Andrea Romano, La Stampa 10/8/2008, 10 agosto 2008
Doveva essere «solo una piccola satira», come scrisse Orwell a Gleb Struve nel febbraio 1944. Fu rifiutata da una decina di editori perché politicamente inopportuna e poi stampata in poco più di quattromila esemplari di una pessima carta
Doveva essere «solo una piccola satira», come scrisse Orwell a Gleb Struve nel febbraio 1944. Fu rifiutata da una decina di editori perché politicamente inopportuna e poi stampata in poco più di quattromila esemplari di una pessima carta. diventata la favola politica più celebre del ventesimo secolo, venduta in oltre trenta milioni di copie e letta dovunque come un semplice e potente insegnamento sulla degenerazione di qualsiasi potere. Anche di quello democratico. Perché la forza evocativa della Fattoria degli animali è largamente sopravvissuta allo stalinismo, che all’epoca ne fu l’obiettivo polemico diretto, per arrivare fino a noi come un’introduzione per grandi e piccini ai rischi che ogni mobilitazione politica porta con sé. Soprattutto quando al popolo si sostituiscono gli intellettuali, con la loro diabolica capacità di stravolgere la verità attraverso la parola prima ancora che con la violenza. Sì, perché la celeberrima dittatura dei maiali non si regge sul monopolio della forza ma sul fascino delle ideologie. Nella sintesi di Piffero, teorico del totalitarismo porcino: «Noi maiali lavoriamo col cervello: tutta la conduzione e l’organizzazione di questa fattoria dipendono da noi. Giorno e notte noi vegliamo sul vostro benessere». E niente somiglia più ai maiali degli intellettuali, che secondo Orwell «sono più totalitari nelle loro visioni della gente comune… La maggior parte di loro è perfettamente pronta per metodi dittatoriali, polizia segreta, falsificazione sistematica della storia ecc. Purché sentano che è dalla ”nostra” parte». Una storia semplice come ogni buona favola, quella della rivolta degli animali. Il padrone alcolista che viene cacciato a calci di zoccolo nel sedere. L’euforia degli schiavi finalmente liberati. Lo sforzo comune a cavalli, anatre e galline per lavorare i campi e governare la fattoria. Ma anche la scalata dei maiali al potere assoluto. Prima con il controllo del latte e delle mele, poi con la dittatura di Napoleone, infine con il ritorno dello sfruttamento economico imposto dalla riconciliazione tra gli ex nemici umani e i maiali ormai capaci di camminare su due zampe. Una fiaba semplice che era stata pensata da Orwell come un’allegoria perfetta della storia dell’Urss, dal 1917 fino allo stalinismo trionfante. Una traduzione in chiave esopica della teoria trozkista della «rivoluzione tradita», con ogni casella al posto giusto. Quel debosciato del fattore Jones ad indicare lo zarismo declinante. Marx nei panni del Vecchio Maggiore, l’anziano verro che in punto di morte indica agli animali la via della ribellione. Palladineve e Napoleone, i maiali che guidano la rivolta prima di combattersi l’un l’altro, ad incarnare rispettivamente Trockij e Stalin. Di contorno, tutta una galleria di metafore che qualsiasi lettore degli anni Quaranta avrebbe facilmente riconosciuto: la costruzione del mulino a vento come l’epopea della «edificazione del socialismo» o i feroci cani assassini agli ordini di Napoleone come i sicari dell’OGPU. Eppure La fattoria degli animali fu da subito qualcosa di più di un libello antisovietico, come i detrattori di vario colore politico vollero definirlo (senza ancora arrivare allo stigma con cui Togliatti avrebbe poi bollato 1984 come «una buffonata informe e noiosa… strumento di lotta che uno spione ha voluto aggiungere al suo arsenale anticomunistico»). C’era innanzitutto l’afflato popolare che animava l’autore e il suo schierarsi senza equivoci con le ragioni della rivolta. D’altra parte non c’era né poteva esserci alcuna nostalgia del passato prerivoluzionario in un socialista assolutamente originale come Orwell, che fin dalla giovinezza si era dedicato alle pieghe più scomode della realtà piuttosto che ai precetti di partito. Dopo i prestigiosi studi a Eton aveva abbandonato l’ottimo impiego nella polizia imperiale in Birmania per immergersi tra i sottoproletari invisibili di Londra e Parigi, barbone tra i barboni, e poi ancora tra gli sconsolati minatori inglesi che avrebbe raccontato nella Strada di Wigan Pier. Ma soprattutto aveva scelto di combattere in difesa della Spagna repubblicana, facendone la sua più autentica scuola di formazione politica: la palestra dove avrebbe appreso il valore dell’antifascismo insieme al peso della menzogna comunista. Fu trozkista per caso, trovando da arruolarsi solo nelle milizie del Poum, e uscì dalla catastrofe spagnola dopo essere stato braccato dalla repressione stalinista per le vie di Barcellona. L’esperienza spagnola lo avviò definitivamente sulla via della scrittura politica, a cui avrebbe dedicato tutte le sue opere successive: «ogni riga che ho scritto a partire dal 1936 è stata rivolta, direttamente o indirettamente, contro il totalitarismo e a sostegno del socialismo democratico così come lo intendo io». Un socialista democratico, dunque, del tutto a modo suo. Fu questa la sostanza della militanza politica di Eric Blair - il vero nome di Orwell - che con un altro Blair di qualche decennio più tardi avrebbe condiviso il radicalismo popolare della libertà. Iscritto al piccolo e irriverente Partito laburista indipendente, fu patriottico senza mai essere nazionalista, combattente antifascista e tenace oppositore del pacifismo in nome del diritto/dovere di prendere le armi per la democrazia. Un militante che con la Fattoria degli animali si dedica a riscattare il buon nome del socialismo dal discredito in cui era stato gettato dal comunismo sovietico. Come avrebbe scritto nel 1947 nella prefazione all’edizione (clandestina) ucraina: «Negli ultimi dieci anni mi sono convinto che la distruzione del mito sovietico sia essenziale alla rinascita del movimento socialista». Ma anche solo intaccare il buon nome dell’Urss era impresa assai difficoltosa, nei mesi in cui l’Armata Rossa passava finalmente all’offensiva contro la Germania nazista. Di qui le enormi difficoltà che Orwell incontrò per pubblicare il testo. Victor Gollancz, fino ad allora il suo editore, lo liquidò in poche righe come «un attacco generalizzato alla politica sovietica». Jonathan Cape lo respinse dopo essersi consultato con un alto funzionario del Ministero britannico dell’Informazione. Persino T.S. Eliot, allora direttore di Faber & Faber, restituì il manoscritto dicendosi «non convinto che questo sia il giusto punto di vista da cui criticare la situazione politica». Vi fu anche, come spesso capita nel mestiere editoriale, chi non capì affatto cosa aveva per le mani: un impiegato dell’americana Dial Press rispose che era «impossibile vendere storie di animali negli Usa». Ma la sostanza dei rifiuti fu propriamente politica, prima di trovare in Fred Warburg un editore disposto a correre il rischio. La fattoria degli animali aveva scelto il tempo sbagliato per essere scritta: nel momento apicale di quel mito sovietico che Orwell intendeva scalfire, fedele com’era alla convinzione che «la libertà sia il diritto di dire alla gente quello che non vuole sentire». Ma così effettivamente sarebbe andata. L’Unione sovietica è stata sepolta ma quella piccola, magica satira non ha perso neanche un grammo del suo valore. www.lastampa.it/romano L’estate è la stagione in cui si è più disposti a leggere o a rileggere i grandi libri. La Stampa ha chiesto alle sue firme di raccontare ai lettori i capolavori della letteratura mondialeGeorge Orwell, pseudonimo di Eric Arthur Blair (1903-1950), è stato giornalista, saggista e narratore. Di origini scozzesi, studia a Eton, si arruola nella polizia imperiale in Birmania da cui si dimette. Si trasferisce poverissimo a Parigi. Negli Anni 30 partecipa alla guerra civile spagnola, sulla quale scrive Omaggio alla Catalogna. Muore di tubercolosi a Londra. Fra i suoi romanzi più celebri, oltre alla Fattoria degli animali (1945), 1984 (uscito nel ”48). In basso Andrea Romano: l’ultimo dei suoi libri è Compagni di scuola. Ascesa e declino dei postcomunisti (Mondadori) Clicca sull immagine per ingrandirla Clicca sull immagine per ingrandirla Clicca sull immagine per ingrandirla Clicca sull immagine per ingrandirla Stampa Articolo