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 2008  agosto 13 Mercoledì calendario

Per i tecnici e gli appassionati di tecnologia, la notizia del ”Kill Switch” sull’iPhone della Apple non è certo un fulmine a ciel sereno

Per i tecnici e gli appassionati di tecnologia, la notizia del ”Kill Switch” sull’iPhone della Apple non è certo un fulmine a ciel sereno. E nemmeno il primo, di fulmine, se ben si va a cercare nelle maglie della storia di questo secolo votato alla tecnologia. Non è passato molto tempo, infatti, da quel 2005 in cui fu la Sony Vaio a essere ”beccata”per aver installato programmi che gli permettevano di interagire con tutti i computer venduti nel mondo. All’insaputa degli utenti, ovviamente. Stavolta, a essere pizzicata, è stata la Apple. Abbiamo chiesto a Fabio Ghioni, mago della tecnologia, coinvolto nella vicenda di spionaggio di Telecom Italia, cosa ne pensa. «I telefonini sono terminali a tutti gli effetti, alla stregua dei computer, e aver installato software di cui non si conoscono le potenzialità apre scenari inquietanti e senza confini». Cioè? «Oltre a controllare software illegali o non coperti da copyright, che so, si potrebbe avere accesso ad altri dati tramite un server, a cui non si sa quali terminali siano collegati. E si potrebbe scaricare di tutto: i numeri che vengono chiamati, se vengono spediti sms o mms, email, a chi, in che periodi. La versione ufficiale della possibilità da parte della casa madre di scaricare ”applicazioni non autorizzate” non sta molto in piedi. Magari l’utilizzo è solo a livello statistico, ma certo non è una prassi che si possa definire legale, dato che chi detiene il telefono non ne è a conoscenza. Ritengo che il consumatore debba sempre essere informato. Se la versione sostenuta dalla Apple é veritiera, lo si potrebbe sapere solo se l’azienda fosse così disponibili da divulgare il codice sorgente del sistema operativo». Ma come fa la Apple a riconoscere i telefoni sulla rete? «Attraverso una sorta di numero magico, il codice identificativo del telefono, di cui ogni apparecchio, è dotato in fase di costruzione e che, oltre a permettere all’apparecchio di funzionare, ci dice quali sono i software installati e quindi le funzionalità del cellulare. Serve al costruttore per identificare il telefono ogni volta che serve per farci una qualsiasi operazione sopra. Certamente la Apple, in fase di costruzione dell’iPhone, aveva già previsto l’installazione del software ora sotto accusa. Con quel numero in mano si scoprono le falle nella sicurezza, le vulnerabilità. La possibilità di poter controllare a distanza ogni iPhone venduto e utilizzato, ha margini di discrezionalità un po’ troppo ampi… Quando accadde alla Microsoft, noi del mestiere sapevamo che non poteva essere un caso». Davvero non è un caso? Beh, fra tecnici si sa che funziona così. Jonathan Zdziarsk ha scoperto per caso una serie di applicazioni non autorizzate dell’iPhone, ma non avendo il famoso codice, non sa quale sia la lista completa di programmi installati, e quindi nemmeno cosa fanno e a cosa servono». Il confine tra le ragioni commerciali o politiche e la privacy sembra sia molto labile… anche se si pensa al fatto che per un iPhone si possono spendere fino a 400 dollari… «Sì. In teoria la casa madre, il costruttore, fa le verifiche per evitare la pirateria o anche solo per farsi pagare i software che poi va a installare, e che costano parecchio. Ma chi stabilisce quale sia il limite e che non si vada oltre? Quelli dell’iPhone, come di altri affini, sono segreti industriali, non sono open source ma visto che poi si sconfina sempre nella violazione della privacy….» Giusto. Come la mettiamo con la privacy? Quale la soluzione? «Per avere la certezza di cosa possa fare un costruttore o un distributore, sarebbe necessaria l’istituzione di una commissione indipendente che possa esaminare ogni tanto il software. Per sapere, pro-democrazia, se è tutto in regola». Stefania Panza