Varie, 9 agosto 2008
Caso Telecom-Tavaroli-Tronchetti I lettori ci chiedono un bigino per capire qualcosa del caso Telecom-Tronchetti-Tavaroli
Caso Telecom-Tavaroli-Tronchetti I lettori ci chiedono un bigino per capire qualcosa del caso Telecom-Tronchetti-Tavaroli. Cercheremo di essere brevi. 1 Esiste una compagnia telefonica che si chiama Telecom. Questa compagnia discende dalla vecchia azienda di Stato, prima Teti, poi Sip. A metà anni Novanta lo Stato la vendette. Comprò un nucleo di imprenditori capeggiato da Agnelli (’capeggiato”, benché Agnelli avesse solo lo 0,6%), che poi rivendette a una cordata guidata dal duo Colaninno-Gnutti (molto simpatici al premier D’Alema, che li chiamò ”capitani coraggiosi”). Costoro, nell’anno 2001, rivendettero a loro volta a Marco Tronchetti Provera, capo della Pirelli. Nel 2007 Tronchetti ha infine ceduto l’azienda a un pool di banche italiane alleate con gli spagnoli di Telefonica (il cosiddetto socio industriale). 2 Esiste un ”sistema di sicurezza” della Pirelli. Esiste un ”sistema di sicurezza” della Telecom. Esistono sistemi di sicurezza in tutte le grandi aziende, specialmente se di dimensioni internazionali. I sistemi di sicurezza sono di fatto dei servizi segreti. Servono ad acquisire informazioni utili all’azienda (informazioni di qualunque tipo) e difendono l’azienda dallo spionaggio della concorrenza. Non possono commettere reati nell’esercizio delle loro attività, ma spesso li commettono. 3 professionale che i servizi di sicurezza delle aziende tengano al riparo i vertici della loro azienda da notizie o dossier compromettenti. professionale che i vertici di qualunque azienda sappiano solo fino a un certo punto quello che combinano i loro servizi di sicurezza (è così anche per i capi di Stato e le loro Cia o Mossad). In ogni istante, per qualunque vertice aziendale, deve essere possibile disfarsi degli uomini della sicurezza senza che ciò metta a repentaglio i vertici o l’azienda stessa. Per questo è necessario che ai vertici siano fornite solo le informazioni che gli stessi vertici richiedono (e se le richiedono), ma mai quelle di contorno. In nessun caso i vertici saranno informati sul modo col quale gli uomini della sicurezza hanno acquisito le informazioni che hanno acquisito. Il senso di questo modo di procedere dei servizi e dei loro capi, valido in tutto il mondo da sempre, è ovvio. 4 La prima inchiesta sul sistema di sicurezza della Telecom è del 2001. Lo stesso Tronchetti denunciò alla magistratura che sull’automobile del suo top manager Enrico Bondi (quello che poi avrebbe risanato Parmalat) era stata trovata una microspia. L’ultima inchiesta, condotta dai pubblici ministeri Fabio Napoleone, Nicola Piacente e Stefano Civardi, s’è conclusa l’altro giorno con un ”Avviso di chiusura indagini” lungo 371 pagine. 5 Queste indagini riguardano l’attività di security (come si dice) svolta in Telecom dal 1997 al 2004. Gli atti relativi sono raccolti in 169 faldoni. I difensori dei 34 indagati (’indagati”: non ancora ”rinviati a giudizio”) possono consultarli a partire da adesso. Tra il 1997 e il 2004 la Telecom spese, per il suo servizio segreto, 34,3 milioni di euro. Al centro di questo sistema di informazione stava un ex carabiniere di nome Giuliano Tavaroli. 6 Giuliano Tavaroli, nato ad Albenga il 19 giugno 1959, grosso, barbuto, non beve whisky ma camomilla, ha cinque figli, ha lavorato prima con Dalla Chiesa, poi è uscito dall’Arma e, sempre facendo la security, è entrato all’Italtel (azienda di Stato), nel 1992 dall’Italtel è passato alla Pirelli. Quando Tronchetti ha comprato Telecom, nel 2001, se l’è portato dietro. 7 Tavaroli inquadra la propria carriera all’interno della crisi del sistema spionistico mondiale e della comparsa di un potentissimo sistema di intelligence privato, che raccoglie e smista informazioni per le multinazionali, ormai molto più veloci e potenti degli Stati. Un sistema di «business intelligence, market intelligence, competitive intelligence» (definizioni sue). In Italia l’antenato del nuovo soggetto prende corpo ai tempi delle Brigate rosse, quando Carlo Alberto Dalla Chiesa, che ha Tavaroli nello staff, mette insieme il Nucleo antiterrorismo dei carabinieri con la security della Fiat, con la security del Pci e con la security dei sindacati. Con questa alleanza, dove contano solo le conoscenze e la capacità di analizzare correttamente tutto quello che si sa, sconfigge le Br. Quando cade il Muro di Berlino (1989), i servizi di sicurezza di tutto il mondo entrano in una crisi profondissima: è venuto meno un partner fondamentale, uno di quelli su cui poggiava tutto il sistema delle securities pubbliche, cioè il Kgb. il momento in cui entra in scena da protagonista la rete spionistica privata mondiale. Dice Tavaroli: «Si crea un nuovo mercato. Comincia lo scambio delle figurine tra security private e servizi segreti. La parola d’ordine convenuta è ”diamoci una mano”». Ancora Tavaroli: «L’azienda di Stato Italtel aveva dopo il 1989 150-200 uomini in Urss e agiva con i governi delle singole repubblice dell’ex blocco sovietico. Il Sismi invece faticava per infiltrare anche un solo uomo oltre confine. Chi contava di più? Chi poteva avere più informazioni?». La débacle dei servizi segreti pubblici è totale l’11 settembre 2001: le torri vengono abbattute e i servizi segreti di tutto il mondo non sono in grado di prevedere niente. 8 Il quadro perciò sarebbe quello di un sistema spionistico privato planetario, in cui si costruiscono dossier su chiunque capiti a tiro perché non si sa mai a chi converrà «dare una mano», secondo l’espressione dello stesso Tavaroli. In questo sistema - che l’inchiesta di Milano non potrebbe intaccare e non ha intaccato - i vertici delle aziende in cui operano le securities sono barche che galleggiano sul pelo dell’acqua e che del gran vorticare in corso negli abissi non percepiscono (non possono percepire, non devono percepire) che qualche onda di forza modesta. 9 Risulta ai tre pm milanesi, ed è riferito nell’’Avviso di chiusura indagini” di 371 pagine, che Tavaroli costituì un’associazione a delinquere formata da 26 dei 34 indagati; che con questa associazione a delinquere corruppe pubblici ufficiali dei ministeri dell’Interno, della Giustizia e delle Finanze affinché fosse possibile prelevare dati dai relativi archivi. Le violazioni appurate sono novemila. Le società su cui sono stati costruiti corposi file informativi sono 350. Le persone su cui Tavaroli ha potuto mettere insieme un dossier almeno quattromila. Per esempio: il calciatore dell’Inter Bobo Vieri, il banchiere Cesare Geronzi, il capo del Codacons Carlo Rienzi, il vicedirettore del Corriere della Sera Massimo Mucchetti e l’allora amministratore delegato di Rcs (oggi in Vodafone) Vittorio Colao, Fulvio Conti, Al Walid, Moggi, il segretario dell’Udc Cesa, Ruggero Jucker (venuto alla ribalta solo per aver ammazzato la fidanzata), la moglie di Tronchetti Afef e il di lei fratello, Carlo De Benedetti e Gnutti, Formigoni e Dell’Utri, eccetera eccetera. Chiunque perché chiunque poteva servire. 10 Tronchetti e Buora sono stati chiamati in causa dai tre pm in quanto rappresentanti legali di Telecom: la legge 231 prevede infatti una responsabilità amministrativa dell’azienda per i reati commessi da dipendenti che agiscono nell’interesse della società. Ma, sul piano personale, sono stati tenuti fuori dall’inchiesta: nella lista dei 34 indagati i loro nomi non ci sono. Dunque i pm Napoleone-Piacente-Civardi ritengono vera la tesi ribadita da Tavaroli in 15 interrogatori subiti tra settembre 2006 e maggio 2007 e confermata da due interrogatori di fine giugno degli stessi Tronchetti e Buora, tesi secondo la quale né Tronchetti né Buora avevano la minima idea di quello che combinava la Security. 11 Questa assoluzione ha fortemente indignato i nemici di Tronchetti, i quali da sempre muovono contro il capo della Pirelli dalle pagine di Repubblica. Come mai proprio da Repubblica? Parecchie ragioni. Il dossier di Tavaroli su Carlo De Benedetti era straordinariamente corposo. Il figlio di Carlo De Benedetti, Marco, che era amministratore delegato di Tim, venne allontananto dall’azienda nel 2005 e andò a fare il consulente della Carlyle con la quale poi fece qualche tentativo di comprare Telecom. anche possibile che Tronchetti nel 2001 abbia soffiato Telecom a De Benedetti, che ci sarà rimasto molto male. Infine Repubblica è l’organo ufficiale dei prodiani d’Italia, il gruppo politico che ha fatto dell’avversione a Tronchetti quasi una ragion d’essere. Prodi manovrò per impedire un’alleanza Tronchetti-Murdoch (con i contenuti di Murdoch, Telecom avrebbe avuto una presenza di gran peso in Internet), poi tentò di soffiargli la rete e di farne l’asset centrale per una riedizione del’Iri, infine si mise di traverso in ogni modo quando Tronchetti provò a far entrare in azienda un socio straniero (gli americani di At&t, i brasiliani di Slim, gli spagnoli di Telefonica). Fu in quell’occasione che l’ambasciatore americano Spogli denunciò sul Corriere della Sera l’impossibilità di fare affari in Italia, dato che il mondo della politica, in un modo o nell’altro, si mette sempre in mezzo e, se c’è un asset da vendere, vuol esser lei (in questo caso: Prodi) a decidere il compratore, indipendentemente dal prezzo. 12 il Corriere della Sera, dall’altra parte, che difende Tronchetti a spada tratta. Il lettore non si meravigli. I quotidiani italiani sono soggetti attivi del gioco e Tronchetti è uno degli azionisti di peso di Rcs. I bene informati parlano ormai esplicitamente di un asse Geronzi-Tronchetti-Bazoli, prossimo padrone delle sorti d’Italia attraverso Mediobanca-Corriere-Banca Intesa. Il discorso ci porterebbe lontano. Basterà notare che mentre la chiusura dell’inchiesta milanese ha spuntato un’arma che la galassia prodiana credeva di poter brandire, De Benedetti ha messo in una società a parte Repubblica e le altre attività editoriali. Ha perso e, forse, si prepara a vendere.