magazine 7/8/2008, 7 agosto 2008
Intervista a Andrew Howe. magazine, giovedì 7 agosto Il ministero dell’Aeronautica è un monumentale palazzo di architettura fascista, saloni essenziali, corridoi lunghi e squadrati, alle pareti foto di aerei caccia, F14 e Frecce Tricolori
Intervista a Andrew Howe. magazine, giovedì 7 agosto Il ministero dell’Aeronautica è un monumentale palazzo di architettura fascista, saloni essenziali, corridoi lunghi e squadrati, alle pareti foto di aerei caccia, F14 e Frecce Tricolori. una giornata di luglio, il Capo di Stato Maggiore saluta gli atleti dell’aeronautica in partenza per Pechino; il clima è formale ma non troppo, un po’ come una classe che saluta il professore l’ultimo giorno di scuola prima dell’esame di maturità, poi ognuno per la sua strada. Durante la cerimonia, Renée Felton, ex ostacolista, ex poliziotta di Santa Monica, California, mantiene l’equilibrio su vertiginosi tacchi dorati, si specchia, si dà una pettinata, sorride. la madre, ed è anche l’allenatrice e la fisioterapista, di Andrew Howe, aviere per l’aeronautica e giovane di punta dell’atletica italiana, argento nel salto in lungo ai Campionati mondiali di Osaka nel 2007, bronzo ai Mondiali 2006 a Mosca e agli Europei oro nel 2006 e nel 2007. Andrew per anni ha usato il cognome del secondo marito della madre (anche lui un atleta, salto con l’asta), Besozzi, perché con il suo padre naturale non ha più rapporti, suona la batteria con un suo gruppo, i Craiving, è nato a Los Angeles ma vive a Rieti da quando aveva cinque anni. Quando lo incontriamo è di cattivo umore, si è infortunato a pochi giorni dalle Olimpiadi, non può saltare né correre, solo allenarsi per recuperare il prima possibile in vista dei Giochi. Sei nato a Los Angeles, dove hai vissuto fino a 5 anni: che ricordi hai della tua infanzia in California? «Molto vaghi. Mia madre lavorava moltissimo, i ricordi più nitidi sono quelli dell’asilo, dei giochi, o di quando andavo a vedere il motocross dell’ex marito di mamma». Poi il viaggio con tua madre per arrivare in Italia, a Rieti: che impressione ti ha fatto trasferirti da una metropoli americana a una piccola città di provincia italiana? «La prima cosa che ho detto a mamma appena arrivato a Rieti è stata: ma qui i colori sono scomparsi, è tutto grigio. A Los Angeles non pioveva mai». Che rapporto hai con tuo padre e tua madre, che è anche la tua allenatrice? «A mia madre ho chiesto una mano, all’inizio, quando mi dovevo allenare e lei me l’ha data abbastanza bene! Un rapporto con mio padre, invece, non ce l’ho, è come se non l’avessi mai avuto un padre: non mi è stato mai vicino, né mi ha aiutato a crescere. Mia madre ha ricoperto, e bene, il ruolo di entrambi i genitori: c’è sempre stata soltanto lei». Siete molto legati. «Mia madre ha passato dei brutti momenti durante il mio primo anno di vita perché sono nato praticamente morto, i medici le dissero che molto probabilmente non ce l’avrei fatta e lei passò tutto il mio primo anno di vita quasi senza dormire per controllarmi il respiro. Superare quel momento è stata una cosa grandissima. La nostra prima vittoria». Segui altri sport? «Il calcio, come tutti: sono un tifoso della Lazio. Seguo anche il basket e il nuoto, ma preferisco gli sport estremi, come per esempio lo skateboard». Parlando di tutti gli sport: trovi che ci sia disparità fra la visibilità del calcio rispetto agli altri sport? «Trovo che sia normale, il calcio è lo sport più seguito al mondo. Anche le persone che dicono di odiarlo sono andate a festeggiare quando l’Italia ha vinto il Mondiale. un gioco popolare che raccoglie tutti, riempie le piazze». E i compensi, così alti soltanto nel calcio? «Io non posso lamentarmi. E ho visto da dove vengono Adriano, o Ronaldo, credo che meritino tutto quello che hanno oggi. Magari non si allenano come facciamo noi ma è normale perché loro non fanno uno sport singolo, ci sono altre dieci persone che corrono e inseguono la palla per passargliela. A me non c’è una persona che mi fa saltare, purtroppo». Quindi non ti scandalizza. « che alla fine si parla sempre e solo di soldi, ma la gloria che ti dà un’Olimpiade non te la può dare un Campionato, di calcio o di altri sport. Ritorniamo al solito discorso: quante persone capiscono quello che facciamo noi, quante persone vanno a vedere le gare di atletica leggera? Quello che serve sono i campioni veri, persone capaci di attirare l’attenzione verso il proprio sport. Dare la colpa al calcio è inutile: altri sport devono ringraziare il calcio perché se no il Coni da dove li prende i soldi?». Suoni la batteria con un tuo gruppo musicale, i Craiving: che tipo di musica è? «Non è la musica che ascoltano tutti, la nostra è abbastanza forte, corposa, per pochi intimi a cui piace quel genere tipo Motorhead, Metallica, Guns ”n Roses. Cerco di suonare tutti i giorni, almeno un’ora dopo cena: per fortuna ho la batteria elettronica, quindi studio in silenzio senza disturbare nessuno». Hai avuto un incidente poco tempo fa: è dura la riabilitazione a un mese dai Giochi? «Sì, è dura, perché un incidente a così poco tempo dai Giochi ti leva un po’ di speranze. Io, però, sono molto forte da questo punto di vista e non mi faccio buttare giù da un infortunio, mi rimetto subito in piedi e cerco di lavorare quanto posso per recuperare il prima possibile». Dopo l’infortunio hai più paura di saltare? «Durante la gara non ci penso quasi mai, cerco solo di saltare per dare il meglio di me stesso, dolori e altre cose non m’interessano». Il viaggio della torcia olimpica è stato molto complicato e pieno di contestazione per via della situazione Cina-Tibet: cosa ne pensi? «Noi dobbiamo pensare prima di tutto alle Olimpiadi: ci prepariamo per quattro anni, è un momento importantissimo. Ma noi andiamo lì per fare sport non per diventare ambasciatori. E poi le Olimpiadi portano la pace e non la guerra. Adesso, con i Giochi, gli occhi sono puntati tutti sulla Cina, ma non credo sia questo il momento di fare polemica. E prima di interessarci ai problemi della Cina dobbiamo guardare a quelli che che ci sono a casa nostra, che siamo anche molto più poveri!». Cosa ti aspetti da Pechino? «Vado a divertirmi. Vado a fare quello che sono andato a fare l’anno scorso a Osaka: saltare. Poi vedo, se Dio vuole, bene, se Dio non vuole evidentemente non doveva andare così. Io ho sempre l’idea di vincere, ma ho anche l’umiltà per capire, quando va male. Non bisogna cercare di essere più grandi del tuo sogno». Dopo l’Olimpiade cosa pensi di fare? «Farò altre gare. Poi prenderò una vacanza, per stare a casa, a Rieti, a suonare la batteria».