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 2008  agosto 10 Domenica calendario

EMILIANO GUANELLA

BUENOS AIRES
La Bolivia va oggi alle urne nell’ultimo atto dello scontro fra il presidente Evo Morales e l’opposizione in una situazione di stallo che sembra destinata comunque a durare nel tempo. Quattro milioni e mezzi di elettori si confronteranno con un inedito referendum revocatorio, uno strumento legislativo inserito nella nuova Costituzione e che prevede la verifica a metà del mandato dell’accettazione delle più importanti cariche del paese. Per revocare il mandato di Morales, del suo vice Alvaro Garcia Linera e degli otto governatori provinciali i «no» devono superare i voti ottenuti dagli stessi al momento della loro elezione. Nel caso di Morales la soglia di un’eventuale destituzione è del 53%, una percentuale che l’opposizione non sembra in grado di raccogliere. Per i governatori potrebbe bastare la metà più uno dei suffragi.
Il referendum è stato promosso dallo stesso Morales per uscire dall’impasse politico in cui versa il paese, con un governo dalla maggioranza risicata in parlamento, la maggior parte dei governatori ostili e la popolazione divisa geograficamente fra i sostenitori dell’esecutivo, concentrati fra gli indios dell’altipiano e della cordigliera andina e quelli dell’opposizione, presenti nelle regioni orientali abitate in prevalenza da bianchi e meticci. Divisione politica, etnica e sociale che ha paralizzato il più povero dei paesi sudamericani, con riforme arenate in parlamento, scontri e divisioni di piazza, minacce secessioniste. Al punto che pochi giorni fa, in occasione dell’anniversario dell’indipendenza lo stesso Morales è stato costretto a spostare per la prima volta nella storia i festeggiamenti dall’antica capitale Sucre, ostile oggi al governo, all’attuale capitale La Paz, bastione dei fedelissimi dell’esecutivo. I governatori delle province ribelli di Santa Cruz, Tarija, Beni e Pando guidano da mesi un potente movimento d’opposizione che chiede una forte autonomia fiscale e politica rispetto a La Paz, con la gestione dei fondi provenienti dai giacimenti di gas destinato all’esportazione.
I leader dell’opposizione accusano Morales di essere succube del venezuelano Hugo Chavez, sbandierano i duecento milioni di dollari che ogni anno Caracas elargirebbe al paese amico, denunciano la presunta presenza di funzionari e militari nelle alte sfere del governo. A Santa Cruz, la provincia più ricca che da sola conta un terzo del Pil boliviano, sono da giorni in sciopero della fame contro la politica di La Paz. Una protesta, la loro, che mescola devolution e anche l’orgoglio ferito di bianchi e meticci discendenti dagli emigrati europei che per la prima volta vedono un indigena al governo. Odiato nella parte orientale del paese, Morales è invece ancora molto popolare sulle Ande, dove conserva bastioni strategici come El Alto, poverissima città dormitorio da un milione di abitanti che domina dai suoi 4.100 metri la capitale La Paz. La situazione boliviana è stata definita un «pareggio catastrofico», una sorte di crisi perenne senza vincitori né vinti.
Messo alle corde dagli autonomisti, Morales ha pescato la carta del «revocatorio» ispirandosi ad una mossa analoga fatta da Chavez nel 2004. L’ex leader sindacale spera di arginare l’erosione di consenso nella base: la rivoluzione sociale promessa in campagna elettorale va troppo lenta e persino i sindacalisti della Cob, la centrale operaia boliviana, sono scesi in piazza. In discussione anche l’ondata di nazionalizzazioni del suo governo, iniziata con il gas e proseguita poi con il recupero da parte dello Stato di alcune fabbriche e imprese di servizi. «Qualche tempo fa - ha detto lo stesso Morales in un comizio recente - ascoltavo il compañero Chavez parlare di "Patria socialismo o morte" e non capivo. Oggi lo grido tutti i giorni». Il clima della vigilia è stato particolarmente teso con denuncie di tentativi di golpe e di brogli da una parte e dall’altra. Il futuro del presidente indio non è facile: la fotografia del paese diviso e bloccato potrebbe contare di più di una vittoria di Pirro nel voto di oggi.


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