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 2008  agosto 07 Giovedì calendario

Caldarola: «Enrico Berlinguer giù dalla torre». Liberazione, giovedì 7 agosto Ho pensato a Enrico Berlinguer

Caldarola: «Enrico Berlinguer giù dalla torre». Liberazione, giovedì 7 agosto Ho pensato a Enrico Berlinguer. Dalla torre butterei giù lui. Se alcuni anni fa mi avessero detto che avrei scritto questa frase, dalla torre mi sarei buttato io, al suo posto. Ora no. E’ giusto che cada lui, il leader che abbiamo più amato, quella faccia un po’ così, quel galantuomo da cui avresti comprato non un’auto usata ma un intero garage. I danni di Enrico Berlinguer li stiamo ancora pagando. Il suo drammatico pessimismo lo aveva messo nelle condizioni di capire che il "nostro" mondo era finito. Ma non volle vedere. Nella vicenda italiana intuì l’ombra di nuovi mostri, il terrorismo, il malcostume, la politica personale (a cui però dette un contributo), la fine dei partiti (a cui partecipò con l’appoggio al governo degli onesti), la crisi della democrazia, l’incombere di nuove opportunità e pericoli (il ragionamento sull’ordine mondiale e sul futuribile). Forse aveva capito tutto, tranne che il mondo da cui era nato era proprio finito e non aveva alcuna possibilità di sopravvivere. Il suo mondo preso per l’intero, non solo l’Urss, il comunismo degli avi, il socialismo emiliano. Tutto il nostro mondo. Berlinguer teoricamente non è stato un innovatore. La strategia più avanzata e discussa, il compromesso storico, è figlia naturale del togliattismo. Luigi Longo provò ad opporre il gramsciano blocco storico all’idea della convergenza fra Dc e Pci ma Berlinguer aveva capito che stava crollando tutto e solo i nemici di sempre, alleandosi, avrebbero salvato l’Italia. Poi rapirono Moro, fu il più rallentato colpo di stato che abbia conosciuto una potenza occidentale, e si chiuse un epoca. E finì il Pci. Ma Berlinguer non se ne dette per vinto. Il Pci era paralizzato, in molte sue componenti era trasfigurato, quello meridionale, come aveva detto alla Conferenza dell’Aquila molti anni prima, era addirittura compromesso con la peggiore Dc. La tesi era del tutto infondata. Anche oggi la sinistra al Sud dà da pensare. I comunisti erano dentro questo mondo, buoni e cattivi. Ieri come oggi. In molte parti del paese, nel Sud sicuramente, partecipavano allegramente alla spartizione del potere, davano vita a clientele che negli anni sarebbero diventate partiti personali, ma si vantavano di essere "diversi". Un grande partito stava avviandosi a diventare una setta affollata in cui era permesso tutto, il bene ma anche il male. Berlinguer fece come Pertini che parlava di quel simulacro di stato, bacato dalla P2, inefficiente e corrotto, nel cui nome ci chiamò alla difesa della Repubblica. Berlinguer chiamò i comunisti fuori dalla modernizzazione individualista, dalla deriva personalistica (a cui partecipava) e proclamò la diversità antropologica del Pci. Comunisti e diversi. Diversi perché comunisti, comunisti perchè diversi. Fu il big bang della politica italiana. Una bugia, una deflagrazione sul sistema politico. Nessuna frattura dell’unità nazionale, né a destra né a sinistra, fu così vistosa e eclatante. Una parte politica si chiamava fuori, come popolo eletto, come parte migliore della repubblica contro corrotti ma anche contro chi era diversamente orientato. La diversità diventò la malattia mortale della sinistra, quella che le impedì di vedere dove andava il mondo e la spinse ad osservarsi l’ombelico e a compiacersene. Poi Enrico morì. Lo piangemmo disperati. Venne Occhetto e fece quello che Enrico avrebbe dovuto fare. Disse che la storia era finita, non la storia del mondo, ma la nostra storia. Il comunismo aveva fatto del male ai popoli. Buone intenzioni diventate cattive azioni. Non c’era un comunismo buono e i comunisti dovevano reinterpretarsi e inseguire il mondo. Ma la storia della diversità li inseguì. Un intero gruppo dirigente, via via senza popolo, continuò a rappresentarsi e a raccontarsi come diverso e migliore. Non c’era traccia di questa diversità nella politica concreta, né segni che la nostra classe dirigente fosse migliore. Ma la "diversità" divenne lo scudo per nulla cambiare e per rafforzare una vera e propria casta. Quella che dirige tuttora la sinistra. Vedi, Enrico, dobbiamo anche a te i dirigenti che ci troviamo. Sia quelli che indicano un comunismo che fa rabbrividire sia quegli altri che sono andati talmente oltre che non li riconosciamo più. Con Gramsci e Togliatti abbiano fondato partiti moderni. Con te, sette supponenti e arroganti, diverse da te ma tuoi figli. In questo caso è vero che le colpe dei figli ricadono sul padre. Se siamo nel disastro attuale molto lo dobbiamo a te, a quello che non hai capito o non hai voluto vedere, alle svolte che non hai fatto, alle icone false che hai messo nelle nostre chiese. Peppino Caldarola