La Stampa 7 agosto 2008, Marco Sodano, 7 agosto 2008
I tribunali smontano la riforma Biagi. La Stampa 7 agosto 2008 Inflessibili, le toghe italiane sembrano essersi trasformate in nemiche giurate del lavoro flessibile
I tribunali smontano la riforma Biagi. La Stampa 7 agosto 2008 Inflessibili, le toghe italiane sembrano essersi trasformate in nemiche giurate del lavoro flessibile. Dal caso-Poste (15 mila precari già assunti su ordine di un giudice, in molti casi dopo un solo contratto, e altrettanti in coda per ottenere lo stesso) ai call center, dalle amministrazioni comunali alla scuola cresce esponenzialmente il numero di precari che trovano conforto - e un contratto a tempo indeterminato - in Tribunale. Difficile pernsare che Marco Biagi, quando lavorava per codificare il lavoro flessibile in Italia, intendesse trasferire gli uffici del personale nelle aule di Giustizia. Eppure succede spesso. Forse troppo spesso. Al momento di firmare un contratto di lavoro, si sa, il manico del coltello è nelle mani dell’azienda. Quand’è chiamata a decidere la magistratura, viceversa, il più delle volte si stabilisce che il datore di lavoro ha imposto all’impiegato un rapporto di lavoro dipendente travestito da impiego a tempo. Un’indagine Isfol Plus (sull’anno 2006) dice che un contratto fasullo è stato imposto al 65 per cento dei co.co.co, al 55 per cento dei collaboratori occasionali, all’81 per cento dei co.co.pro e al 7 per cento delle partite Iva. Il dato si accompagna al fatto che otto collaboratori su dieci lavorano per una sola società, e fanno lo stesso discorso metà delle partite Iva. Il sospetto di contratto travestito è legittimo. Altro punto essenziale: non si può imporre un orario ai collaboratori. E invece lo stesso studio dice che la presenza è un vincolo per il 60 per cento dei co.co.co, e per il 70 per cento sia dei collaboratori occasionali che dei co.co.pro. Anche il 20 per cento dei lavoratori a partita Iva, i cosidetti autonomi, devono attenersi a un orario giornaliero (alla faccia dell’autonomia). Infine, l’80 per cento dei collaboratori e il 50% delle partite Iva usa strumenti dell’azienda per fare il suo lavoro. Anche questa è una discriminante essenziale - dice la legge Biagi - per capire se il rapporto di lavoro è dipendente o meno. Gli autonomi usano la loro attrezzatura, i subordinati no. Conclude la fotografia il sogno medio del precario italiano: l’80% dei co.co.pro, il 73 tra i co.co.co, il 58 dei collaboratori occasionali e il 24 per cento delle partite Iva non è soddisfatto del lavoro che ha e vorrebbe un contratto a tempo indeterminato. l’altro capo della questione: se le aziende cercano di bleffare su paga e contributi mascherando i rapporti di lavoro dipendente da collaborazioni occasionali, gli italiani quando firmano per avere un lavoro a tempo determinato, lo fanno perché non c’è altro e firmano con lo scopo dichiarato di farsi «stabilizzare», la parola magica dell’arcipelago precari. Basta un’occhiata alle discussioni che i senza contratto tengono su internet: «Sono precario da tre anni. Fino al mese scorso avevo l’incubo che non mi rinnovassero il contratto. Ora ho l’incubo che me lo rinnovino senza che cambi nulla», dice un certo Antonio preoccupato dalla manovra, nella quale il Governo ha stabilito che le Poste non dovranno assumere i portalettere con contratto a tempo. E ancora: «Attendevo la stabilizzazione in Comune da tre anni. Ho 34 anni, ce l’avevo quasi fatta, poi la giunta che mi voleva stabilizzare si è sciolta perché il sindaco è morto all’improvviso. Con il commissariamento, adesso, non ho nessuna speranza». evidente, insomma, che se i magistrati si limitano ad applicare la legge è la legge che va cambiata: perché di fronte a questi risultati in tribunale le aziende si attengono alla prudenza estrema. Un solo contratto a tempo e poi via, a casa: sia mai che riesci a dimostrare che eri indispensabile facendo scattare l’obbligo di assuzione. Non è proprio ciò che desidera chi precario lo è ancora. Marco Sodano