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 2008  agosto 13 Mercoledì calendario

Le pagine che mancano a Oriana. Vanity Fair 13 agosto 2008 In questo momento, secondo me, lei sta tirando delle madonne terribili

Le pagine che mancano a Oriana. Vanity Fair 13 agosto 2008 In questo momento, secondo me, lei sta tirando delle madonne terribili. Mi aspetto che da un momento all’altro entri da quella porta e faccia una delle sue epiche scenatacce". "Lei" è Oriana Fallaci. E chi parla è sua sorella Paola. Intervistata da Vanity Fair un anno fa, nel primo anniversario della morte della giornalista e scrittrice, aveva detto di essere fermamente contraria alla pubblicazione postuma dell’ultimo lavoro di Oriana, l’opera monumentale sulla storia della loro famiglia. Opera che invece è uscita il 30 luglio, con il titolo Un cappello pieno di ciliege, edita da Rizzoli e curata da Edoardo Perazzi, nipote di Oriana, figlio di Paola, e unico erede testamentario della Fallaci. Che spiega di aver seguito, nel pubblicare il libro, le ultime volontà della zia, dettate prima della morte. Paola vive nella casa di famiglia di Greve in Chianti in totale isolamento. Non sapeva neanche che il libro sarebbe uscito quest’estate. Quando glielo porto, lo gira e rigira tra le mani; è affranta. Che cos’è che la colpisce tanto? "La copertina. Lei ci teneva moltissimo alle copertine. E le assicuro che questa non le sarebbe piaciuta. vero che voleva sempre il suo nome grande, grandissimo, ma non avrebbe mai approvato un titolo così piccolo, sembra una didascalia. E poi, il colore: giallino sbiadito con la sfumaturina ai bordi. Lei amava il blu e il rosso, ma non tutti i blu e rossi, poteva stare giornate a scegliere la giusta tonalità. E poi le piacevano le cornici dorate". Paola legge il libro. Due giorni dopo torno a trovarla. Ci mettiamo sedute alla scrivania davanti alla finestra, nella camera che era di Oriana. Dipinta sulla base del letto c’è una scena campestre: al centro, un uomo in abiti orientali. Paola mi guarda. "Ha visto? un letto contadino, di famiglia, e per ironia della sorte c’è raffigurato un arabo. Sicché, quando veniva qualcuno a trovarla, lei lo copriva sempre". Parliamo del libro? "Non doveva essere pubblicato". Suo figlio Edoardo spiega chiaramente di avere solo fatto la volontà di Oriana. "Lei non ha lasciato scritto niente. Nel suo ultimo testamento non nomina il suo amatissimo libro. L’Oriana che si riempiva e ci riempiva di appunti su tutto... Non è possibile che sia morta senza nominarlo, senza deciderne il destino. La verità è che l’aveva abbandonato, si era rassegnata alla malattia, al corso diverso degli eventi. Se avesse voluto pubblicarlo, poi, lo avrebbe fatto lei, da viva. Certamente non con la Rizzoli". Perché? "A me una volta disse e scrisse: ”Piuttosto di darlo a loro lo brucio”. I rapporti con la casa editrice erano sempre stati difficili, ma da quando se n’era andato Gianni Vallardi... Un crollo totale. Io lo chiamavo San Vallardi perché era l’unico che sapesse prenderla e sopportare le sue terribili scenate. La rottura definitiva con la Rizzoli avvenne pochi mesi prima di morire. Lei chiese, tutti in una volta, i diritti d’autore arretrati che rivendicava. Si era innamorata di una casa sul Lungarno a Firenze, appartenuta a una sorella di Napoleone, e voleva comprarla, desiderava morire lì. Costava 4 milioni e mezzo di euro. La Rizzoli disse di no: ”Ci vuol far fallire?”. E lei non potè comprarsi la casa". Perché voleva morire a Firenze e non nel Chianti? "Adorava il Lungarno. Il suo sogno iniziale era comprarsi la Torre Mannelli, il luogo, peraltro, dove sotto i bombardamenti del ”44 andò distrutta la famosa cassapanca, piena di documenti e cimeli di famiglia, che percorre tutto il libro. Proprietario della torre era Giorgio Armani. Nel 2002 Oriana gli telefonò da questa casa, eravamo insieme. Sentii che gli diceva: ”Costa troppo, a una fiorentina non farà mica lo stesso prezzo che fa a un giapponese?”. Quando mise giù la cornetta, era furibonda". Il libro lei l’aveva mai letto prima? "Sì: ho anche io un manoscritto con le sue piccolissime correzioni. Ma si ferma alla terza parte (pag. 477, ndr). La quarta non l’avevo mai letta. Oriana l’ha scritta nell’ultimo periodo americano, non è mai stata ricomposta e rivista da lei. Basta guardare le pagine con le correzioni a penna alla fine del volume: per Oriana un libro non poteva dirsi finito se tutte le pagine non erano scritte a macchina e perfette, pulite. Era capace di riscrivere un intero foglio da capo se c’era da cambiare una preposizione, le mani sempre sporche di bianchetto per cancellare, l’unica alternativa alla riscrittura, e tollerata a malapena". Perché ha il manoscritto originale? "Quella era una stesura finita, pronta per la pubblicazione. Oriana l’aveva consegnata a un avvocato di Firenze, poi, come le succedeva sempre, ci aveva litigato, e aveva chiesto a un nostro amico, professore di Medicina, di farla ritirare e consegnare a me, e così avvenne. Quando Oriana arrivò a Greve _ era il 2004 _ le dissi che il libro era nel tal cassetto di camera sua. Nessuno ne aveva l’accesso: solo a Vallardi leggeva qualche pagina di tanto in tanto. Ma una volta che era andata a Firenze per degli esami medici, feci una cosa molto scorretta: non resistetti alla tentazione di leggerlo. Lei l’aveva addirittura sigillato con la ceralacca rossa, ma in queste cose non era molto furba perché i sigilli li aveva messi su un fiocco rosa che bastò sfilare. In fretta e furia, feci le fotocopie. Richiusi tutto e stetti zitta. Quando nel 2005, un anno prima di morire, lei tornò in America, le chiesi: ”E il libro?”. Mi disse: ”Lascialo qua”. Oggi è in banca, in una cassetta di sicurezza". E il manoscritto andato all’editore? "Oriana conservava più copie di quanto scriveva, anche le pagine non finite". Parlaste mai di un’eventuale pubblicazione? "Solo una volta. Una notte la sentivo muoversi nella stanza, era agitata, allora entrai nella sua camera. Era spaventata, diceva che stava per morire, che avrebbe dovuto finire quel libro invece di occuparsi dei musulmani. Le dissi: ”Se è così importante, pubblica la parte definitiva che hai già”. E lei: ”No, no. Io voglio fare una grande saga che vada dal Settecento fino al Novecento. Così non avrebbe senso”. L’aveva sempre detto che voleva arrivare al 1944, l’anno della liberazione di Firenze. Perché le storie dei nostri avi, nell’intenzione di Oriana, dovevano essere come la stella di Betlemme per Gesù: un lungo percorso che portava alla sua nascita. Lo si capisce dall’insistenza con cui continua a ripetere, ossessivamente, la frase ”correvo il rischio di non nascere”. Al Novecento purtroppo non è mai arrivata: il libro si ferma al matrimonio dei miei nonni Giacoma e Antonio. Manca proprio la parte su cui Oriana avrebbe avuto più informazioni, e anche la più vera e interessante". Non c’è stato il tempo di finirlo o non ce n’è stata la volontà? "Oriana aveva smesso di lavorarci, secondo me lei stessa si era resa conto che non funzionava, che era un po’ squilibrato. Forse era partita troppo da lontano. Io che la conoscevo bene _ mi diceva: ”Mi leggi come un libro”, io rispondevo: ”Sì, un libro in cinese” _ so che avrebbe preferito essere ricordata per la fama straordinaria che aveva raggiunto dopo l’11 settembre, con i suoi articoli sul Corriere della Sera e poi con La rabbia e l’orgoglio. Un successo del tutto insperato: Oriana, prima dell’11 settembre, aveva litigato con tutti, non faceva più la giornalista, si occupava solo della storia della nostra famiglia, ma era scontenta di sentirsi un po’ dimenticata. Per lei, abituata fin da piccola a essere considerata la più brava, era un cruccio, pari a quello di aver ottenuto ben pochi riconoscimenti letterari nel nostro Paese. La pubblicazione di questo libro, incompiuto, non le rende giustizia e non rispetta la sua volontà". Il libro le piace? "Dietro c’è un lavoro straordinario, Oriana era maestra nello studio e nella ricerca. Ovviamente ci sono pagine veramente belle. Mi ha commosso un passaggio in cui Oriana racconta una storia di streghe e fate che ricordo di aver ascoltato da piccola. Nel suo complesso però il libro non mi convince: troppe ripetizioni sul rischio di non nascere, troppa interpretazione dell’anima di questa gente di cui sapevamo solo il nome e la professione. I personaggi alla fine non ci sono". Beh, i personaggi qui ci sono: non si tratta dei vostri avi? " un romanzo? un libro storico? Uno scrittore può inventare, è il suo mestiere. Ma in questo libro i protagonisti hanno nomi e cognomi, sono persone esistite veramente: Oriana aveva il diritto di interpretare la realtà? I Fallaci erano livellari, cioè contadini, i Cantini poveri scultori, i Launaro marinai. Invece nel libro tutte le donne sono eroine, gli uomini chi rivoluzionario, chi grande artista. Mi ricordo che cosa diceva Oriana all’inizio, mentre studiava la famiglia: ”Questi Fallaci, questi Cantini, tutti poveracci, tutti scalognati”. Non le tornava il discorso, non le piaceva: ”lei” non poteva derivare da questa gente. Rendendoli eccezionali, celebrava se stessa. Nella quarta parte del libro, quella che io non conoscevo, arriva a parlare in prima persona, c’è un’identificazione totale tra lei e gli avi". Oriana però avvisa il lettore, nel prologo, di essere spesso ricorsa alla fantasia, anche per ovviare all’impossibilità, in certi casi, di trovare fonti e informazioni. "Che Oriana non abbia potuto trovare molte notizie sui nostri antenati è una certezza: erano proletari, mica i principi Corsini. Trovo comunque imbarazzante che il libro sia stato presentato come la vera storia della mia, nostra famiglia, con tutto lo schema delle parentele all’inizio. Lo vedo anche come un danno per la sua reputazione e credibilità di giornalista. A questo punto uno potrebbe anche mettere in discussione la verità e accuratezza delle interviste che l’hanno resa famosa, per esempio quelle a Gheddafi, a Kissinger, a Khomeini. Oriana non meritava questo, doveva morire con la gloria degli ultimi libri". Quali antenati, secondo lei, sono stati maggiormente romanzati? "Le donne. A partire da Caterina Zani, moglie di Carlo Fallaci, con cui si apre il libro e da cui viene il titolo: era lei quella che andava al mercato con un cappello pieno di ciliegie. Di Caterina si sapeva solo, e questo racconto in famiglia faceva molto ridere, che per pagare il livello – il podere – si era inventata i ”tubi di decenza”, cioè i mutandoni da donna. Oriana nel libro fa di lei un personaggio mitico, colto, che combatte addirittura contro i francesi di Napoleone. Ma quella romanzata di più è Anastasìa, la mamma della nostra nonna". Perché? "Intanto si chiamava Ferrieri e non Ferrier. Forse quel cognome francese è un omaggio alle origini valdesi della nostra zia Febe. E poi Anastasìa era semplicemente una ragazza molto bella che, come tante donne, aveva incontrato un signore aristocratico e ricco, ma sposato, ed era diventata la sua amante. Fu lui a metterla incinta di Giacoma, mia nonna, ma non lasciò mai la moglie. Oriana invece racconta che Anastasìa faceva la ballerina, la fa andare in America, sparare ai pellerossa, abbandonare la figlia Giacoma, per poi pentirsi e tornarla a cercare. La fa anche suicidare... Anastasìa morì da vecchia, e in pace". Quest’uomo, l’amante, nel libro è chiamato l’Innominato. "Oriana dice che era piemontese, di Torino, invece era di Cesena. In famiglia abbiamo sempre pensato che fosse un certo conte Giacomelli". E della parte nuova, quella che non aveva letto, che cosa l’ha lasciata più perplessa? "La parentela tra i Fallaci e i Launaro, la famiglia da cui discende mia madre Tosca, una stirpe di marinai alla cui origine c’è Francesco, una sorta di pirata. Nel libro uno dei suoi figli, Michele, viene fatto sposare ad Amabile, figlia di Caterina e Carlo Fallaci, incrociando le famiglie solo tre generazioni prima del matrimonio tra mia madre Tosca e mio padre Edoardo Fallaci. Da quell’unione, secondo lo schema, sarebbe nato Natale, il mio bisnonno materno, che in realtà non era figlio di Amabile ma di una certa Filide Teresa. Mi sembra impossibile che Oriana si sia inventata una cosa tanto inutile e assurda". Altre incongruenze? "Dall’albero genealogico che precede il libro mancano, curiosamente, le date di nascita dei miei nonni materni, dei miei genitori e di Oriana stessa. Nessuno sa che quando mia madre Tosca si è sposata, alla fine del 1928, era già incinta di Oriana, che è nata a giugno del 1929. Le mie zie, invidiose perché non potevano avere figli, la trattarono malissimo per questa ragione e la mandarono a partorire in ospedale, il massimo dell’umiliazione per una donna dell’epoca. Io e la Neera, infatti, siamo nate a casa con la levatrice, così si usava a quei tempi". Oriana sapeva di essere stata concepita prima del matrimonio? "Non ne parlava mai". Su queste pagine pubblichiamo un altro albero genealogico, realizzato dall’altro suo figlio, Antonio, architetto del paesaggio. E scopriamo, guardandolo, l’esistenza di una sorella Fallaci di cui non avevamo mai sentito parlare. La più piccola, Elisabetta. "I miei l’hanno adottata quando aveva 2 anni, nel 1964. La Tosca era già anziana, si vergognava di girare con una bambina così piccola che la chiamava mamma. Ma la adorava, e anche io e Oriana, ma soprattutto la Neera. Elisabetta non ha mai superato il dolore per la morte di mia madre. Oggi fa vita ritirata a Firenze e non è mai più voluta tornare qui nel Chianti. Una donna chic, che non ha mai chiesto niente. Trovo però incredibile che, su quattro persone rimaste della famiglia, tre – io, mio figlio Antonio e mia sorella Elisabetta – siano state cancellate. Nessuno ci ha mai invitati alle tante cerimonie e mostre in onore di Oriana". Questo albero genealogico c’entra con il libro? "C’entra sì. Antonio ha vissuto molto vicino a mio padre, il nonno Edoardo. Si faceva raccontare le storie della famiglia e ne sa più di me. Mi aveva chiesto, quando Oriana era ancora viva, di leggere il manoscritto di nascosto: anche lui ne era incuriosito. Gli diedi le mie fotocopie con il terrore di essere scoperta. Dopo averle lette, lui ebbe l’idea di realizzare questo bellissimo albero, da mettere in cornice e regalare a Oriana quando il libro fosse finito. Purtroppo quel giorno non è mai arrivato". Oriana quindi non l’ha mai visto? "Scherza? Se avesse saputo che avevamo letto di nascosto il suo manoscritto, ci avrebbe buttati tutti e due giù dalle scale". Sara Faillaci