Paolo Madron, Il sole-24 Ore 7/8/2008, pagina 1, 7 agosto 2008
De Benedetti, scene di un divorzio tra carte ed energia. Il Sole-24 Ore, giovedì 7 agosto Sigmund Freud lo addurrebbe a esempio del figlio che uccide il padre
De Benedetti, scene di un divorzio tra carte ed energia. Il Sole-24 Ore, giovedì 7 agosto Sigmund Freud lo addurrebbe a esempio del figlio che uccide il padre. In metafora, naturalmente. Perché Carlo De Benedetti se ne sta vivo e vegeto a Pechino invitato da Intesa Sanpaolo per l’apertura dei Giochi. Ne approfitterà, forse, per scrivere con Federico Rampini qualche altra pagina del nuovo libro in uscita a ottobre per Mondadori. Titolo wendersiano, ”Il cielo sopra l’Italia”, che arriva nove anni dopo l’ultima fatica letteraria, Per adesso, locuzione temporale che di per sé faceva presagire un seguito. Rodolfo invece, dopo breve sosta in Sardegna, partirà alla volta dell’Alaska. Freud per altro lo invocava sempre Carlo Caracciolo quando qualcuno gli chiedeva di spiegare come fossero i rapporti tra i due, la non facile convivenza tra caratteri che il contrappasso generazionale ha reso assai lontani. Tanto gaudente e amante della scena l’Ingegnere, quanto calvinista, quadrato e riservato il figlio. Due mondi che gli eventi hanno portato a essere contigui, visto che Rodolfo è l’unico dei tre figli rimasto a lavorare in famiglia. Contigui come i loro uffici alla Cir di via Ciovassino, la holding che a ottobre si sdoppierà per evitare che le tensioni sfocino in una clamorosa rottura parentale. Da una parte l’Espresso-Repubblica, che piace solo a Carlo anche perché lì dentro c’è un buon pezzo della sua storia, e che storia visto che Repubblica resta a distanza di oltre trent’anni dalla fondazione il prodotto di maggior successo apparso sul mercato editoriale. Dall’altra quello che predilige Rodolfo: energia, cliniche, finanza e tutto quanto non odora di carta stampata e editoria. Per il primogenito dell’Ingegnere quello dei giornali è un mestiere stramaturo. «Non sarà certo un caso che il più grande gruppo di media, Google, sia una internet company» aveva detto la scorsa settimana a questo giornale. La diatriba non è di ieri. Padre e figlio avevano cominciato a litigare dal momento in cui Carlo decise di sostituire Caracciolo alla presidenza del gruppo, passando un paio di giorni alla settimana nei logisticamente scomodi uffici romani di via Cristoforo Colombo, e avevano beatamente continuato a farlo nei mesi successivi. Ma fin che tutto avveniva tra le mura di casa la forma era salva: quando hanno cominciato a strabordare si era capito che la situazione non era più tanto gestibile. Alla vigilia dello scorso Natale, per esempio, in una delle tante cene "all stars" con cui riunisce attorno al desco qualche potente della terra (nell’occasione era l’indiano Lakshmi Mittal, multimiliardario re dell’acciaio) l’Ingegnere, tra l’imbarazzo degli astanti, accusò il figlio di volersi sbarazzare dell’Espresso. Rapido giro di sguardi dei banchieri presenti, che subodorando l’affare già pensavano come realizzarlo, con l’incolpevole Mittal che a sentire la parola Espresso si domandava come avendo appena cominciato a mangiare già si fosse arrivati al caffè. Naturalmente, quando i giornali riferirono del dissidio, l’accusato respinse con sdegno e nettezza la parte di killer del gruppo editoriale. E ancora oggi che ha vinto il braccio di ferro con l’illustre genitore nega di aver mai pensato neanche lontanamente a voler vendere. Sta di fatto che Carlo, evidentemente non fidandosi appieno, a suo tempo gli ha chiesto un impegno morale confessando agli amici di non capire come il suo ragazzo non capisca. Tradotto, molte delle cose di cui oggi Rodolfo gode sono lì proprio grazie al fatto che tra i possedimenti c’è la da lui tanto vituperata casa editrice. «Per mio padre l’Espresso ha una valenza sociale» ha chiosato lapidario, e forse per sociale intendeva soprattutto politica. Del resto chi la dura la vince, ed erano mesi che Rodolfo intignava su come i giornali impiombassero i conti di una holding che i gioielli veri come l’energia, tutt’altro dalla misera e demodée carta di giornale, facevano invece volare. Insomma, si doveva fare qualcosa, separare il grano dal loglio perché, e qui con grande battimani del mercato parlava il manager e non l’azionista, bisognava fare l’interesse di tutti i soci. Gelido come sa essere quando vuole, anche se l’interlocutore è carne della sua carne, Carlo gli ribatteva che il suo interesse precipuo era di salvaguardare le stock option. Battute, ripicche, punture e scambi velenosi che si sono succeduti fino all’inizio dell’estate quando, raccontano i testimoni, i rapporti sono bruscamente precipitati. Di qui la decisione di separare le aziende. L’Ingegnere resta sì presidente di tutte e due, ma di fatto viene "confinato" dal figlio allo splendido isolamento di Espresso-Repubblica nel cui consiglio d’amministrazione non ci sarà nessun rappresentante della Cir a fargli compagnia. Gli attuali andranno a casa per essere sostituiti da indipendenti. Qualcuno, come Francesco Dini, dirigente di primo piano della holding, un po’ a malincuore perché gli sarebbe piaciuto rimanere. Ma Rodolfo è stato inflessibile nel ribadire che chi sta di qua non può stare di là. Alla fine, la soluzione trovata ha almeno il pregio di portare alla tregua, e per come l’hanno presa in Borsa la cosa non dispiace neanche al mercato. Rodolfo si tiene la Cir che ha sempre voluto, senza più quella partecipazione che se pur continua a guadagnare (di meno, ma guadagna) costituisce una macchia nei suoi conti. Carlo farà il bello e il brutto tempo sui giornali, come gli è sempre piaciuto fare in compagnia dei due grandi vecchi con cui cominciò l’avventura, anche se ora il sodalizio risente un po’ degli acciacchi e dell’usura del tempo, e che sulla scissione si dicono tranquilli, e forse nemmeno tanto interessati. L’ormai prossimo 83enne Caracciolo si ripara dall’afa nella sua tenuta in Toscana, e intanto pensa a Libération, il quotidiano della Gauche francese di cui orgogliosamente ha sistemato i conti. L’84enne Eugenio Scalfari scrive di filosofia, si risposa, bacchetta Giulio Tremonti e si occupa di Alitalia. Non molto tempo fa l’Ingegnere confessò che, pur avendo litigato spesso, l’amicizia ha sempre retto ed è stata un imprescindibile supporto al successo dei giornali. Resta, almeno fino all’autunno, anche Marco Benedetto, da oltre vent’anni eminenza grigia e inflessibile amministratore delegato, a meno che non decida (o decida per lui l’Ingegnere) che è venuto il momento di passare la mano a qualcun altro. Paolo Madron