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 2008  agosto 13 Mercoledì calendario

«Nun ce bastaveno gli antifurti, li cani, il traffico, i casini nelle piazze, i fuochi artificiali? Mò ce se mettono pure li gabbiani a non facce dormì! E scacazzano pure dappertutto

«Nun ce bastaveno gli antifurti, li cani, il traffico, i casini nelle piazze, i fuochi artificiali? Mò ce se mettono pure li gabbiani a non facce dormì! E scacazzano pure dappertutto...! Questi gli apprezzamenti dei romani sulla famosa invasione dei gabbiani in città. E, in effetti, in molte case di Roma sembra di trovarsi, nel dormiveglia, su qualche isoletta della Dalmazia o in una scogliera del Tirreno. Lo schiamazzo dei gabbiani reali (il cui secondo nome è proprio cachinnans, sghignazzatore) che hanno nidificato su tetti disturba il sonno di molti in una città in cui, secondo i più recenti studi, già si raggiungono le più alte soglie di rumore notturno. Ma come mai il gabbiano reale, che in tutto il mondo nidifica solo su isolotti o su falesie inaccessibili e che, secondo gli ornitologi "evita generalmente l’entroterra e non si posa sugli edifici sapendosi perseguitato" (Toschi), oggi è presente, unico luogo al mondo, in piena città e a 20 chilometri dal mare? La storia è piuttosto lunga e mi coinvolge direttamente. Nell’autunno del 1971, un amico mi portò, in una scatola di scarpe, una femmina di gabbiano reale trovata ferita e priva di forze nel mare di Giannutri, ove da sempre esiste una nutrita colonia di questo grande uccello marino. Non sapendo cosa farne, la trasferii, col permesso del direttore, nella vasca delle otarie dello Zoo, ove visse a spese delle sardine che i guardiani davano a quei pinnipedi. Una primavera, però, la gabbiana invalida, dotata sicuramente di un certo fascino, attrasse un gabbiano maschio selvatico che passava da quelle parti. La coppia, inaspettatamente, si mise a nidificare sulle rocce di cemento, costruendosi un nido rudimentale con fazzolettini di carta, ovatta sporca e altri detriti, e alimentando i nidiacei con le piccole anatre che nascevano nell’adiacente laghetto. Successivamente, i loro figli continuarono a riprodursi in quel luogo (ricordo un nido costruito, incredibilmente, su un grande cedro, buttato giù da una tempesta primaverile) e, a poco a poco si diffusero, da veri ’clandestini in città’, in tutto il centro storico. La prima avvisaglia del loro crescente insediamento mi venne nella primavera dell’84, quando degli operai addetti al restauro del tetto di Palazzo Braschi avvisarono il Wwf di aver trovato tra le tegole numerosi neonati di gabbiano ancora non atti al volo. Oggi, stando agli esperti, il numero delle coppie stabilmente presenti in città è di circa 300, anche se qualcuno sospetta che si avvicini al migliaio. La vita dei nostri gabbiani metropolitani è assolutamente singolare. Una volta conquistato un territorio di nidificazione (torrini, tetti inaccessibili, altane, cupole) lo difendono con energia e costanza tutto l’anno contro eventuali concorrenti. Poi, il cibo. Lontani come sono dal loro habitat naturale, devono arrangiarsi con quello che trovano su piazza. A parte i rifiuti (in molti quartieri presidiano i cassonetti e si guardano a vista, rispettandosi, con i gatti) predano i piccoli dei piccioni, contribuendo così, controllandone il numero, alla pulizia dei monumenti. Un altro comportamento predatorio, scoperto dal biologo Francesco Petretti a piazza Mazzini, è quello ai danni degli storni che in quei giardini si assembrano per andare a dormire. Due o tre gabbiani si scagliano al tramonto addosso agli stormi in volo e provocano la morte e la caduta al suolo di numerosi volatili. La mattina dopo, all’alba, scendono sull’asfalto e se li portano via. Se molti non amano questi eleganti uccelli marini, altri li accolgono con simpatia. Un amico che abita in un attico a via Rasella, addirittura tollera che si posino sulla tavola e accettino il cibo dalle sue mani. La coppia che nidifica davanti a casa mia invece non mi ama. E se esco sul terrazzino i genitori (che evidentemente non conoscono la mia e la loro storia) inscenano una campagna di mobbing con picchiate e grida stridule per farmi andar via dalla prole. Fulco Pratesi