in bocca, ghigno di sbieco e muscolo in vista, ingoiava qualche etto di spinaci e andava solo contro tutti, con accresciuto vigore. In confronto a Topolino, e in generale a tutti i personaggi disneyani, però, Braccio di Ferro era più aggressivo e prendeva parte a situazioni grottesche e talora violente. In questo periodo lo studio Disney adottò l’innovazione dello storyboard. Tale invenzione permetteva di avere una visuale generale di come si svolgeva la storia, posizionando su di un grosso tabellone i singoli disegni in sequenza. Era un metodo perfetto per realizzare film d’animazione ed era talmente pratico e funzionale che è tuttora adottato da ogni produzione cinematografica, indipendentemente dalla tipologia produttiva. Nel 1937 uscì il primo lungometraggio a colori della storia dei cartoni animati: Biancaneve e i sette nani. Fu un trionfo. Ne furono realizzati in seguito molti altri, e la casa di produzione di Walt Disney si organizzò su un piano decisamente industriale. Intanto cominciarono ad affacciarsi al cinema di animazione altri disegnatori - per esempio Tex Avery (con Bugs Bunny, Speedy Gonzales e Willy il Coyote) o William Hanna e Joseph Barbera (con Braccobaldo e Yoghi) - e altri Paesi. Nel 1949 uscirono i primi due lungometraggi italiani: I fratelli dinamite di Nino Pagotto e La rosa di Baghdad di Anton Gino Domeneghini. Con gli anni Cinquanta cominciò il lento declino dei cartoni dal punto di vista artistico: la televisione stava cominciando a imporsi nelle case di tutti e la richiesta di cartoni divenne sempre più pressante, privilegiando la quantità a discapito della qualità del prodotto. A deteriorare ancora di più questa forma di espressione artistica, arrivarono, di lì a non molto, i giapponesi con il loro disegno animato ripetitivo, piatto e spesso violento. Negli anni Sessanta e più ancora Settanta, infatti, il computer avrebbe sconvolto il tradizionale, e molto artigianale, mondo dei cartoni animati, rivoluzionando completamente la vita e il lavoro del disegnatore che, fino a poco tempo prima, per realizzare le sue opere si limitava a usare qualche foglio, una gomma e poche penne colorate. Negli anni Novanta si affermò la tecnica 3D, ossia la tecnica di animazione a tre dimensioni: fu subito un enorme successo, a partire da Toy story, che rinnovò completamente il mondo dei cartoni animati, rendendo i personaggi e la scenografia più realistici. L’ultima creazione animata in 3D, che arriverà a ottobre in Italia, un secolo dopo Fantoche, sarà un pupazzo moderno, il robot Wall-E. Una storia ambientata nel ventiduesimo secolo in un mondo ricoperto di immondizia, che i robot devono ripulire e rendere di nuovo abitabile. Andranno tutti in avaria; tranne uno che continuerà per settecento anni la sua solitaria opera. Un giorno, l’ultimo Wall-E scoprirà un germoglio verde: un’estrema, insperata possibilità di riscatto per l’umanità, raccontata con la poesia e la semplicità che solo i cartoni animati di ogni epoca, hanno dimostrato di possedere. Maria Maggi