Roberto Genovesi, L’Osservatore romano 15/8/2008, 15 agosto 2008
L’Osservatore romano, venerdì 15 agosto "Per tutti i diavoli, che mi siano ancora alle costole?"
L’Osservatore romano, venerdì 15 agosto "Per tutti i diavoli, che mi siano ancora alle costole?". Tex Willer pronuncia la sua prima frase in una vignetta nel lontano 1948 all’interno della storia Il totem misterioso. Non sappiamo con certezza a chi si riferisse allora, ma se la domanda fosse rivolta oggi, per caso, ai suoi lettori, allora la risposta sarebbe certamente un sì. Il più longevo ranger della storia del fumetto compie sessant’anni e sarebbe facile aggiungere che non li dimostra, se non fosse che il fardello sulle spalle è fatto di oltre seicento storie, ormai tradotte in decine di Paesi, che portano la firma di alcuni tra i più importanti disegnatori e sceneggiatori della storia del fumetto italiano e internazionale. Un eroe della Frontiera made in Italy che arriva nelle edicole sotto forma di strisce disegnate subito dopo la fine del secondo conflitto mondiale per raccontare storie di indiani e cow boy a un popolo che esce stremato da un conflitto devastante dal punto di vista del sacrificio di vite umane ma anche sul piano morale. I fantasmi del fascismo e delle leggi razziali erano un peso ancora insopportabile nonostante la democrazia si fosse appena affacciata dalle parti dello Stivale; e la presenza di un giustiziere americano dalle idee chiare, capace di distinguere, "senza se e senza ma", il buono dal cattivo, non giunse a sproposito lungo il lento cammino della ripresa appena avviato dall’umile e afflitta Italia. Così dopo un breve periodo vissuto "da spalla", per sostenere le avventure di Occhio Cupo, eroe di cappa e spada, Tex diventa il protagonista assoluto ed esclusivo della fantasia di Gian Luigi Bonelli e del disegnatore Aurelio Galleppini (Galep). Il carattere, l’aspetto fisico e l’abbigliamento di Tex impiegano pochi numeri per assestarsi così come il nome che da Tex Killer, pochi giorni prima di andare in stampa, viene cambiato in Tex Willer per non sfidare le ire della censura del tempo. Così, il 30 settembre del 1948, arriva in edicola Il totem misterioso, la prima avventura grafica in vignette a sviluppo orizzontale di un pistolero nato dall’ispirazione del negozio milanese "Tex Moda" ma destinato a diventare il protagonista del fumetto più venduto della storia italiana. Tex si dimostra subito un eroe interclassista. Piace agli operai, agli studenti, agli intellettuali e ai politici. Eppure non ha un carattere dalle mille sfaccettature, non ha una psicologia complessa e le sue azioni sono spesso dettate da scelte nette. Veniamo a conoscenza del suo passato attraverso reminiscenze sapientemente distribuite nelle sceneggiature. Da giovane Tex era un mandriano che gestiva, con il padre Ken e il fratello Sam, un ranch nel sud del Texas "dalle parti di Rock Springs dove il terreno sale fino alle sorgenti del Nueces". Della madre, che non vediamo mai, sappiamo solo il nome, Mae. Ad insegnare a Tex l’uso della pistola ci pensa Gunny Bill, anziano pistolero ancora in forma, che non ha dimenticato come nel vecchio west la velocità nell’estrarre la colt sia un elemento determinante per salvarsi la pelle. Durante una razzia il padre di Tex viene ucciso dai banditi e il giovane cow boy decide di farsi giustizia da solo pur sapendo che, in questo modo, diventerà un fuorilegge. Dopo aver ucciso gli assassini del padre, Tex trova lavoro come cavaliere da rodeo ed è in questa occasione che si guadagna il fedele stallone Dinamite. Il destino del nostro eroe sembra segnato e il suo futuro appare sempre più lontano dai confini della legalità. Quando lo scontro con la banda della Mano Rossa, che viene raccontato nel primo albo in formato bonelliano della serie, gli consente di conoscere un agente dei servizi segreti americani che lo convince a tornare dalla parte dei buoni e ad entrare nel corpo dei rangers del Texas. Da questo momento le avventure di Tex e dei suoi amici conosceranno un solo obiettivo: difendere i deboli e assicurare alla giustizia i delinquenti. Ciò su cui si potrebbe opinare è il metodo. evidente come il vecchio West non sia lo scenario più adatto per cercare eroi senza macchia e senza paura e Tex non fa certo la figura del santarellino. I suoi metodi sono sbrigativi ma pregiudizialmente violenti. Se può scegliere non spara; se può scegliere preferisce le manette al piombo della colt. Anche se i suoi sceneggiatori non lo mettono troppo spesso nella condizione di riflettere. Per questo Tex Willer, in oltre seicento avventure, si calcola che abbia ucciso quasi tremila persone. La statistica, alquanto singolare, la ritroviamo nel volume Non son degno di Tex, scritto da Claudio Paglieri per i tipi di Marsilio, nel quale scopriamo anche come il ranger bonelliano abbia una media di sette cadaveri ad albo il che riporta alla memoria la ben nota statistica trilussiana dei polli. E, in effetti gli avversari di Tex vengono spesso trattati come comparse cinematografiche, hanno personalità davvero superficiali e al lettore non è dato mai il tempo di metterne davvero a fuoco le esigenze in modo che la loro dipartita sia praticamente indolore. Tex non uccide uomini, dunque, ma macchiette. Ombre dalle parvenze umane che mettono al riparo i lettori da crisi di coscienza che, in verità, dovrebbero essere senza soluzione di continuità visti i numeri dell’ecatombe. Discorso completamente diverso quello relativo al confronto con i cattivi con la C maiuscola, come il celebre Mefisto. Figure dall’alto potenziale eversivo con le quali Tex si confronta molto spesso nell’arco di diversi albi e perfino in situazioni ripetitive nel tempo. Scontri articolati che spesso terminano con situazioni surreali e catartiche di totale distruzione, ma che dimostrano come la lotta con il Male impegni spesso lunghi periodi della vita e, alle volte, costringa a una sofferta convivenza. Tex riesce a restare sempre in sospeso sulla sottile e invisibile fune del politically correct grazie a una serie di tessere biografiche che ne fanno un personaggio rispettabile. Aquila della Notte, come amano chiamarlo i suoi amici navajos, è stato infatti marito esemplare, anche se per breve tempo, della pellerossa Lilyth, morta prematuramente per un’epidemia di vaiolo causata ad arte da contrabbandieri di liquori e armi. Poi è stato fedele custode della memoria della consorte da cui ha avuto un figlio, Kit, che a un futuro in accademia preferirà una vita più incerta sulle orme del padre. Esempio di rettitudine morale, di fedeltà coniugale e di amore paterno, Tex è portatore di comportamenti irreprensibili dettati da valori non negoziabili ma al contempo si rende protagonista di azioni che spesso sconfinano nel giustizialismo. Ma è forse questa ambiguità di fondo che è sempre piaciuta ai suoi lettori che hanno di fronte un eroe comunque sano nella sua durezza. I valori morali accettati nella seconda parte della sua vita, quella della maturità, non vengono mai messi in discussione. I nemici sono trattati con disprezzo ma solo se irriducibili. E solo fino a quando non si intraveda in loro una pur minima possibilità di redenzione. Non siamo quindi di fronte a un antieroe o a un eroe negativo. Non siamo di fronte, in sostanza, a un protagonista che accetta di convivere con il male e con tutte le sue conseguenze anche superficiali. Non siamo di fronte a un uomo che si sforza di accettare le sfumature del vivere moderno, fatto di compromessi perché nelle storie di Tex Willer il bene è sempre, chiaramente distinguibile dal male e non vi sono mai strade alternative a quelle buone e giuste per raggiungere l’obiettivo finale. A rafforzarlo in questo cammino una ristretta cerchia di amici - quelli che vengono chiamati i pards - che lo accompagnano passo dopo passo in tutte le sue avventure, sorta di interfaccia con il pubblico dei lettori, che trova nelle immancabili, lunghe chiacchierate notturne accanto al fuoco e in compagnia di un buon caffè caldo probabilmente gli snodi più piacevoli e rilassanti delle sue storie. La spalla principale è quel Kit Carson preso in prestito dalla storia vera del grande West, sempre pronto alla battuta dissacrante e al pessimismo artatamente marcato per mettere in luce la via di fuga in ogni situazione. Ma non può essere relegato in secondo piano Tiger Jack, il navajo che ha deciso di abbandonare la riserva per seguire il ranger dalla casacca gialla per riaffermare l’appoggio dei nativi d’America a chi non ha mai fatto distinzione tra la giustizia bianca e la giustizia indiana. Ed è questo forse uno degli elementi più significativi dell’epopea di Tex Willer. Egli è infatti il primo eroe dei fumetti che, in tempi non sospetti e dunque molto prima che il nuovo corso del cinema hollywoodiano partorisse capolavori come Soldato blu, si prodiga con i fatti per sdoganare un’idea nuova e molto più vicina alla realtà dei nativi d’America. Gli indiani, nelle storie a fumetti di Tex, non vengono quasi mai dipinti come macchiette. La loro cultura, le loro tradizioni e la loro storia hanno sempre un ruolo di primo piano, una funzione di prezioso arricchimento culturale. Tex sposa una donna di sangue pellerossa, suo figlio - il bene più prezioso che una vita disordinata gli ha concesso - ne porta in abbondanza nelle vene e i navajos decidono di affidargli il delicato compito di capo della comunità quando Freccia Rossa, padre di Lilyth, muore. Dunque Tex è anche un eroe pellerossa, perlomeno nell’animo e la sua doppia personalità è scolpita perfino nell’abbigliamento, elemento così importante per un’icona del fumetto. Quando, infatti, si rifugia tra le capanne della riserva navajo, Tex abbandona la divisa da ranger - casacca gialla, pantaloni azzurri, cappello stetson a falda larga, fazzoletto nero al collo, stivali con speroni e colt alla cintura - per entrare nei panni del capo indiano con tanto di giacca e pantaloni scamosciati a frange, mocassini e fascia alla testa decorata con i simboli della tradizione pellerossa. il simbolo vivente della condivisione tra due culture con un’apertura mentale davvero anticipatrice se consideriamo il momento in cui gli autori cominciavano a diffondere tra i lettori queste considerazioni. Ma è proprio una caratteristica di gran parte degli amici di Tex quella di rappresentare razze e culture di minoranza proprio come simbolo di richiamo attorno a un profilo ideale di eroe che si mette in gioco quotidianamente per difendere sempre e solo i più deboli. Montales è un guerrigliero messicano; Pat Mc Ryan è un ex pugile irlandese; Gros Jean un cacciatore di pellicce canadese; El Morisco è uno studioso di scienze occulte egiziano, il suo domestico Eusebio è di origini azteche. Agli ufficiali dell’esercito americano, rappresentanti del potere costituito, della cultura dominante, del bene in quanto elemento dato per scontato, Tex preferisce sempre, i rappresentanti delle regioni emarginate, delle culture in pericolo, delle civiltà in declino forzato. La sua è una sorta di compagnia dei diversi dove i più deboli, coloro che spesso non hanno voce in capitolo, diventano protagonisti. Perché solo dalla comunità di intenti e di persone, può nascere il mondo nuovo. Ed è questo messaggio che arriva forte e chiaro dall’universo creato molti anni fa da Gian Luigi Bonelli che ha permesso a tante generazioni di lettori di ritrovarsi nel solco di sentimenti comuni. Al di là degli schieramenti. Roberto Genovesi