La Repubblica 6 agosto 2008, FEDERICO RAMPINI, 6 agosto 2008
Corano, burqa e voglia d´indipendenza. La Repubblica 6 agosto 2008 L´ultima volta che sono stato a Kashgar i Giochi olimpici erano ancora lontani
Corano, burqa e voglia d´indipendenza. La Repubblica 6 agosto 2008 L´ultima volta che sono stato a Kashgar i Giochi olimpici erano ancora lontani. Eppure il capo della polizia locale Luo Gan già esortava alla «massima vigilanza contro i terroristi», parlava apertamente di una «situazione di pericolo». Secondo lui negli ultimi vent´anni sarebbero stati compiuti dai separatisti uiguri più di 260 atti terroristici, con 160 morti. Dopo la strage di lunedì in cui 16 poliziotti sono stati uccisi, in città è scattata subito la caccia all´uomo, mentre da Pechino la portavoce del comitato olimpico cinese Sun Weide rassicura il mondo: «Siamo pronti a rispondere a qualunque minaccia». Kashgar non ti accoglie come una città cinese: le facce sembrano mediorientali, nel bazaar si aggirano anziani col caftano e donne con il burqa che copre il viso. Il Corano è in vendita su tutte le bancarelle. La capitale dello Xinjiang, Urumqi, è ormai "sinizzata" dallo sviluppo economico. Kashgar no, conserva intatta la sua irriducibile diversità. L´ostilità verso i cinesi traspare nel linguaggio dei gesti, negli sguardi torvi che squadrano i rari turisti di Pechino. Per arrivarci dalla capitale ci vogliono otto ore di volo verso ovest, con sosta a Urumqi. Il 70% degli abitanti sono uiguri, orgogliosa etnìa turcomanna e musulmana. Passeggiando per Kashgar non incontri mai una coppia mista, gli han (cinesi etnici) e i musulmani vivono in mondi a tenuta stagna. L´apartheid non è decretato ma è ben visibile. All´ingresso della moschea di Idkah ho visto affissa la foto di un ricercato uiguro. Dentro la moschea ci sono telecamere della polizia. Per gli agenti cinesi la città vecchia sembra accogliente come doveva esserlo la casbah di Algeri per i militari francesi durante l´occupazione coloniale. Il governo di Pechino nega che il separatismo abbia un fondamento storico. A Kashgar, secondo la storia raccontata dai cinesi, l´imperatore Wudi mandò il suo braccio destro Zhang Qian già nel secondo secolo prima di Cristo, per le prime spedizioni lungo la Via della Seta verso i regni di Samarcanda e Bucchara, l´India e la Persia. In realtà lo Xinjiang - che gli uiguri chiamano Turkestan orientale - ha alternato secoli di indipendenza sotto khanati buddisti o islamici, periodi di sottomissione ai mongoli o al Tibet, all´impero ottomano o alla Cina. L´ultima indipendenza, goduta a sprazzi negli anni Trenta e Quaranta, fu conquistata da un movimento pan-turco. Dopo l´annessione alla Cina le turbolenze non sono mai finite. Nel 1986 lo Xinjiang fu il teatro della prima e unica protesta anti-nucleare della Cina, una manifestazione contro i test delle bombe atomiche nel deserto di Lop Nor. Pechino ne contesta la legittimità però parla sempre più apertamente della minaccia separatista. Rebiya Kadeer, nota imprenditrice locale ed eroina degli uiguri, vive da esule politica negli Stati Uniti ed è la portavoce più celebre della causa degli uiguri. Poco prima di partire per Pechino George Bush l´ha ricevuta alla Casa Bianca insieme a quattro dissidenti cinesi in esilio. La Kadeer non ha mai pronunciato la parola secessione: «Tutto quello che chiedo per il mio popolo sono i diritti umani più elementari. Mi accontenterei che avessero gli stessi diritti dei cinesi». La metà dei detenuti nei campi di lavoro dello Xinjiang, denuncia la Kadeer, sono stati condannati per le loro pratiche religiose. Per quanto la polizia li cancelli, i graffitari continuano a scrivere il nome di Rebiya Kadeer sui muri della città vecchia. Il governo sperimenta da anni nello Xinjiang la stessa cura che nel Tibet: diluire l´identità locale portando modernizzazione, ricchezze e tecnologie, dimostrando che nella Repubblica popolare si vive meglio che nei paesi islamici oltre il confine. Lo sviluppo è ben visibile, i suoi frutti però arrivano solo in parte ai musulmani. «Per gli uiguri mancano le abitazioni - dice la Kadeer - mentre continuano ad arrivare immigrati dal resto della Cina». Gli uiguri che ancora si sentono a casa propria a Kashgar, a Urumqi sono già minoranza. Il potere è in mano agli han. I lavori più qualificati finiscono ai giovani tecnici affluiti dal resto della Cina. E´ stata costruita una nuova linea ferroviaria per favorire l´immigrazione. Per gli han che accettano di trasferirsi, la vasta regione semidesertica ai confini dell´Asia centrale è la Nuova Frontiera del boom. La "provincia autonoma" dello Xinjiang - secondo la definizione ufficiale della Repubblica Popolare - è grande cinque volte l´Italia. Nel suo sottosuolo, nei bacini di Tarim e Junggar, è custodito un quarto di tutto il gas e il petrolio cinese, il 40% di tutto il carbone. Oltre il confine c´è il Kazakhstan ricco di energia e corteggiato da Pechino. C´è l´Afghanistan con le truppe della Nato. Ci sono tutte le irrequiete repubbliche ex-sovietiche, combattute tra l´integralismo islamico, i nuovi movimenti democratici incoraggiati dall´America, e la penetrazione dei capitali cinesi. E´ attraverso quel confine poroso che le schegge più violente del movimento secessionista possono muoversi in cerca di "santuari", protezioni e appoggi tra i fratelli di fede e di sangue, musulmani e turcomanni. FEDERICO RAMPINI