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 2008  agosto 10 Domenica calendario

DALL’INVIATO A GORI


Ci lasciate soli di fronte ai russi che vogliono invadere tutta la Georgia, il coraggio di Saakashvili è il nostro orgoglio». «Abbiamo ritrovato il nostro presidente». «Misha non si farà umiliare». E’ difficile, in assenza di sondaggi aggiornati e credibili, valutare l’importanza di dichiarazioni raccolte per strada nel centro di Tbilisi. Ma conversazioni più meditate sembrano confermare che la guerra con la Russia giova al controverso politico che a soli 36 anni nel gennaio 2004, pochi mesi dopo la pacifica «Rivoluzione delle rose», scalzò Eduard Shevardnadze dalla presidenza con una vittoria travolgente (al 96%) e traghettò il Paese verso obiettivi che allora sembravano l’avvio di una stagione florida e feconda per la piccola - ma strategicamente ghiotta per la sua centralità nelle rotte petrolifere - Repubblica ex sovietica.
Da allora la parabola del giovane leader ha conosciuto una vistosa evoluzione, dalla plebiscitsaria elezione di 4 anni fa alle contestazioni di piazza del novembre scorso, quando la protesta popolare contro metodi considerati «dittatoriali» e «fascisti» (si scrisse allora sui giornali d’opposizione che l’incriminato si affrettò a chiudere) sfociò in 15 giorni di stato d’emergenza, dimostrazioni e violenze sulla centralissima prospettiva Rustaveli sulla quale si affaccia il Parlamento. Con arresti indiscriminati (si parlò di torture in carcere), e pugno di ferro sui media non allineati.
«Siamo governati da un’organizzazione terroristica», disse allora uno dei leader dell’opposizione, Goga Khaindrava, riferendosi all’autoritarismo emerso un po’ alla volta dietro gli accattivanti sorrisi del presidente, ma anche agli scandali nei quali sono stati coinvolti personaggi di spicco del governo, e al pugno di ferro contro l’opposizione. La crisi di popolarità, per il presidente, è stata rovinosa, e perfino gli Usa che ne erano diventati i principali sostenitori se ne accorsero, «consigliandogli» nuove elezioni. Vinte, ma lasciando il dubbio di brogli.
Anche il degrado delle relazioni con la Russia non gli ha giovato, a causa della crisi economica che ha innescato: per ritorsione, Putin ha raddoppiato il prezzo delle forniture di gas russo e ha bloccato l’importazione dei principali prodotti del Paese, il vino e gli agrumi, creando gravissime difficoltà a centinaia di migliaia di lavoratori. Senza contare i pesanti tagli alla spesa pubblica provocati dal vertiginoso aumento delle spese militari.
L’uomo della speranza trasformato in simbolo della decadenza? Può darsi, ma l’esplosione della crisi con la Russia sembra avergli giovato. Puntando sul nazionalismo, e soprattutto sulla forza del risentimento antirusso tanto diffuso, Saakashvili è riuscito probabilmente a risciacquare la propria immagine, personale e politica. Perfino la maggior parte dei suoi oppositori lo appoggia nella prova di forza con il Cremlino, considerato lo spietato gigante che vuole annientare un piccolo, pacifico Paese amante della propria indipendenza.
La svolta è paradossale. E’ stata proprio la scarsa avvedutezza di Saakashvili a portare la Georgia verso il baratro. Un errore dovuto all’eccessiva, e ingenua, fiducia negli alleati occidentali, Stati Uniti, Nato e Unione Europea? Arrivati a questo punto, Saakhasvili non può ammettere l’errore di valutazione senza cadere personalmente in un abisso politico. Resta da chiedersi quanto durerà il (probabile) riconquistato sostegno popolare, che i giornali allineati alimentano con vistose sottolineature della brutalità russa. E quanto durerà, anche, la sua permanenza al potere. /

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