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 2008  agosto 06 Mercoledì calendario

Bettiza contro Eco, duello su Praga. Corriere della Sera 6 agosto 2008 Enzo Bettiza contro Umberto Eco: ovvero, la disfida di Praga

Bettiza contro Eco, duello su Praga. Corriere della Sera 6 agosto 2008 Enzo Bettiza contro Umberto Eco: ovvero, la disfida di Praga. Dove il nome della capitale ceca sta a rappresentare l’altro Sessantotto, il luogo simbolo dell’invasione sovietica, il sacrificio di Jan Palach e l’elegia letteraria di Milan Kundera. Ma il veleno della contesa è attuale, e riguarda chi allora tifava per la libertà e chi no. Scenario della disfida squisitamente mondano: il salone ampezzano del PalaLexus, dove per la serie «Cortina incontra» lunedì sera sedevano al tavolo degli oratori lo scrittore Enzo Bettiza, i giornalisti Lino Jannuzzi e Maurizio Belpietro, nonché l’ex dirigente comunista Emanuele Macaluso. Si parla del «vero» Sessantotto, contrapponendo implicitamente quello libertario praghese all’altro, occidentale e marxisteggiante, affascinato più da Mao e Sartre che da Dubcek o Vaclav Havel. C’è elettricità in sala e qualche schermaglia preliminare, come quando Jannuzzi domanda a Belpietro, direttore di Panorama, perché mai pur stimando Bettiza lo abbia escluso dalle sue pagine e l’«epurato» commenta caustico: «Evidentemente per lui ero troppo di sinistra». Ma è subito dopo che il Bettiza sulfureo sale in cattedra, chiamando in causa a proposito di Praga un illustre assente, Umberto Eco. «A lui», dice ricordando un dialogo d’epoca, «non importava niente degli studenti, dei lavoratori di Praga; a lui importava solo che il blocco sovietico rimanesse compatto». E quindi, affondando la stoccata e ottenendo il plauso di Emanuele Macaluso: «Umberto Eco? Un piacevole studioso, un importante semiologo. Tuttavia quando ci fu l’invasione di Praga da parte di Mosca, lui come gran parte della sinistra intellettuale era solo terrorizzato dal fatto che il putsch sovietico fallisse, che il sistema non reggesse». Parte la girandola delle interpretazioni, si compulsa l’ultimo saggio mondadoriano di Bettiza sull’argomento ( La Primavera di Praga), ci si precipita a interrogare l’accusatore. Il quale non si tira indietro e racconta: «Siamo al mitico hotel Sacher di Vienna, fra luglio e agosto. Eco arriva sulle tracce letterarie del suo futuro Il nome della Rosa: l’abbazia di Melk, dove avrebbe ambientato il romanzo, è poco lontana. Io seguo gli eventi cecoslovacchi e ho stabilito appunto al Sacher il mio quartier generale per il Corriere. Lui mi cerca, vuole sapere preoccupatissimo se quel che succede possa incrinare l’unità del mondo comunista. Io gli spiego, lui ascolta distratto, scettico, e alla fine io interrompo il dialogo in maniera un po’ brusca». Non che Eco si distingua poi tanto dagli altri intellettuali di sinistra del tempo, secondo Bettiza: «La loro tendenza generale era privilegiare il Sessantotto occidentale, e mettere il silenziatore a quello dell’Est. Eco, in questo, era una specie di Sartre all’italiana». Ci si precipita ad ascoltare la campana di Umberto Eco, che però suona un po’ diversamente. «Quel dialogo – dichiara – avvenne dopo e non prima del 21 agosto, giorno dell’invasione sovietica. Io ne scrissi sull’Espresso soltanto dopo essere fuggito da Praga in direzione di Linz. Ricordo bene che non trovammo alloggio, poi fummo ricevuti da un gruppo di scrittori cechi sotto la sorveglianza dei sovietici. Quanto all’abbazia di Melk, è vero che la vidi al ritorno e probabilmente quell’immagine rimase a fermentare dentro di me per una dozzina d’anni, fino alla nascita de Il nome della Rosa ». Ma è soprattutto nel merito che Eco contesta Bettiza: «Eravamo, più o meno, tutti per Dubcek. E poi come avrei potuto preoccuparmi per l’unità del mondo comunista, dal momento che si era già spezzata? Io credo che Bettiza mi confonda con qualcuno degli stalinisti che lui frequentava allora». Parola di Eco contro parola di Bettiza? O memoria contro memoria? Comunque sia, i duellanti all’hotel Sacher non erano soli. C’era Alberto Ronchey, inviato della Stampa e suo direttore in pectore, che dà ragione a Bettiza: «Non ricordo i particolari della discussione ma il senso generale, quello ricostruito da Bettiza». E c’era il poeta Nanni Balestrini, che in quel fatidico anno era partito in macchina da Milano con Umberto Eco (entrambi accompagnati dalle rispettive signore) proseguendo per Monaco, la Jugoslavia e infine Praga. Balestrini conferma la versione di Eco, nel senso che l’incontro-scontro del Sacher sarebbe avvenuto dopo l’invasione, come del resto raccontato da lui stesso in un libro recente ( La risata del 68, edizioni Nottetempo). «Può darsi che Eco fosse realmente preoccupato delle conseguenze politiche in Centro Europa, ma è certo che stesse dalla parte di quelli che si opponevano alla repressione. E che spesso lo facevano – aggiunge – in difesa di un comunismo, o socialismo, compatibile con la libertà ». Quale che sia la verità, si concorda solo su questo: quello sì, e non l’altro, fu un Sessantotto formidabile. Armando Torno