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 2008  agosto 13 Mercoledì calendario

C’è chi lo definisce nirvana quel mondo di chiusura totale in sé stessi, autosufficienza e massima concentrazione

C’è chi lo definisce nirvana quel mondo di chiusura totale in sé stessi, autosufficienza e massima concentrazione. Asettici a tutto ciò che proviene dall’esterno (emotivo o materiale che sia: da un sorriso al cibo). Nirvana che nel soggetto autistico è d’intensità annientante: esclude totalmente il tempo e il mondo. La bambina che per ore e ore, seduta su una panchina, fa scorrere la sabbia tra le dita per formare montagne in miniatura ne è la fotografia nel libro Thinking in Pictures. Nel puzzle autismo, che la scienza non riesce a ricostruire, c’è anche il tassello del bimbo californiano che all’acquario parlava con un delfino. Sempre lo stesso. Solo con lui. In realtà, più che nel nirvana, gli autistici sono sospesi in una sorta di limbo di sofferenza profonda. E come le allergie colpiscono il corpo, l’autismo mina il cervello, la psiche. Entrambe malattie moderne, forse da reazione all’ambiente «malato» e tossico.
Numeri in crescita continua. In tutto il mondo le diagnosi sono in aumento: dagli anni 70 a oggi si è passati da 4-6 casi a 40-60 ogni 10 mila bambini. Il problema però è nella diagnosi e nel numero di manifestazioni che via via sono state codificate nell’autismo, nella sindrome di Asperger e nel disturbo pervasivo dello sviluppo. Tutte sindromi che hanno in comune l’incapacità di immaginare scenari astratti, di stabilire relazioni sociali, di comunicare. Vi possono essere poi disturbi organici, depressione, ansia, iperattività. Il primo caso riconosciuto risale al 1944, quando fu coniato il termine autismo. Ma in letteratura scientifica c’è un caso nell’Irlanda del 1930, in un bambino appena vaccinato per il vaiolo.
Da indagini su larga scala condotte negli Stati Uniti e in Inghilterra, si stima che i casi con comportamenti autistico-simili siano dai 15 ai 20 ogni 10.000 nati. Sei bambini ogni diecimila è l’attuale media mondiale. In realtà, l’ultimo dato americano, dei Centri per il controllo e la prevenzione delle malattie (Cdc) di Atlanta, è allarmante: autismo e altre sindromi simili colpirebbero 1 bimbo ogni 150. Quasi 600 mila ragazzini americani soffrirebbero di una qualche forma del disturbo. Una nota: le stime variano considerevolmente a seconda del Paese, passando da circa 2 ogni 10.000 nati in Germania ad addirittura 16 ogni 10.000 in Giappone. Tre maschi malati ogni femmina. Il rapporto tra i due sessi sembra uguale sull’intero pianeta. In Italia l’autismo colpisce oggi circa 20 bambini ogni 10 mila nati. Nel 1997 erano 4 ogni 10 mila. In un decennio sarebbero circa 6 mila gli autistici venuti al mondo nel nostro Paese. Ma quanti sono in totale i viventi e quanti sono stati diagnosticati? Forse 10 volte le stime.
Numeri diversi a causa dei diversi criteri di diagnosi, ma anche a causa di fattori genetici e influenze ambientali. crescente preoccupazione che tossine e inquinamento ambientale possano portare all’autismo. Un esempio. Nella città di Leominster, nel Massachu-setts, dove si trovava una volta un’industria per la produzione di occhiali da sole, c’è un’alta presenza di autismo. La maggioranza dei casi è stata riscontrata nelle case sottovento rispetto alle ciminiere della fabbrica.
Inquinamento ambientale e bambini. Un capitolo dell’ultimo libro ( Una pediatria per la società che cambia,
editore Tecniche nuove) dell’ottantenne Roberto Burgio, «padre» della pediatria italiana. «Se la natura perde la salute, la perde anche l’uomo» commenta Burgio. E aggiunge: «Ogni anno oltre 5 milioni di bambini nel mondo muoiono per cause legate ad ambienti insalubri. La diminuzione delle capacità di sviluppo, apprendimento e comportamento negli Usa interessa 12 milioni di bambini, oltre un milione dei quali ha subito danni cerebrali a causa del pesce contaminato da mercurio.
In California, per esempio, l’incidenza dell’autismo è cresciuta del 270% tra il 1987 e il 2007». «Gli agenti tossici determinano nei bambini effetti a livello immunitario, endocrinologico, genetico e a livello degli organi » conclude Burgio. Risultato: allergie e malattie autoimmunitarie sono in aumento, così come l’autismo.
poi la predisposizione genetica. Più di un gene implicato. Una predisposizione «scritta» nei cromosomi. Il numero 11 in particolare. Lo ha individuato uno studio ( Nature Genetics) del Consorzio scientifico Progetto genoma autismo in due fratelli, entrambi con autismo. Un gene sul cromosoma 11 produce una proteina, la neurexina 1, importante per la trasmissione del messaggio nervoso e per l’apprendimento. I suoi livelli, in più o in meno, potrebbero avere un ruolo chiave: «copiarla» sinteticamente potrebbe essere tra le ipotesi di cura. Il consorzio Agp ha mappato il Dna di 1.168 famiglie con almeno due soggetti colpiti da autismo.
Un’altra svolta importante nel tentativo di comprendere i meccanismi della malattia riguarda i cosiddetti neuroni specchio ( mirror), quelli che si attivano quando un individuo compie in prima persona, o osserva compiuta da altri, un’azione a lui nota. Già memorizzata. A tal punto da anticiparne a livello cerebrale le conseguenze o i significati emotivi a essa collegati. Insomma dall’area dei neuroni mirror derivano le capacità di instaurare un rapporto con il prossimo e con l’ambiente. E forse anche empatia e depressione cominciano quando nella primissima infanzia i mirror vengono sollecitati a memorizzare. La loro attivazione potrebbe essere difettosa nei soggetti autistici. Il primo deficit sarebbe quello imitativo. La scoperta è firmata dall’équipe di Rizzolati, università di Parma.
Stephen M. Edelson, direttore del Centro per lo studio dell’autismo di Salem, nell’Oregon, spiega come accorgersi che qualcosa non va: «Molti neonati autistici sono diversi fin dalla nascita: incurvano la schiena per allontanarsi dalla persona che li accudisce, restano passivi, con il corpo abbandonato quando devono essere presi in braccio. Nei primi mesi di vita possono essere passivi o estremamente agitati. Durante l’infanzia, poi, iniziano a dondolarsi e a picchiare la testa contro la culla, anche se ciò non sempre avviene». Aggiunge Edelson: «Alcuni raggiungono tappe dello sviluppo (parlare, gattonare e camminare) molto in anticipo; in altri casi le stesse tappe vengono raggiunte invece con ritardo. Un terzo dei bambini autistici si sviluppa in modo normale fino a una età compresa tra un anno e mezzo e tre anni, dopodiché la malattia comincia a emergere». Metà dei colpiti non sviluppa il linguaggio e il 75-80% presenta ritardo mentale.
La cura? Per ora è impossibile. I miglioramenti vengono solo dai tentativi di «infiltrarsi», con varie tecniche, nel «guscio» creato dal bimbo autistico. Non «romperlo».
Mario Pappagallo