Nicola Rossi, Corriere della Sera 7/8/2008, 7 agosto 2008
Caro direttore, il ministro per la Pubblica amministrazione e l’innovazione ed il ministro per la Semplificazione normativa provvedono, con proprio decreto, a definire le linee guida per la predisposizione dei piani di riduzione degli oneri amministrativi (senza trascurare la consultazione pubblica delle categorie e dei soggetti interessati)
Caro direttore, il ministro per la Pubblica amministrazione e l’innovazione ed il ministro per la Semplificazione normativa provvedono, con proprio decreto, a definire le linee guida per la predisposizione dei piani di riduzione degli oneri amministrativi (senza trascurare la consultazione pubblica delle categorie e dei soggetti interessati). I singoli ministri, di concerto con i ministri citati e sulla base delle linee guida di cui sopra, adottano i singoli piani di riduzione degli oneri amministrativi che, a loro volta, confluiscono nel piano d’azione per la semplificazione e la qualità della regolazione che assicura la coerenza generale del processo nonché (udite, udite!) il raggiungimento dell’obbiettivo finale. Questa lineare ed essenziale procedura’ che avrebbe fatto invidia alla Commissione statale per la pianificazione (più familiarmente nota come Gosplan) – sarà, fra qualche giorno, legge dello Stato essendo prevista in un articolo del decreto approvato definitivamente dalla Camera intitolato, suggestivamente, «taglia-oneri amministrativi ». Lo stesso articolo, con raro realismo, fissa al settembre 2012 (avete letto bene) la conclusione della suddetta procedura. Ora, molto si potrebbe dire sul senso dell’umorismo del nostro legislatore ma non è questo ciò che oggi maggiormente rileva. Il messaggio contenuto nella norma citata è infatti altro e assai più rilevante: anche questa legislatura – come le altre che l’hanno preceduta – è con ogni probabilità destinata a scivolare via come acqua sulla pietra, senza incidere sui problemi di fondo del Paese. Non tragga in inganno, sotto questo profilo, la meritoria innovazione di metodo che ci consente di anticipare a luglio un dibattito di politica economica solitamente condotto a settembre. Non tragga in inganno, perché all’innovazione nel metodo non si accompagna, purtroppo, una innovazione di pari portata nei contenuti. Il governo sembrerebbe, piuttosto, aver accettato di limitare la propria azione alla semplice enunciazione del problema in campi di rilevanza cruciale per il futuro del Paese. Alcuni esempi, diversi da quello della liberalizzazione dei servizi pubblici locali sul quale si è già brillantemente esercitata l’Autorità garante della concorrenza e del mercato osservando che, così come non ci si può definire un po’ incinti, è difficile afferrare l’idea di una «concorrenza derogabile ». Si prenda, dunque, per fare un primo esempio, il caso del patrimonio degli enti locali. Avevamo capito che la valorizzazione e la eventuale dismissione del patrimonio degli enti locali non funzionale ai loro scopi istituzionali fossero obbiettivi primari della maggioranza e del governo (si veda, ad esempio, www.forzaitalia. it, «7 Missioni per il futuro dell’Italia», Missione 7: Un piano straordinario di finanza pubblica). Ma forse, purtroppo, avevamo capito male. Il decreto approvato dalle Camere contempla infatti una elaborata procedura intesa a preparare e consentire la dismissione dei beni di proprietà di Comuni, Province e quant’altro ma dimentica di fissare un termine temporale entro il quale la procedura dovrebbe avviarsi. Una dimenticanza non del tutto casuale se è vero, come è vero, che la stessa maggioranza ha respinto gli emendamenti intesi a rendere credibile una norma altrimenti visibilmente destinata a rimanere sulla carta. E che dire, per fare un secondo esempio, dell’Università? Qui si è fatto di tutto per trasformare una norma potenzialmente molto innovativa per un sistema universitario in stato comatoso come il nostro nel suo contrario. Si consente infatti la trasformazione in Fondazioni di diritto privato delle Università e si regala loro il patrimonio pubblico funzionale ai loro scopi ma non si cambia di una virgola il sistema di finanziamento per passare dal finanziamento degli stipendi dei docenti al finanziamento delle borse di studio degli studenti. Risultato: ai docenti si regalerà la libertà di movimento del privato e la garanzia del pubblico; agli studenti viceversa. Anche in questo caso, la maggioranza ed il governo non hanno inteso porre mano, in Parlamento, ad una norma divenuta a questo punto inutile se non dannosa. Infine, per fare un terzo esempio, il Mezzogiorno: anche qui buoni propositi rimasti tali. Dov’è finita la meritoria «concentrazione in un’unica cabina di regia dei fondi europei» di cui al Documento di programmazione economico-finanziaria? Relegata anch’essa nello spazio del «vorrei ma non posso». Come dimostra il decreto approvato ci si è fermati, infatti, un passo prima dello spreco, sulla soglia del campo d’azione regionale. Senza invaderlo (va da sé, nelle forme dovute) come invece si doveva. Senza intervenire lì dove si consuma quotidianamente la tragedia di un’area del Paese che è priva spesso dell’essenziale ma si regala altrettanto spesso l’inutile ed il superfluo (quando va bene). Anche qui non è servito a molto, in Parlamento, invitare la maggioranza a prendersi sul serio. Visibilmente non era in grado di farlo. Al termine di questa legislatura saranno ormai passati vent’anni dal mitico spartiacque del 1994. I nati di allora saranno già all’Università, i ragazzi di allora saranno adulti fatti, molti adulti di allora saranno in pensione. Ma il Paese, nel suo complesso, avrà fatto ben pochi passi avanti. A conferma del fatto che il declino di un Paese non è il prodotto di un singolo evento né si produce in un singolo istante ma è la conseguenza, lenta ma inesorabile, dell’ azione – o, meglio, della inazione – di classi dirigenti purtroppo complessivamente deboli ed inconsapevoli.