Maurizio Ricci, la Repubblica 13/8/2008, pagina 1., 13 agosto 2008
la Repubblica, mercoledì 13 agosto Sboom! Gli intraprendenti rom che rovistano nei cassonetti, a caccia di vecchi elettrodomestici, ferraglia varia, cavi di rame da rivendere a peso nei cortili degli sfasciacarrozze, probabilmente ancora non lo sanno, ma, nel giro di due-tre settimane, con una spettacolare conversione a U, il mercato gli si è rivoltato contro
la Repubblica, mercoledì 13 agosto Sboom! Gli intraprendenti rom che rovistano nei cassonetti, a caccia di vecchi elettrodomestici, ferraglia varia, cavi di rame da rivendere a peso nei cortili degli sfasciacarrozze, probabilmente ancora non lo sanno, ma, nel giro di due-tre settimane, con una spettacolare conversione a U, il mercato gli si è rivoltato contro. La lunghissima corsa dei prezzi è finita: negli Usa (mecca del riciclaggio industriale) la quotazione dei rottami di ferro sta scendendo del 5-10 per cento a tonnellata. Non va meglio per il rame. E´ la coda del ciclone che sta attraversando i mercati globali: come se avesse sbattuto contro un muro, l´intero comparto delle materie prime, dopo aver raggiunto, fra la primavera e l´estate, massimi storici impensabili, sta cadendo a candela. Cade il petrolio, ma anche il rame, l´acciaio, lo zinco. Anche il riso, il granturco e il frumento. La domanda non preme più sull´offerta. E il mondo si ritrova in bilico. Se ne rallegra chi vede sbiadire lo spettro di un´inflazione galoppante. Se ne preoccupa chi vi vede il prosciugarsi della liquidità dei mercati, dovuto alla crisi del credito, e l´ombra incombente di una recessione globale. L´indice Reuters-Jefferies delle materie prime è a quota 385,13. A fine giugno era a 462,74: il crollo è di quasi il 20 per cento. Per chi non ama l´impenetrabilità statistico-aritmetica degli indici ponderati, basta guardare alle singole quotazioni. Il petrolio è caduto da quasi 150 dollari a barile a poco più di 110. Il frumento è a 341 dollari a tonnellata, dopo aver sfiorato i 500 a marzo. Il riso a 337 dollari a tonnellata, un terzo dei 963 dollari di maggio. Il granturco a 141 dollari, quasi la metà dei 258 dollari a tonnellata di giugno. Il rame ha perso il 20 per cento, rispetto ad inizio luglio. Piombo, zinco, nickel, acciaio hanno tutti quotazioni che sono da metà a tre quarti dei massimi raggiunti negli ultimi 12 mesi. Ognuna di queste voci ha la sua storia. Nel caso del cibo, ci sono stati raccolti migliori e, soprattutto, la stessa impennata dei prezzi ha scoraggiato i consumi, soprattutto fra i più poveri. Anche nel caso del petrolio, c´è quello che gli economisti chiamano elegantemente "distruzione di domanda". Per la prima volta, da tempo immemorabile, spaventati dai prezzi alla pompa, gli Usa - che ingoiano il 25 per cento del greggio mondiale - ridurranno, nel 2008, i loro consumi di petrolio. Quei 500 mila barili in meno, però, secondo le proiezioni dell´Aie (il braccio energia dell´Ocse, l´organizzazione dei paesi sviluppati) dovrebbero essere più che compensati dall´aumento dei consumi di paesi come la Cina (800 mila barili in più). A luglio, tuttavia, secondo fonti giornalistiche, i cinesi avrebbero di colpo, per motivi forse legati alle Olimpiadi, tagliato le loro importazioni di greggio del 7 per cento, moltiplicando la spinta alla discesa del prezzo. E ancora: sono le fabbriche cinesi a non importare più i rottami di ferro dell´Occidente. Ad aver tagliato del 12 per cento le importazioni di rame. A comprare meno zinco e meno nickel, per produrre meno acciaio. Si produce meno acciaio, tuttavia, perché uno dei grandi consumatori, l´industria dell´auto, è in crisi dichiarata. Che ci dice, allora, questo crollo delle materie prime dello stato di salute dell´economia mondiale? Secondo molti analisti - da Goldman Sachs a Unicredit - quella a cui stiamo assistendo è una solo pausa di consolidamento: entro 6-8 mesi, la marcia delle materie prime - a cominciare dal petrolio - riprenderà, perché la domanda di grandi paesi in sviluppo, come Cina e India, riprenderà inesorabilmente a salire. La stessa battuta d´arresto cinese sarebbe dovuta allo sforzo temporaneo per le Olimpiadi e, in buona misura, alle relative misure antinquinamento, che hanno colpito consumi e produzione. C´è chi, invece, come Nouriel Roubini, un economista ormai molto ascoltato, visto che ha centrato quasi tutte le sue previsioni degli ultimi due anni, pensa che, fino al 2010, il mondo sarà dominato dalla recessione. Con o senza inflazione. Nonostante che la corsa delle materie prime non abbia ancora manifestato tutti i suoi effetti sull´inflazione (anche se in discesa, i prezzi di petrolio ed alimentari sono ancora largamente al di sopra quelli di un anno fa), la frenata di queste settimane toglie sprint all´ascesa dei prezzi al consumo. Molti economisti pensano, infatti, che i tassi d´inflazione siano destinati a raggiungere un picco in questi mesi, per rallentare in autunno. Perché è mancata, finora, quella rincorsa prezzi-salari che rende l´inflazione un meccanismo che si alimenta da solo e la caduta delle materie prime allontana questo pericolo. Anche un indicatore tradizionale, come l´oro, tradizionale bene-rifugio contro l´inflazione, non mostra segni di tensione: il prezzo sta scendendo insieme a quello del petrolio. Questo, tuttavia, nello scenario alternativo, è un segnale d´allarme, non di tranquillità. Indica quanto profondo e pervasivo sia il rischio della crisi. L´economia giapponese si è contratta di oltre il 2 per cento nel secondo trimestre. Quella europea ristagna, quella americana è, probabilmente, in recessione. L´intero schieramento del G7, i sette Grandi, è in crisi. Difficile che le sfuggano i paesi emergenti, grandi esportatori. Nel 2009, secondo Lehman Brothers, la Cina crescerà solo dell´8 per cento, contro l´11,4 per cento del 2007. Su questo sfondo, lo spettro che si accompagna alla stagnazione non è l´inflazione, come nella stagflazione degli anni ´70, ma la deflazione: la discesa, piuttosto che l´aumento dei prezzi. Una deflazione è già in corso, e del tipo più insidioso: non la discesa dei prezzi al consumo, ma di quelli dei beni patrimoniali. Negli ultimi dieci anni, è stata l´inflazione di questi beni - prima con la bolla delle dot.com, poi con quella delle case, poi con quella dei subprime - ad assestare i colpi più duri all´economia mondiale, mentre i prezzi al consumo restavano a minimi record. La discesa di oggetti d´investimento come le materie prime, come l´oro, come le case, come i derivati e gli altri titoli di credito ha ora, osserva George Magnus, analista di Ubs, un effetto deflazionistico costringendo aziende, famiglie e, soprattutto, banche, a ristrutturare i loro bilanci, per tenere conto della perdita di valore patrimoniale. Ristrutturare come? Nel caso delle banche, facendo funzionare a rovescio la tradizionale leva finanziaria: riducendo, cioè, i propri impegni e la propria attività, proporzionalmente a quanto la discesa dei prezzi ha svalutato il loro patrimonio. E´ un meccanismo insidioso, nota Paul McCulley di Pimco, il più grande fondo obbligazionario mondiale, perché ogni operazione di deleveraging incide a sua volta sui prezzi dei derivati e degli altri titoli, costringendo a nuove svalutazioni. Il risultato finale è un restringimento progressivo del credito disponibile. Nel secondo trimestre 2008, il credito negli Usa si è già ridotto dell´1,5 per cento. Anziché surriscaldata dall´inflazione, l´economia potrebbe essere strangolata dalla deflazione. Maurizio Ricci